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Gli Ultrasuonati

JAZZ ITALIA Estetica mediterranea Qualcuno lamenta una sovraesposizione di uscite discografiche dal jazz italiano, ed effettivamente i cataloghi si vanno facendo imponenti. A volte, però, sono uscite decisive, per mettere […]

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 20 agosto 2022

JAZZ ITALIA
Estetica
mediterranea

Qualcuno lamenta una sovraesposizione di uscite discografiche dal jazz italiano, ed effettivamente i cataloghi si vanno facendo imponenti. A volte, però, sono uscite decisive, per mettere punti fermi nell’estetica di questa musica vissuta da una sponda del Mediterraneo. Ad esempio Francesco Caligiuri e Nicola Pisani siglano con Monastère enchanté-L’ensemble créativ (Dodicilune, come i titoli a seguire) un portentoso esempio di incontro e ri-composizione sulla musica barocca e gli apporti di impro jazzistica, registrato con due organici forti di musicisti dalla creatività non comune: dai leader a Michel Godard, da Francesca Donato a Eugenio Colombo. Un favoloso tributo a Mingus, Charlie’s Blue Skylight, con il sax soprano magistrale di Roberto Ottaviano e il pianoforte avventuroso di Alexander Hawkins. Note che sembrano scritte domani. Guarda al raffinato gioco di armonizzazioni e contrappunto alternati con sapienza nel West Coast Jazz l’ensemble allargato a cinque ottoni del bassista Massimo Pinca in Singin’ Rhythms, Pulsing Voices: che eleganza. (Guido Festinese)

JAZZ ITALIA/2
Contaminazioni
poetiche

Dopo la beat generation anche in Europa il jazz si contamina con la poesia (e viceversa). Oggi Battaglia Arrigoni Caputo Di Battista (così in copertina) con Questo tempo (DaVinci Jazz)si confrontano con la grande stagione femminile italiana (Amelia Rosselli, Margherita Guidaccia, Laura Pugno, Ortese ecc.) scegliendo di abbinare i versi a un canto e un sound decisamente sperimentali, per cogliere forse l’essenzialità di una lirica a sua volta neoavanguardista. Di segno opposto il Poetry Sextet in Poetesse in musica (Filibusta Record) dove i testi di sedici nuove autrici vengono musicati dal chitarrista Franco Tinto nei parametri della forma-canzone, senza troppo scostarsi da un filone tradizionale leggero. Infine sono i testi (scientifici) di alcuni matematici (che prestano la voce negli incipit) a ispirare il percussionista Sebastiano De Gennaro per Musica razionale (AMS Records) in una ricerca elettronica memore di tanta storia, dal techno-pop alla computer music, dal free al prog. (Guido Michelone)

BLUES
L’anima
doppia

Blues ad alte temperature. Bella sorpresa firmata Patty Tuite, una esperta blueswoman che con Hard Case of the Blues (Thread City Productions) realizza il colpaccio. Il disco è composto da undici canzoni di qualità. Con una doppia anima: la prima è francamente New Orleans, la seconda melodica e vicina alla Etta James più delicata. I Just Wanna Play, Diggin’ up outta this Hole, Goin’ out of Town Tonight e la title-track rispondono a questa dicotomia. A cui si aggiunge un gran singolo come Nothin’ but Trouble, con Bobby Rush all’armonica a far la differenza, che emerge su tutto. C’è una nuova band in città e risponde al nome di The Dig 3: il disco omonimo (Autoprodotto) vede assieme Andrew Duncanson, Ronnie Shellist e Gerry Hundt, bluesmen abituati a spingere per altri che propongono un blues elettrico, poderoso e da juke joint. A metà tra Slim Harpo e Moreland & Arbuckle si fanno apprezzare con You’re the One, Don’t Slip e Southern Fantasy. Finale con i rodati neozelandesi Kokomo e il loro Workhorse (Autoprodotto), divertenti in Bars Gonna Close e I’m Going Fishing. (Gianluca Diana)

ELETTRONICA
Il richiamo
della terra

L’elettronica è da sempre territorio congeniale per i musicisti tedeschi. Tra questi Kurt Dahlke, in arte Pyrolator, ha rappresentato, a fine anni Settanta, uno degli artefici maggiori, sia con i D.A.F., la band di cui fu membro fondatore, che come solista. E a 43 anni fa risale un suo disco, Inland, che voleva essere un lavoro di protesta, pur se strumentale, contro le armi nucleari. Oggi, dopo altri quattro lavori per la serie «Land» torna con un album affascinante, Niemandsland (Bureau B/Audioglobe), sempre rigorosamente in un solco elettronico dal sapore kraut. Restiamo in ambito elettronico ma ci spostiamo a New York City, dove durante il periodo di lockdown, Dan Friel, membro degli Upper Wilds, ha composto e registrato i brani che compongono Factoryland (Thrill Jockey), ispirati ai suoni che gli arrivavano dalla strada, dove si costruivano palazzi e grattacieli, e dai rumori del mondo esterno, mentre lui era bloccato nel suo appartamento. Con l’aiuto di una piccola tastiera e una drum machine Friel ha tirato fuori dieci tracce di pop strumentale, straniante e abrasivo. (Roberto Peciola)

LEGENDA

* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

JAZZ ITALIA/3
Prospettiva
nascosta

CLAUDIO CHIARA BARBARA RAIMONDI 4ET
ELEVEN SONGS OF PEACE AND LOVE (Zanetti Records)


**** Quante prospettive, quanti angoli nascosti si celano ancora in brani che hanno fatto da sedimento e spessore per una generazione ribelle e sognante assieme? Infiniti. Un paio d’anni fa ci provò Maria Pia De Vito con Dreamers, adesso la riflessione in musica e in jazz passa a Barbara Raimondi e Claudio Chiara, al confronto con Joni Mitchell, Grace Slick, Neil Young, Stills, Carole King, per citare qualcuno. White Rabbit come non la immaginereste in due vite, After the Gold Rush virata in tinte blues. Non un esercizio di stile, ma di verità ulteriore. (guido festinese)

BLUES/2
Un distacco
esplosivo

SHEMEKIA COPELAND
DONE COME TOO FAR (Alligator Records)


***** Sono gli anni della Copeland. Per la seconda volta di fila azzecca un disco clamoroso con il quale, senza nulla togliere alle colleghe, si impone per distacco. Non vi è nulla che non vada bene in questo album. È meravigliosa nella acustica e lenta The Dolls Are Sleeping, esplosiva nel blues bollente di Pink Turns to Red e giocosa nei ritmi cajun di Fried Catfish and Bible, fiammeggiante in Too Far to Be Gone dove ospita Sonny Landreth. Il capolavoro arriva con la title-track dove forgia una hit da classifica includendo Cedric Burnside a voce e chitarra e Kenny Brown alla slide. Uno dei dischi dell’anno. (gianluca diana)

CLASSICA
Violini
da condividere

ALESSANDRO QUARTA DINO DE PALMA
SIXTEEN SEASONS (Arcana, Outhere)


***** È geniale l’idea di dei due violinisti che si spartiscono le celebri Quattro Stagioni per eseguirle con l’orchestra Concerto Mediterraneo diretta da Gianna Fratta. Accanto alle classicissime vivaldiane, ci sono le Estaciones porteñas di Astor Piazzolla; meno note invece risultano sia Recomposed Vivaldi dell’inglese Max Richter il quale lavora in un postmoderno citazionismo e il Violin Concerto No. 4 The American Four Seasons di Philip Glass dove il suo tipico minimalismo trova persino qualche eco simbiotica con il barocco settecentesco. (guido michelone)

POP ROCK
Le regole
del (bel) gioco

KASABIAN
THE ALCHEMIST’S EUPHORIA (Sony)


**** Dopo l’allontanamento forzato del frontman Tom Meighan era chiaro che Sergio Pizzorno avrebbe preso le redini definitive della band inglese (non che non le avesse già) ponendosi anche dietro al microfono. Ma i cambiamenti non finiscono qua, perché questo settimo album dei Kasabian è un lavoro «diverso». Un disco che flirta qua e là con l’elettronica, con l’hip hop, senza però dimenticare le origini, diciamo così, ossia quel pop rock di cui hanno saputo dare in passato notevoli prove. Metteteci anche qualche sperimentazione e un pizzico di psichedelia e il (bel) gioco è fatto. (roberto peciola)

COLONNE SONORE
Stille
di fascino

MOGWAI
BLACK BIRD OST (Rock Action/Self)


**** Appare chiaro come Stuart Braithwaite e soci abbiano sviluppato una passione per le colonne sonore. E il fatto è che, così come per i loro dischi «canonici», la cosa gli riesce veramente bene, consacrandoli, a nostro avviso, tra le migliori band degli ultimi decenni. Non fa quindi eccezione questa soundtrack di una miniserie tv (su Apple Tv+), un thriller psicologico (che vede anche la partecipazione di Ray Liotta, da poco scomparso) a cui le musiche della band scozzese si adattano alla perfezione, e che non perdono una stilla di fascino anche al di fuori delle immagini. Bello, come sempre! (roberto peciola)

DEATH BELLS
BETWEEN HERE AND EVERYWHERE (Dais Records)
*** Terzo disco per il duo australiano, trapiantato a Los Angeles che, a loro dire, rappresenta con la sua vastità una costante ispirazione. Quello che la band ci propone è una rivisitazione di un suono post punk Eighties quasi classico, con influenze che portano il pensiero in primis ai Joy Division – e quasi naturalmente ai New Order -, e poi a gruppi seminali della scena revival post punk Usa come gli Interpol. Niente di nuovo sotto il sole della California ma questi 35 minuti di musica sono più che godibili, anche, o forse soprattutto, per chi quegli anni li ha vissuti. (roberto peciola)

MAX GIGLIO
CITIES AND LOVERS (Emme Prod)
ééé Le città cui si allude nel titolo sono Torino e Genova: lì s’è formata la bella e flessuosa voce jazz di Max Giglio, che a più d’uno potrà rammentare l’elegante dizione e il fraseggio levigato di un Nat King Cole, evidente modello di riferimento. Sette brani originali eleganti, una versione della difficile e swingante The Dry Cleaner from Des Moines di Joni Mitchell da incorniciare. Eccellente la tromba di Cesare Mecca. (guido festinese)

MAG COLLECTIVE
BIRTH, DEATH AND BIRTH (Dodicilune)
*** Il contralto luminoso e limpido di Giulia Galliani, anche compositrice di diversi brani, è la nervatura centrale di questo collettivo, di base un quintetto, in aggiunta ospiti eccellenti con piano (come Alessandro Lanzoni), corde, elettronica. Tempi medi e lenti, ricordi di antichi aromi art rock e di Carla Bley (Happiness) una sottile e salutare inquietudine che traspare in molti brani, evidenziata spesso da azzeccate soluzioni timbriche a sorpresa, che forse avrebbero potuto essere incrementate. (guido festinese)

LUCA MARENZIO
MISSA JUBILATE (Dynamic)
**** Accanto a brani già noti, vengono registrati alcuni inediti del grande compositore (1553-1599) di recente ritrovati nell’Archivio Capitolare di Vercelli, città in cui oggi opera mons. Denis Silano, musicologo e ricercatore, il quale dirige alcune stupende pagine di musica sacra, da Jubilate Deo a Magnificat Sexti Toni del maggior madrigalista di ogni tempo: otto le voci più Stefano Demicheli (organo) e Federico Bagnasco (violone). (guido michelone)

GIUSEPPE SANTELLI TRIO
IL SOGNATORE (Filibusta)
**** Il pianista calabrese Santelli ha collezionato nella sua fresca carriera un numero ragguardevole di riconoscimenti, oltre ad aver collaborato con decine di nomi rilevanti della scena rock e jazz. Questo disco in trio ci svela ogni angolo di un pianismo palpitante, lirico, a tratti impetuoso e spesso marcato da quella fantasmagoria di note brillanti che amavano esporre Chick Corea e Peterson. E anche la scrittura regge egregiamente la prova: ben più che una rivelazione. (guido festinese)

DEMETRIA TAYLOR
DOIN’ WHAT I’M SUPPOSED (Delmark Records)
*** Demetria Taylor ha qualità che non si discutono e che immette in queste dodici canzoni dove il Chicago Blues la fa da padrone. Notevoli sono Nursing My Kitty Cat e Young Gun Taylor, non casualmente a sua firma. Hanno carisma anche 83 Highway e Welfare Blues. Ma alcuni momenti dell’album appaiono molli rispetto a quanto la cantante afroamericana è capace di fare. Ed è un peccato. Ne fa le spese il senso complessivo del tutto. (gianluca diana)

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