HARD ROCK
Imprescindibili
Deep Purple

Simon McBride è il nuovo chitarrista dei Deep Purple. Annuncio recente. A parte gli incrollabili nostalgici del tocco di Ritchie Blackmore, il più longevo chitarrista nella formazione britannica è stato il formidabile Steve Morse, statunitense, quasi tre decadi a fianco del nucleo storico. Bello allora che, nella serie archivistica curata dai Purple, di eccellente qualità, saltino fuori testimonianze forti e guizzanti dell’era Morse: a cominciare da Bombay Calling, due cd e un dvd, uno dei primi concerti di Morse con la band, nel 1995. Titolo con ironico riferimento al pezzo degli It’s a Beautiful Day, cui assomiglia molto (troppo?) la purpleiana Child in Time. Dagli archivi del 2001 due altre registrazioni a pochi giorni di distanza: 20 marzo Honk Kong, ancora con il favoloso Jon Lord alle tastiere, e 24 e 25 a Tokyo, ospiti il vocalist poderoso Ronnie James Dio e la Shin Nihon Philarmonic Select Orchestra, con rare esecuzioni dai progetti solistici di Glover e dal Concerto di Lord. Imprescindibile, insomma. (Guido Festinese)

INDIE POP
L’ultima
adolescenza

Paturnie post adolescenziali. Così potremmo provare a definire il disco d’esordio del duo di Atlanta Lowertown, intitolato I Love to Lie (Dirty Hit/Self). Definizione che può valere tanto per le liriche, quanto per la musica. Sonorità che pescano dall’indie nelle sue varie forme – folk, pop e rock -, brani piacevoli ma che nulla aggiungono a quanto ascoltato negli anni passati. La formula indie è quella che persegue anche Julien Chang, da Baltimora, che pubblica The Sale (Transgressive/Pias/Self). Qui le cose prendono un aspetto pop più marcato, con una vena psichedelica che ci fa ricordare uno Sean Lennon meno sperimentale. Ci si muove verso il post punk con i Dry Cleaning, band londinese al secondo lavoro con Stumpwork (4AD/Self), dopo il grande successo di New Long Leg. La formula resta la stessa, con la chitarra in evidenza che richiama Smiths e Blur – ma anche i Sonic Youth -, su cui declama la frontwoman Florence Shaw, punto di forza che però rischia di trasformarsi in un boomerang, tendendo ad appiattire il tutto. Ci piacciono ma… (Roberto Peciola)

CLASSICA
Fascino
spirituale

«Le bellezze della terra (le sue rocce, i suoi canti d’uccelli), le bellezze del cielo materiale, le bellezze del cielo spirituale»: così il compositore francese Olivier Messiaen presenta l’imponente partitura Des canyons aux étoiles (Mirare) del 1974, riproposta in doppio cd dall’Orchestre de Chambre Nouvelle-Aquitaine: un’opera per pianoforte solista, corno, xylomarimba, glockenspiel e orchestra che sintetizza diverse influenze sonore (dalla dodecafonia all’Oriente), ponendosi ai vertici delle letteratura musicale del secondo Novecento. Per opposte caratteristiche si può accostare Britten (Aulicus) del violista Simone Libralon, ossia, in prima mondiale, i lavori che il britannico Benjamin Britten scrisse per solo viola – Elegy e Three Suites Op. 72, 80 e 87 – tra il 1930 e il 1984, in cui però è sempre costante una certa ascendenza bachiana. Ancora l’inglese protagonista in Cello Sonatas (Alpha Classics), firmato Bridge Britten Debussy, ai quali va aggiunto Janacek: i quattro compositori presentano tutti sonate per violoncello e piano, ottimamente eseguite da Truls Mørk e Håvard Gimse. (Guido Michelone)

JAZZ
Afflato
contemporaneo

Dedizione alla causa, alcuni con piglio contemporaneo, altri più passatista. Dalla Slovenia giungono Etceteral, che nel loro secondo disco intitolato Rhizome (Glitterbeat Records/tak:til) appaiono più creativi dell’esordio. Il terzetto vola alla grande, avvicinandosi al jazz attuale di stampo UK. Se ne ha una robusta e convincente prova ascoltando 959595, Dunno e Idler Idol. Il vertice lo toccano in UY Scuti e comunque ogni incisione fa presagire auspicabili orizzonti in modalità impro dal vivo. Proseguiamo con Goodbye Ground a nome di Sakina Abdou. La sassofonista francese originaria di Lille, rilascia un lavoro intimo, asciutto e orientato verso un minimalismo capace di farsi apprezzare senza difficoltà. L’ambientazione casalinga, come fanno intendere i titoli dei temi presentati, acuisce interesse. Suonate le sette versioni di Planting Chairs. Chiusura con Marco Frattini e il suo Empty Music (Encore Music). Soave e delicato, dai toni riflessivi prossimi alla sonorizzazione cinematografica. Ne estraiamo Overnight e Gentle Threat. (Gianluca Diana)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

BLUES
Vette
elettriche

BUDDY GUY
THE BLUES DON’T LIE (Rca/Sony)


**** Un fenomeno autentico. Continua a sorprendere il bluesman che licenzia un disco spettacolare, il migliore tra le ultime pubblicazioni. Grazie alla presenza di valore di Tom Hambridge come produttore, batterista, co-autore e dietro al mixer per tutto l’album, Guy non sbaglia un colpo. Arrangiamenti contemporanei, voce e chitarra sublimi e ospiti che aggiungono qualità. Bravi Elvis Costello, Jason Isbell e James Taylor, ma Mavis Staples in We Go Back e Bobby Rush con What’s Wrong with That? sono di un livello superiore. Apice elettrico con Back Door Scratchin’ e acustico in I’m a King Bee. (gianluca diana)

JAZZ/2
I canoni
della scrittura

YOLA NASH
MANHATTAN WHISPERS (Yustar Recordings)


**** Ecco un album dove, senza rinunciare al piacere del jazz (mood, assolo, swing, improvvisazione, eccetera) si ascoltano tante belle nuove canzoni: canzoni perfette, rispettose dei canoni della scrittura e, ovviamente, stupendamente interpretate dalla voce sensuale della stessa cantautrice, la quale, qui al secondo album (e già ampiamente gratificata dalla critica americana), offre altresì un tocco di «esotismo», componendo con influssi via via latini, gitani, est europei, classic song. (guido michelone)

TECHNO
Omaggio
alla club culture

O’FLYNN & FRAZER RAY
SHIMMER (Technicolour/Ninja Tune)


**** Un omaggio alla club culture inglese underground. I londinesi O’Flynn e Frazer Ray firmano un album congiunto avendo come riferimento quella linea musicale che Simon Reynolds ha definito «hardcore continuum». Shimmer, infatti, è un mix di speed garage, «techno emozionale» (così l’hanno definita i due), bass music e jungle (vedi il coinvolgente finale You Need Me) in cui i beat pieni di energia fanno passare in secondo piano una percepibile nostalgia per i party del passato, legali e illegali… (luca gricinella)

WORLD MUSIC
Un incanto
mediterraneo

SHULUQ ENSEMBLE
THE DREAM OF IBN HAMDIS (Visage)


**** Ibn Hamdis, il più grande esponente della poesia araba di Sicilia nacque a Siracusa (forse a Noto) attorno alla metà del 1000, e morì a Maiorca, al-Andalus nel 1133. Un peregrinare tra le sponde che mise in conto anche la Tunisia e chissà quante altre terre. Il «sogno» qui raccontato dal magnifico Shuluq Ensemble è, ancora una volta, quello del Mediterraneo rimbalzo di culture, non solo lago desolato di conflitti. Calogero Giallanza ai fiati, Salim Dada alle corde e alla voce, Andrea Piccioni alle percussioni mediterranee, Karima Skalli alla voce: un incanto. (guido festinese)

ALT ROCK
Variazioni
sul tema

THE SOFT MOON
EXISTER (Sacred Bones/Goodfellas)


**** Louis Vasquez, in arte The Soft Moon, si fece notare agli esordi per un’estetica decisamente post punk, poi pian piano una svolta industrial à la Trent Reznor con l’album Deeper. Oggi con Exister quella svolta resta solo a tratti perché il disco è talmente variegato che supera gli steccati di un genere predefinito. Ci sono le pulsioni post punk, c’è, appunto, il suono industrial, ma anche massicce dosi di gothic elettronico e linee melodiche che rimandano al miglior electropop Eighties, vedi ad esempio le notevoli Become the Lies e Monster. Dategli un ascolto, non ve ne pentirete. (roberto peciola)

BRET MCKENZIE
SONGS WITHOUT JOKES (Sub Pop)
*** In Italia, causa annose difficoltà linguistiche, il duo Flight of the Conchords non ha mai avuto gran seguito. Peccato. Due mattacchioni che conoscono ogni segreto della popular music, in grado di parodiare alla perfezione pressoché ogni stile, con testi esilaranti pieni di gioiosi trabocchetti. Elio & Le Storie Tese in duo anglofono, per capirsi. Questo è il «solo» di Bret McKenzie: con momenti anche umoristici ma, come da titolo, essenzialmente gran canzoni in un arco teso tra Randy Newman e Bruce Springsteen. (guido festinese)

AURA NEBIOLO
A KIND OF FOLK (Abeat)
**** Un disco breve, in pratica un ep, che nei limiti temporali nasconde però un laborioso labor limae. La vocalist, compostrice e arrangiatrice Aura Nebiolo è partita qui da un tema di Kenny Wheeler, per costruire una sequenza in cinque tappe che svela, come in un contrafactum, tutta la complessità e densità di pensiero che stava dietro al lavoro del geniale trombettista e compositore canadese. Gran lavoro. (guido festinese)

OJKOS & ANDREAS ROTEVATN
MENSA ROTONDA (Odin)
**** Andreas Rotevatn, trombonista norvegese, è autore dei dieci brani che innervano il lavoro svolto dall’orchestra da lui diretta. Il tono è aulico e apparentemente leggero, mentre gli incroci tra jazz e pop dell’attualità si configurano uno dietro l’altro. Un disco meravigliosamente frivolo senza esserlo. Fjordingen I e Fjordingen II hanno un carattere ampolloso e a tratti estatico, Drosa Is Real! sembra un afrobeat edulcorato con Zappa. Risultato: infonde rilassatezza e permette di volare. (gianluca diana)

THOUGHTCAST
NIMBUS IN MOTION (Shifting Paradigm Records)
**** Esordio discografico per il quartetto attivo dal 2017 nel Midwest con Graydon Peterson (contrabbasso), Nate Wood (tromba), Jake Baldwin (batteria), Ben Ehrlich (tastiere). La band propone 10 original di facile presa e di immediata comunicativa grazie a un postmodern jazz talvolta funkeggiante per via di un collaudato groove, piacevole e convincente, grazie al fatto che i ritmi incalzanti sono ben coadiuvati da linee melodiche altrettanto riuscite. (guido michelone)

MARK TURNER
RETURN FROM THE STARS (Ecm)
*** Almeno dal 2014 il tenorista e compositore afroamericano (57enne) guida quartetti pianoless. In questa registrazione è con il trombettista Jason Palmer, il bassista Joe Martin e il batterista Jonathan Pinson. La sua musica ha spesso un approccio intellettuale e richiede tempo per essere assimilata, priva com’è di virtuosismi e «abbellimenti». Turner attualizza un’idea «cool» del suono e si conferma tra i sax di riferimento nel panorama internazionale. (luigi onori)

THE WHITE BUFFALO
YEAR OF THE DARK HORSE (Snakefarm/VMLAS/Universal)
*** Nuovo disco per Jake Smith, conosciuto come The White Buffalo. Il barbuto cantante e autore, accompagnato dai sodali di sempre Matt Lynott alla batteria e Tommy Andrews al basso, rilascia un lavoro molto vario che supera le barriere del folk rock e «americana» aprendosi anche a sonorità e stili più eterogenei, con brani che rimandano ai Counting Crows così come agli Elo. Quello che resta intatto è il timbro vocale, sempre profondo e intenso. (roberto peciola)