JAZZ ITALIA
Occhio
alle chitarre

Sembra quasi incredibile, per un chitarrista che ha attraversato i decenni con la sua sei corde, ma Maurizio Brunod non aveva mai inciso un intero disco per chitarra acustica in perfetta solitudine, anche se sono almeno sei gli exploit passati dedicati alle corde. Eccolo, ora, si intitola Trip with the Lady (Digitalsound/Hifidiprinzio.it), ed è un viaggio quieto, ma con molti tratti visionari, com’è tipico per Brunod, a scavalcare generi e assetti stilistici consolidati, tra jazz e note etniche, richiami art rock, ricordi di Brasile, sinuosi profili melodici mediterranei. Con una versione della coltraniana Naima che da sola vale la ricerca del disco. Allievo di Pat Metheny, Jim Hall, Mike Stern, Luca Di Luzio spazia con la sua sei corde tra latin jazz e bossa, mainstream e fusion, con filante precisione e passione: in Never Give Up (JazzLife) lo trovate insieme a gente come Alain Caron e Randy Brecker, più un’incalzante sezione fiati. Un’altra chitarra da tener d’occhio? Quella di Davide Sartori in Inner Tales, esordio del vibrafonista Michele Sannelli & The Gonghers: ricordi di prog rock innestati su un pulsante flusso jazz rock. (Guido Festinese)

INDIE ITALIA
L’essenza
del sottobosco

Nel sottobosco della scena alternativa italiana si scoprono a volte cose interessanti. E proprio a proposito di boschi, foreste e dintorni ecco il primo album di una nuova formazione che comprende membri di gruppi più o meno noti del panorama underground italico, formazione che porta il nome di Bosco Sacro e che pubblica Gem (Avantgarde Music), un disco tra ambient oscura e doom, atmosfere avvolgenti e sognanti e una voce femminile che sa creare e abbassare tensione in egual misura. Si cambia registro con l’esordio di Deut, al secolo Giuseppe Vitale, From the Other Hemisphere (Autoprod.), un lavoro gradevolissimo, tra alt folk e indie rock di ispirazione Usa. Nonostante le chiare influenze, a colpire sono il livello compositivo e gli arrangiamenti mirati, che vanno dritti all’essenza. Ancora un gruppo composto da gente che ha militato in precedenti realtà nostrane, i Pitchtorch, al secondo album con I Can See the Light from Here (Autoprod./Ird). Ancora sonorità alt folk che guardano oltreoceano, ma le esperienze maturate fanno sì che il risultato, seppur derivativo, sia più che apprezzabile. (Roberto Peciola)

TRIBUTI
Il valore
di Jimmy

Jimmy Van Heusen (1913-1990) dovrebbe figurare accanto ai più celebrati George Gershwin, Cole Porter, Irving Berlin, per la quantità (e qualità) di brani per cinema e teatro che da semplici canzonette divengono grandi standard jazz. Oggi finalmente esce un omaggio tutto italiano grazie a Francesca Bertazzo Hart, Michele Francesconi e la New Project Orchestra che in Playing with Jimmy (Caligola) elargiscono raffinatamente tredici pezzi, su cui il nonet interviene sia in maniera filologica sia con un imprinting moderno per un esito finale più che affermativo. Van Heusen è presente con Someone in Love in Empty-Ty (Caligola) a nome Cerruti-Cervetto-Perazzo, un trio swingante efficacissimo, che sa fare e vivere il jazz come pochi altri in Italia: e con l’umiltà di organizzare il disco mediante un’accurata scelta di jazz standard (Coleman, Cherry, Levant, Burwell, persino Zegna). Infine anche Sam Taylor in Let Go (Cellar 20) in classico hard bop quintet, tra nove evergreen, improvvisa egregiamente su Here’s that Rainy Day, in un album carico di jazz feeling. (Guido Michelone)

SPERIMENTALE
Una stimolante
prospettiva

Rimanere stupefatti davanti alla sperimentazione. Raggiunge un livello altissimo Amiandos (Unsounds) del cipriota Yannis Kyriakides. Realizza un lavoro legato alle miniere della propria terra, dando vita a un progetto che ruota attorno alla drammaticità dell’utilizzo dell’amianto. Suoni e liriche si intrecciano in modo visionario e azzeccato. Solo il tempo potrà darci la conferma, ma a tutti gli effetti, potremmo essere davanti a una seduta di incisione di gran valore. Per voi A Secret Lake/A Million Voices, Empire within an Empire e A Ghost of Spring. Una inattesa e stimolante prospettiva a metà tra psichedelia e attitudine cinematografica, è quella che arriva dal nuovo di Emmanuel Mieville, che in Four Towers and a Bridge (Forms of Minutiae) riversa registrazioni ambientali e musica concreta in quattro tracce. Alzate il volume con The Eiffel Bridge to Viana. Ipnotico e ritmico è il nuovo di Samuel Rohrer che presenta Codes of Nature (Arjunamusic Records), dove con una pulsione costante cerca equilibrio tra quiete e nevrosi, come si percepisce in The Banality of Evil. (Gianluca Diana)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

ALT FOLK
Manovrare
con cura

COMPLETE MOUNTAIN ALMANAC
COMPLETE MOUNTAIN ALMANAC (Bella Union/Pias/ Self)


**** Un progetto che vede insieme la cantautrice Rebekka Karijord e la poetessa e artista multimediale Jessica Dessner, con i fratelli di quest’ultima Bryce e Aaron Dessner dei The National. Dodici brani, uno per ogni mese dell’anno, in cui ci si interroga su quello che accade alla natura e al clima. Poesia, sia liricamente che musicalmente parlando, dodici delicate gemme di folk contaminato da musica classica e da camera, melodie sognanti e arrangiamenti attenti a mettere in risalto la voce. Un disco «fragile», da manovrare con cura. (roberto peciola)

CLASSICA
Alle origini
dell’organo

IRENE DE RUVO
STYLUS PHANTASTICUS. THE HIDDEN WRITING (Stradivarius)


**** Registrato sullo storico organo Willem Hermans nella chiesa di sant’Ignazio di Loyola a Pistoia, questo «stile fantastico» ovvero la «scrittura nascosta», riguarda le origini della letteratura organistica, che la ricercatrice e musicologa recupera, tra i secoli XVI e XVII, dagli spartiti di Jan Pieterszoon Sweelinck, Johann Jakob Froberger, Marc’Antonio Cavazzoni, Michelangelo Rossi e soprattutto Girolamo Frescobaldi. Si tratta insomma di un disco, la cui musica, sorprendente, come scrive De Ruvo stessa, è «rivelazione attraverso l’interpretazione». (guido michelone)

ALT ROCK
Il grimaldello
perfetto

THE MURDER CAPITAL
GIGI’S RECOVERY (Rough Trade)


**** Sembra quasi che il post punk sia stato una sorta di grimaldello per poter aprire le porte della notorietà. Almeno ad ascoltare i nuovi lavori di band come Fontaines D.C. e ora dei conterranei The Murder Capital. Perché quelle sonorità così connotate hanno lasciato spazio a situazioni più complesse, meno dirette, ma non di minor fascino. Lo è stato per Skinty Fia dei Fontaines e lo è Gigi’s Recovery per i Murder, dove il post punk degli esordi rimane sullo sfondo mentre la ricerca di nuovi lidi sonori è alla base del tutto. Gigi’s è un disco meno immediato, che va ascoltato con attenzione, con almeno una gemma: Crying. (roberto peciola)

ALT ROCK/2
Un magma
stimolante

RAOUL SINIER
DREAMS FROM THE ASSEMBLY LINE (Autoprodotto)


**** Se non conoscete l’universo espressivo dell’artista multimediale parigino, questa è l’occasione buona. Illustratore, filmmaker e musicista di lungo corso, vanta dalla sua una discografia notevole, di cui questa uscita è uno dei momenti migliori. Undici brani che si muovono tra chitarre metal, stralci di electro pop e rimandi dark wave. Un magma stimolante che viene tenuto assieme da una voce caratteriale e melanconica. Un lavoro surreale e ricco di contemporaneità, capace di sorprendere e che si esprime al meglio in Surreal Trail of Mayhem, The Storm Inside e Red, White & Pink. (gianluca diana)

JAZZ ITALIA/2
Minimalismo
massimalista

YUGEN
TEARS AND LIGHT (Waterloo Records)


**** Un grande disco da una grande band, anche se gli aggettivi devono misurarsi col meschino panorama di una scena musicale non certo particolarmente attenta ai talenti veri, e attivi da anni. Un viatico perfetto per avviarsi a passi di buona musica nel nuovo anno. Gli Yugen sembrano fare punto e a capo con le lezioni di E.S.T. Trio, Nik Bärtsch, Bad Plus: costruzioni febbrili e poetiche sulla ripetizione in ostinato, minimalismo massimalista, verrebbe da dire. Quando il panorama del trio accorpa anche fiati, corde ed elettronica, è festa grande. (guido festinese)

AA. VV.
ELVIS OST (RCA/Sony)
***** Esplosiva soundtrack quella che Baz Luhrmann ha immaginato per il suo film Elvis dedicato a Presley. È un must d’eccellenza dove spiccano ovviamente le hit di Elvis ma niente male sono gli interventi di Eninem e Cello Green, di Austin Butler (colui che interpreta sullo schermo l’artista), Doja Cat che ha tirato fuori anche il singolo Vegas. Un disco
e una colonna sonora perfetti, imperdibili. (marco ranaldi)

WESLEY JOSEPH
GLOW (EEVILTWINN)
*** A Londra era arrivato per studiare cinema ma nella metropoli ha scoperto anche il gusto di fare musica e il piacere di collaborare. Wesley Joseph si muove in un ambiente tra avant r’n’b e soul, hip hop e qualche retrogusto psichedelico. Ingredienti non semplici da amalgamare. Miracolosamente – eccezion fatta per qualche momento troppo stiloso – Joseph mantiene gli otto brani della raccolta in (quasi) perfetto equilibrio. (stefano crippa)

LILLY JOEL PLAYS THE ORGAN
SIBYL OF THE RHINE (Sub Rosa)
*** Etereo e soffuso, crepuscolare ed emozionante. Queste sono le sensazioni generate all’ascolto del nuovo lavoro del due composto da Lynn Cassiers e Jozef Dumoul. La lentezza è protagonista indiscussa, epicentro dei voli quasi cosmogonici strutturati con voce, electro di stampo ambient e un organo a canne. Perdetevi con delicatezza e soddisfazione in un lavoro ispirato dalla musica del dodicesimo secolo di Hildegard von Bingen: suonate O quam mirabilis, O virtus sapientiae e O tu illustrata. (gianluca diana)

MANUEL LINHARES
SUSPENSO (Carimbo Porta-Jazz)
**** Al terzo disco, il vocalist jazz portoghese Linhares non è più una felice rivelazione e un conforto per chi apprezza i musicisti che sanno calcare piste etno jazz senza impantanarsi nel già detto. Linhares sta al jazz che ricorda Portogallo e Brasile più o meno come Carminho sta alla canzone d’autore pop in rapporto col fado: con stile, inventiva, torsioni della polpa melodica. Una voce, s’è detto, «di eleganza e sobrietà», qui esaltata dagli eccellenti apporti del polistrumentista brasiliano Antònio Loureiro e del sassofonista statunitense David Binney. (guido festinese)

MOMI MAIGA
NIO (Segell Microscopi)
**** Produzione catalana per l’artista senegalese che esprime il positivo incontro fra culture musicali, all’insegna di un etno jazz che in dieci canzoni presenta i suoni della kora del leader accanto al singolare impiego di violino, violoncello, percussioni, non senza la presenza di qualche ospite illustre. Cantato nelle lingue mandinka e wolof, il disco fin dal titolo (letteralmente «anima») è una riflessione sui valori umani che si traducono in profonda tristezza, ma anche in gioia di vivere. (guido michelone)

SPIRITRAISER
CIKLOS (Luminol)
*** Molti affluenti concorrono a formare il suono dei finlandesi Spiritraiser. Shoegaze, post rock, neo prog, post grunge, metal, e via citando. Dunque uno di quei gruppi che, a forza di cercare una propria strada, finiscono per ripercorrerne molte altre: in un tratteggio che potrebbe mettere assieme Anathema e Porcupine Tree, Katatonia e Nosound. Nulla di male, e le botte di potenza sono i tratti migliori. Se poi Jules Näveri imparasse a disciplinare la voce, sempre spinta all’eccesso, tanto meglio. (guido festinese)