ALT JAZZ
Un crocevia
di generi

Workin’ Label è una coraggiosa etichetta pugliese diretta dalla musicista Irene Scardia che dà spazio alle nuove musiche, in quel crocevia dove i generi dialogano. Una nuova tornata di uscite, tre dischi diversi e interessanti. Clara Calignano in arte Blavet, flautista e vocalist formatasi ad Amsterdam in Narcisi e camomille ha allestito un ensemble con diversi tipi di traverso (ci sono anche Kersten McCall e la cantante barocca Viola Blache) ed elettronica. Riferimenti: l’ultima Björk, il nuovo jazz, la ricerca timbrica del jazz chicagoano e di James Newton. Molta carne al fuoco, molta sostanza. La sostanza si avverte anche in A New World, del batterista e compositore di area torinese Andrea Penna: un disco in perfetto equilibrio elettroacustico, per chi ama la cantabilità dei temi metheniana, o la parte più lirica dei Weather Report. Franco Chirivì, chitarrista pugliese soprattutto acustico (e bassista) con Meandri offre tocco limpido e poetico, fantasia compositiva, nessuna remora a reinventare classici antichi e no come La canzone di Marinella e ’O sole mio, con compagni di suono notevoli. (Guido Festinese)

CANTAUTRICI
Il fascino
dreampop

Ancora cantanti e autrici in primo piano. Tre artiste, tre modi di intendere la musica ma unite da una qualità media non comune. A partire dallo splendido lavoro di Fiona Brice, And You Know I Care (Bella Union/Pias/Self). La polistrumentista inglese si è fatta le ossa con gente come John Grant, Anna Calvi, Placebo, Elbow ecc, e in questo secondo lavoro crea atmosfere a cavallo tra neoclassica, pop dark e ambient, con pianoforte e archi – e qualche inserto elettronico – a dettare le linee armoniche. Un gran bel disco. Pianoforte spesso in primo piano anche per Alice Boman, alla seconda uscita con The Space Between (Pias/Self). Sonorità prossime al dreampop grazie alla delicata voce dell’artista svedese con il punto di maggior fascino nel singolo Feels Like a Dream, con la presenza di Perfume Genius. Chiudiamo con l’ultimo lavoro di Helen Ganya, Polish the Machine (Bella Union/Pias/Self). La proposta della musicista britannica è anch’essa assimilabile al dreampop sebbene su coordinate, tessiture e arrangiamenti «elettrici», ma il risultato è comunque più che godibile. (Roberto Peciola)

BLUES ITALIA
Quei patrimoni
comuni

Il blues a casa nostra. Iniziamo incontrando Gabriel Delta che torna con un nuovo album chiamato A New World? (Banksville Records) che contiene nove canzoni. Il suono è pieno, possente e mai fuori misura, grazie anche i sodali Daniele Mignone al basso e Paolo Baltaro alla batteria. Siamo davanti ad un power trio che gira sui suoni dell’attualità, arricchiti da fiati e armonica messi al punto giusto. È un gran bel lavoro che sublima al meglio in The Juke Joint Flat, Killer System, nella title-track e nel superbo strumentale, anche per il titolo, La mente insana di un Re minore. Ottima prova quasi totalmente in chiave solista, circostanza che si fa apprezzare, anche per Stefano Tavernese in Bloossession Vol. 8 (Bloos Records), che in una registrazione di ventinove minuti include nove brani acustici. Si tratta di classici e tradizionali che emergono con Railroad Blues e T.B. Blues. Anche Worksongs (Autoproduzione) di Steven Paris esplora temi di patrimonio comune, ma lo fa con capacità e dedizione. L’assenza di elettricità si valorizza in This Train e Jim Crow Train. (Gianluca Diana)

WORLD MUSIC
Desiderio
di melting pot

La musica latinoamericana viene omaggiata in tre cd fra loro diversissimi, ma che hanno in comune il desiderio di presentare i suoni di Argentina, Messico, Brasile in contesti internazionali all’insegna del melting pot artistico. Esule in Francia e Canada, Gustavo Beytelmann in Piazzolla- Beytelmann. Vení, volá, vení (Analekta) offre proprie composizioni alternate a quelle del grande Astor, con il nuovo trio Stick&Bow (piano, cello, marimba-vibrafono) in stile cameristico tra etno, classica, jazz, dallo struggente romanticismo. La messicana Chavela Vargas in Tranquila. Celeste canta Chavela (Segell Microscopi) viene celebrata dalla cantante catalana Celeste Alías in trio (voce, chitarra, percussioni) interpretando in chiave jazzy e world i pezzi dal languido fascino ranchero. Infine Song Yi Jeon e Vinicius Gomes in Home (Greenleaf) sono l’esempio di una folk fusion atipica, proprio perché multietnica. La vocalist svizzero- coreana e il chitarrista brasiliano- statunitense, sono autori di 10 song intense come un viaggio intorno al mondo. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

TRIBUTI
La voce
della tromba

FABRIZIO BOSSO QUARTET
WE WONDER (Warner)


**** Il piacere – condiviso con i fan – di rileggere il repertorio di Stevie Wonder e riproporlo in salsa jazz, è azzardo per nulla forzato perché di improvvisazione e contaminazioni si compone il songbook del musicista afroamericano. L’assenza della voce spinge ancor più Bosso con la sua tromba, a ricamare note con tecnica sicura ma immutato calore. Spiccano Overjoyed e Sir Duke ma il capolavoro è la versione di Another Star. Doveroso citare i musicisti impegnati: al piano e alle tastiere Julian Mazzariello, basso e contrabbasso Jacopo Ferrazza, la batteria di Nicola Angelucci, «guest» il clarinetto di Nico Gori. (stefano crippa)

TRIBUTI/2
I veterani
della ritmica

MASSIMO COLOMBO/PETER ERSKINE/CHUCK BERGHOFER
ELECTRIC PARKER (Electric Park)


**** Talento inquieto e mercuriale, il pianista e tastierista Massimo Colombo non dorme mai sugli allori: quando credi di averlo inquadrato in un recinto stilistico, lui se ne esce con un progetto che nulla ha a che fare col precedente. Questo, ad esempio, costruito con accanto due mostri sacri americani veterani della ritmica, lo vede affrontare Bird in chiave elettrica, con Fender e sintetizzatori. Funziona? Eccome. La grande musica nera si apre a ogni prospettiva: e Parker era già elettrico «dentro», con le montagne russe dei suoi profili melodici frastagliati. Che qui risplendono. (guido festinese)

OMAGGI
Frammenti
di vita

FRESU/RUBINO/DI BONAVENTURA/BARDOSCIA
FERLINGHETTI (Tuk Music)


**** Nel 2021 muore, a 101 anni, il poeta Lawrence Ferlinghetti. Tra il 2006 e il ‘22 il regista Ferdinando Vicentini Orgnani ha raccolto materiali per il docufilm The Last Beat. La colonna sonora per questa «straordinaria storia creativa, intellettuale ed umana» è affidata al trombettista sardo con il piano di Rubino, il contrabbasso di Bardoscia e il bandoneon di Di Bonaventura. Creano vividi frammenti sonori per una vita che ha attraversato il Novecento, da I Was an American Boy passando per Where Books Were Trees fino all’Eponymus Epitaph. (luigi onori)

CONTEMPORANEA
Sontuosa
partitura

JAMES MACMILLAN
CHRISTMAS ORATORIO (London Philharmonic Orchestra LTD)


***** Un disco natalizio molto particolare: la sontuosa partitura (2019) in anteprima su doppio cd del 63enne compositore britannico. Partitura che la London Philharmonic Orchestra – qui diretta da Mark Elder con la soprano Lucy Crowe e il baritono Roderick Williams protagonisti – esegue con la dovuta vivacità: in effetti la nascita di Gesù, accompagnata da testi latini, passaggi biblici, ninne nanne gaeliche, è tradotta in suoni debitori della formazione cattolica dell’autore, come pure delle radici scozzesi, alternando sinfonie, arie, cori e quadri in 14 capitoli. (guido michelone)

AVANGUARDIA
Rumori
psichedelici

ÅKE PARMERUD
BRUIT NOIR (empreintes DIGITALes)


**** Un’immersione totale in ambito di musica concreta ed elettroacustica. Sette sono i temi, divisi nei cinque movimenti di Louder Than Life, a cui si aggiungono altre due sessioni di registrazioni. La prima di queste, Raw, diciassette minuti di stampo rumoristico, è un piccolo capolavoro dal carattere alquanto psichedelico, ottenuto attraverso un impegnativo synth chiamato Skrewell. Da applausi anche 1. Adagio, crepuscolare e affascinante, che ha vinto ex aequo il primo premio nella categoria C alla bienniale Métamorphoses a Bruxelles. (gianluca diana)

ABQUARTET
DO UT DES (Red&Blue)
*** Nell’antica denominazione, il «Do» che dà inizio alla scala ben temperata era indicato come Ut. Il gioco di parole e di concetti scelto per titolo, qui, è tutto sull’ambivalenza del proverbio, «dare per essere ricambiati nel ricevere», e su un Do ripetuto due volte e accostato a un Re bemolle. Titoli tutti in latino, un intelligente e ben moderno gioco di interplay con
ritmica efficace, clarinetto e pianoforte di bella caratura lirica, su temi che si fanno ricordare e arrangiamenti vivaci. (guido festinese)

ARCHERS OF LOAF
REASON IN DECLINE (Merge/Goodfellas)
**** Come si può ricominciare a fare musica dopo 24 anni di silenzio? Come si può conciliare il se stesso «giovane» arrabbiato di allora e quello maturo e più «saggio» dell’oggi? Erich Bachman e i suoi sodali ci hanno provato restando a metà strada. Gli Archers of Loaf hanno scritto una buona pagina dell’indie rock Usa nei Novanta, ma appunto, erano altri tempi, quindi ecco che qualcosa dell’antico furore quasi hardcore resta qua e là, ma il tutto prende una forma più «sobria», più matura, anche nei testi. Ma non meno stimolante. (roberto peciola)

CAVANAGH/MILEY/HOLLENBECK
ANOTHER LIFE (S/n Alliance)
**** Il lavoro può definirsi un jazz album di postmodern Usa, grazie ai pianisti Dan Cavanagh e James Miley (impegnati talvolta al sintetizzatore) accompagnati in sei brani su nove dal noto virtuoso John Hollenbeck (batteria e percussioni): il sound in apparenza rilassato e virtuosistico trae linfa dalla vivace rivisitazione del passato (dotto e swing), come pure da temi rock, riuscendo a integrare perfettamente il tutto. (guido michelone)

ERIKM & HANATSUMIROIR
ECHOPLASME (Bisou Records)
**** Un lavoro complesso, 14 brani più un libro illustrato di 80 pagine. Ad occuparsene è l’artista multimediale francese eRikm, il quale oltre alle illustrazioni si è preso cura anche delle composizioni sonore, materializzatesi grazie a voce, flauto, contrabbasso, percussioni ed elettronica eseguite da lui e dal duo Hanatsumiroir. Rumorismo e stralci di ambient appena accennati si inseguono, legati da voci e attimi di silenzio che fan parte della narrazione. (gianluca diana)

JONATHAN HULTÉN
THE FOREST SESSIONS (Kscope)
**** Quella di reimmaginare brani da dischi precedenti sembra esser diventata una moda. Molti artisti vi si cimentano, strano però che lo facciano anche musicisti come lo svedese Hultén, che in questo The Forest Sessions ha ripreso in mano le tracce del suo unico album Chants from Another Place e dell’ep The Dark Night of the Soul. Uno splendido lavoro, tra momenti di oscurità dettati dalle tastiere à la Dead Can Dance a virate acustiche che rimandano quasi al folk British dei Sixties e Seventies. (roberto peciola)

FEDERICO NUTI
INFORMAL SETTING (Hora Records)
**** Il disco di debutto resta sempre un banco di prova importante. Il pianista aretino Nuti parte subito col piede giusto: mettendosi attorno, nel suo Quintetto, energie fresche e motivate, lasciando attraversare le proprie composizioni dalle scie avventurose dei maestri veri: Tim Berne, Paul Bley, Threadgill, Wadada Leo Smith. Con echi classici contemporanei. Il futuro è in buone mani. (guido festinese)