ART ROCK
Coordinate
neoprog

Della prima formazione degli Uriah Heep, quella di Very ’Eavy…Very ’Umble, 1970, è rimasto il solo Mick Box, forse il chitarrista più sottovalutato della storia del rock, mentre il vocalist Bernie Shaw può vantare «solo» ventotto anni di onorata attività nel gruppo hard prog tanto amato dai fan quanto per decenni osteggiato dalla critica. Il tempo ha dato ragione a loro: ora tornano con Chaos & Colour (Silver Lining), ed è una gemma dura, solida nella scrittura e scintillante del tutto degna, dall’inizio alla fine. Torna con Kim per AMS L’Estate di San Martino, formazione che allunga le radici al lontano 1975, ora con un nuovo eccellente vocalist, Andrea Pieroni. Un denso concept album da un’ora che il settetto affronta con coordinate spostate verso il neoprog, senza accanimento rétro. Introdotto da un magnifico canto tibetano Tanabata (autoprod.) il disco dei Kuendela, sestetto con la voce (anche canto armonico) di Sabina Manetti, per una matassa sonora ora oscura, ora radiosa, vicina a certa world music mediterranea con le tastiere in primo piano. (Guido Festinese)

ALT POP
Pseudonimo,
una passione

L’alt pop incontra il post punk, il soul si scontra con la psichedelia, il rock flirta con l’r’n’b. Tutto ciò nel nuovo incredibile lavoro di Yves Tumor, al secolo Sean Bowie. Glam come lo è stato il suo omonimo, l’eccentrico artista statunitense ci regala un album pieno di idee musicali di assoluto valore. E il titolo del disco dice tutto: Praise a Lord who Chews but which Does not Consume; (Or Simply, Hot Between Worlds) (Warp/Self). Trent Reznor e Atticus Ross collaborano invece all’ultima fatica della svedese Karin Dreijer, in arte Fever Ray, Radical Romantics (Mute/Self), a cui partecipa anche il fratello Olof, con il quale diede vita al progetto The Knife. Elettronica e art pop convivono e fanno da sfondo alla voce da folletto dispettoso dell’artista nordica. Lo pseudonimo H. Hawkline nasconde l’identità del gallese Huw Evans, nella vita anche conduttore tv e radio, graphic designer ed ex compagno di Cate Le Bon che ne produce Milk for Flowers (Heavenly/Goodfellas). Ancora collaborazioni di spessore – John Parish e Tim Presley -, per un disco di puro pop di stampo British, con quel tanto di psichedelia Seventies che ci piace assai. (Roberto Peciola)

AMBIENT
Lessico
shintoista

Strapazzare i sensi. Ci riesce il duo giapponese Ironomi, composto dal pianista Junya Yanagidaira e dal polistrumentista Yu Isobe, che giungono al decimo album, chiamato Himorogi (Kitchen Label). Il titolo deriva dal lessico shintoista e indica le aree sacre destinate al culto, spiegazione che fa comprendere perché i due abbiano deciso di imperniare la sessione sui legami tra la mitologia nipponica e il profondo rapporto con la natura che questa include. La prima metà del disco palesa un’ambientazione neoclassica e intima, che poi declina in drone music che dona lucentezza. Segnaliamo Yume Asobi e Chumu. Anche Matt Rösner all’interno di Empty, Expanding, Collapsing (Room40) ispeziona le profondità dell’anima, cercando di evocare una spiritualità intensa, mescolando scaglie electro deframmentate con passaggi melodici: merita Pulled Back Together. Sarghuma Incoxis, al secolo Alejandro Gómez, è un argentino di stanza a Berlino, che esaspera il tono shoegaze sciogliendolo nell’ambient: Noche alucinante (Room40). Il risultato si enfatizza in Sol que refugia este calvario. (Gianluca Diana)

JAZZ ITALIA
Sincopato
tricolore

Ecco il grande jazz italiano, la storia del «sincopato tricolore» da circa mezzo secolo: l’83enne Franco D’Andrea con Sketches of the 20th Century (Parco della Musica) non finisce di stupire, dopo l’album con Dj Rocca, l’esatto contrario; il pianista circondato da un’orchestra ritmo-sinfonica o meglio dall’unione fra l’ottetto Jazz Ensemble e otto membri del Parco della Musica Contemporanea Ensemble swinga su 13 pezzi intensi nel loro essere fuori schema, elaborati da un bel lavoro di gruppo anche grazie a Tonino Battista (direzione) e Eduardo Rojo (arrangiamenti) . Un altro pianista Claudio Cojaniz in Black (Caligola) in trio con Mattia Magatelli e Carmelo Graceffa interpreta il colore nero in chiave blues, in otto brani originali con rimandi alle sfumature dell’ineffabile, del misterioso, del melanconico. Infine Paolo Damiani e Massimo Giuseppe Bianchi con Dall’ovunque che sei (Parco della Musica) propongono un dialogo fra contrabbasso e pianoforte all’insegna dello scambio fra due culture (jazz e classica) in 20 frammenti cameristici. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

R’N’B
La scommessa
sul futuro

BABY ROSE
THROUGH AND THROUGH (Secretly Canadian/ Goodfellas)

**** Voce, classe e vitalità per la giovane musicista di Atlanta che ha debuttato nel 2019 con To Myself, che (rassegnamoci…), nell’era digitale, le ha fruttato qualcosa come 25 milioni di streaming. Nell’album si ritaglia una strada nuova che la vede mettersi in gioco anche come produttrice esecutiva. Una voce acuta e al contempo profonda che sfoggia in particolare nel brano Stop the Bleeding, canzone che suona come una riflessione sul passaggio inesorabile del tempo. Baby Rose è una scommessa – vinta – sul futuro dell’r’n’b. (stefano crippa)

 

 

 

BLUES
Percorsi
incrociati

THE CURSE OF K.K. HAMMOND
DEATH ROLL BLUES (Autoprodotto)

**** Il British Blues è in forma smagliante. Ne abbiamo l’ennesima riprova con l’arrivo di un altro talento notevole. La giovane blueswoman nei suoi percorsi ha incrociato il Delta Blues e il metal. Circostanza che si ravvisa in queste undici canzoni di esordio. Un lavoro in buona parte imperniato su tempi medi e ballad, a cui è aggiunto un accento gotico melanconico e affascinante. L’estetica folk horror a cui si richiama, è un’ottima scelta visuale che riveste meraviglie melodiche come In the Dirty South e The Bone Collector. Strepitosa è Memento Mori. (gianluca diana)

 

 

 

JAZZ ITALIA/2
Il valore
della dialettica

MUSICA NUDA
20 (6t3 Records)

**** Il numero del titolo indica gli anni di attività del duo composto da Petra Magoni (voce) e Ferrruccio Spinetti (contrabbasso), che sta a metà strada tra jazz e melodia, formidabile nel trasformare le cover pop in qualcosa di assolutamente originale. Qui però siamo di fronte a 14 inediti, con autori molto eterogenei (da Casacci a Puccini, da Parigi a Cusumano), con pochi ospiti aggiunti, per sottolineare ancor meglio il virtuosismo del «voice’n’bass combo» e la potenza della forma-canzone classica, il cui valore è reciprocamente rafforzato dalla dialettica interpretazione/ composizione. (guido michelone)

 

INDIE ROCK
Definire
uno stile

THE NEW PORNOGRAPHERS
CONTINUE AS A GUEST (Merge/Goodfellas)

**** La band canadese, sempre più creatura di A.C. Newman (e Neko Case) dopo la fuoriuscita di Dan Bejar, non molla, e dopo oltre vent’anni dall’esordio continua a sfornare dischi (questo è il nono) in quel classico stile che loro stessi hanno contribuito a definire, comunemente noto come indie rock. Si presentano ancora oggi con un grappolo di brani, dieci per l’esattezza, senza sbavature melodiche, e con arrangiamenti più elaborati di quanto il risultato possa far pensare. Newman sa scrivere canzoni e i suoi sodali sanno come renderle al meglio. (roberto peciola)

 

 

 

JAZZ ITALIA/3
Incredulità
e riconoscenza

GIANLUGI TROVESI/STEFANO MONTANARI
STRAVAGANZE CONSONANTI (Ecm)

**** Le Muse ci conservino a lungo la creatività che sgorga dal libero pensiero musicale di Gianluigi Trovesi, settantanovenne con lo spirito arguto e la scioltezza di diteggiatura sui suoi fiati visionari di un trentenne. Questa volta, col violino barocco del maestro concertatore Stefano Montanari, Trovesi vaga tra Purcell e Desprez, Falconieri e Buonamente e altri (lui compreso, senza autocelebrazione) con un ensemble di specialisti di note antiche, ma anche percussioni e elettronica. Una bellezza sorgiva, completa avvolge l’ascoltatore. Incredulo e riconoscente. (guido festinese)

 

ALAN
NERO (Autoproduzione)
***** Alan sa scrivere canzoni di denuncia, che potrebbero scuotere le anime perse di questi tempi bui. Alan ha ascoltato tanta musica dark, ma anche gli U2 (vedi Tempi bui). Alan sa maneggiare la musica elettronica e ne ha assorbito il senso del groove, della progressione che ti trascina in un vortice tra il sesso e uno stato di trance. Alan sa colpire al cuore con improvvisi squarci pop che se non fossimo in Italia avrebbero qualche chance di essere passati in radio… Alan sa un sacco di cose sulla musica, perché sono 20 anni che maneggia strumenti. Alan sa… e per questo va ascoltato, meglio se «a palla». (viola de soto)

LUDOVICA BURTONE
SPARKS (Outside in Music)
*** Un «archetto in fuga», quello di Ludovica Burtone, eccellente strumentista classica, ma senza pregiudizi verso altri tipi di musica. Da tempo risiede, opera, scrive e insegna negli States, da qui l’assortito parterre di accompagnatori in questo viaggio trasversale che omaggia due grandi del Brasile, uno dei suoi amori musicali, e offre poi cinque composizioni originali di «chamber jazz» raffinate, ma anche molto comunicative. Una su tutte, Awakening. (guido festinese)

FAKE NAMES
EXPENDABLES (Epitaph/Self)
*** I «nomi falsi» sono in realtà personaggi più che noti per gli amanti della scena hardcore punk. Ex membri di Minor Threat, Girls Against Boys, Bad Religion, Fugazi, Refused (e non solo) compongono questo supergruppo, giunto al secondo lavoro. Ma se immaginate potenza e violenza sonica siete sulla cattiva strada, perché qui siamo di fronte a un punk garage melodico, spesso anche abbastanza «edulcorato». E chi ascolta si diverte solo a metà. (roberto peciola)

JAZZ FANTASY
STILL (Caligola)
*** Il trio altoadesino conferma la positività delle precedente registrazioni, a cominciare dalla title-track, stupenda ballad posta all’inizio, quasi a suggellare un percorso artistico all’insegna dell’introspezione, pur prevedendo momenti vivaci o strutturati, oscillanti attorno a un aggiornato post bop, tra rodato interplay, uscite soliste, finezze timbriche, suono complesso e seduttivo insieme. (guido michelone)

ØJERUM
VÅGNENDE JEG SER DE DØDE (Room40)
*** Certamente la traduzione letterale dal danese, «Awakening I See the Dead», non palesa un album «allegro». Eppure vi è una innata delicatezza nel lavoro di Paw Grabowski, quasi infantile. L’artista multimediale, resosi conto dell’interferenza causata dalle onde radio durante la registrazione al pianoforte della title-track lunga circa 19 minuti, ha sottoposto la questione a Robin «Scanner» Rimbaud. Il quale con maestria ne ha eseguito due remix molto intensi. Ne è uscito un avvolgente e catartico disco neclassico. (gianluca diana)

ARUÁN ORTIZ TRIO
SERRANÍAS (Intakt)
**** Nei suoi splendidi cinquant’anni, Ortiz è diventato un maestro con pochi confronti, nel panorama del jazz che guarda anche alla profonda scaturigine di note caraibiche. Il pianista cubano rifugge ogni semplice deriva nel semplice «tresillo» che sostanzia quelle musiche, andandosi a riferire anche a serbatoi folkorici poco attinti come tumba francesa, marimbula, quijada de burro: sui quali innesta il suo pianismo cubista con riferimenti a Monk, a Cecil Taylor, a Muhal. (guido festinese)

THE VEILS
…AND OUT OF THE VOID CAME LOVE (Grapefruit)
*** Al debutto la band di Finn Andrews, figlio di Barry, membro dei mitici Xtc, aveva creato non poche aspettative per un futuro da «next big thing». Aspettative mantenute solo in parte, forse per il fatto che a ben guardare la loro proposta ha sempre risentito di troppe influenze (da Nick Cave in giù). Influenze che si riscontrano anche in questo nuovo lavoro, arrivato a sette anni dal precedente disco, che però, a dispetto del fatto, si fa ben apprezzare. (roberto peciola)