Gli Ultrasuonati
JAZZ ITALIA
Magistero
poetico
Il magistero poetico e tecnico di Enrico Pieranunzi continua a lasciarci doni. E lo fa con una tavolozza di organici cangiante, mai meno che efficace nel restituirci un mondo di amore per la musica, tutto tranne che artificioso. Quando Pieranunzi suona in trio con il basso sontuoso e mobilissimo di Marc Johnson e la batteria tutta ricami, fruscii e accenti monelli sul bordo estremo delle battute di Joey Baron è festa grande. Sono vecchi amici, hanno un rapporto telepatico di intesa, e se mai la parola «interplay» ha avuto un senso, qui lo trova pieno, come è avvenuto con Evans, con Jarrett, con Taylor. Hindsight (CamJazz), dal vivo all‘Auditorium La Seine Musicale di Boulogne- Billancourt contiene un solo (ottimo) standard, Everything I Love di Cole Porter, il resto è tutto dalla penna fatata di Pieranunzi, con un picco emotivo in Molto ancora, dedicato al grande e sfortunato Luca Flores. Pieranunzi protagonista da ospite speciale in Heroes (Abeat) nel giovane Ensemble guidato dall’ottimo flautista Aldo Di Caterino. Gli fa onore, e fa onore a tre ragazzi che coronano un sogno regalandocene un altro. (Guido Festinese)
JAZZ
Una figura
centrale
Per la 577 Rec. è stato ed è centrale il jazzista afroamericano Daniel Carter, a New York dal 1970 in contesti di avantgarde. Lo si trova ancora oggi attivo in progetti di gruppo con il suo polistrumentismo senza rivali. In Magic Heart vol. 2 dell’8tet Playfield è in primo piano con il pianista Eric Plaks e il chitarrista Aron Namenwirth (produttore). Tre lunghi brani per l’anomala formazione: a carattere timbrico-sperimentale; in forma di minisuite; in un concentrato adrenalinico di suoni e voci. In Open Questions vol. 2 del 5tet omonimo, l’atmosfera è più jazzy, un astratto cool contemporaneo. Ancora E. Plaks più due fiati (A. Ishito, Carter). Il 79enne jazzista afroamericano è trombettista ispirato in Peach Blossom, sassofonista dialogante in Undercover Cats. Telepathic Mysteries vol. 2 è opera del paritario 5tet con D. Carter, P. Holmes (clarinetto), M. Putman (piano, tastiere), H. Greene (basso) e F. Ughi (batteria). Sei brani per una seduta di improvvisazione policroma, i cui frammenti trepidanti si ricompongono in un disegno di creatività di gruppo. (Luigi Onori)
BLUES
Amori
acustici
Staccate la spina, abbiamo la giusta colonna sonora in blues per il fine settimana. In acustico dall’inizio alla fine scalda il cuore il nuovo di Max Forestieri, che palesa il suo vecchio amore per l’acustico dei tempi andati con Dusty Tape Ballads (Blues Garden). Una piccola perla dove lo si apprezza in una sessione di registrazione rilassata e priva di tensione, circostanza che favorisce l’emersione della sua bravura. Segnaliamo Better Time Will Come, Ryanair Blues e Frozen Radiator. L’incedere ritmico di quest’ultima richiama Happy Hour (MoMojo Records) di Mitch Woods. Le due incisioni pur se stilisticamente lontane nei suoni hanno lo stesso fervore agonistico. Il pianista si avvale del solito Kid Andersen, studio incluso, e conseguentemente Broke, Boogie Woogie Bar B Que e Mojo Mambo, atto devozionale al pianismo di New Orleans, sono frizzantissime. Sempre piacevole Jimmy Carpenter che torna con Just Got Started (Gulf Coast Records): soul blues saporito e buono per un allegro sabato notte, in particolare con Jimmy Shimmy e Night People. (Gianluca Diana)
JAZZ ITALIA/2
La qualità
è nella voce
Quanto c’è di buono in questi tre album di canto jazz italiano è nella qualità della voce, nel modo di interpretare, nel feeling con gli altri musicisti, grazie a begli assolo o ad arrangiamenti che sopperiscono a qualche carenza strutturale. Forse evitando troppi «fai da te» da compositrici e cantatesse, sarebbe meglio cimentarsi con standard poco battuti o decisamente moderni. Ed è ciò che in parte fa Vanessa Tagliabue Yorke con Princess of the Night (Playaudio), recuperando Ellington, Strayhorn, addirittura Messiaen, in quintetto semi-cameristico che da un lato esalta una voce straordinaria, dall’altro l’allontana dal dixieland delle origini, dove licenzia dischi pieni di humour e ironia. Beatrice Arrigoni con Terrestre (Barly) in piano jazz trio offre nove canzoni diversificate in quanto gusto, dinamismo, orecchiabilità, non senza intraprendere tortuosi percorsi fonetici. Ancor più jazz Stefania Arcieri di Insistent (Dodicilune): attorno a lei ruotano ben 17 musicisti di valore per conferire un sound fresco dai colori attualissimi con riferimenti anche funky, fusion e latinoamericani. (Guido Michelone)
LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico
INDIE ROCK
Un mood
delineato
THE HARD QUARTET
THE HARD QUARTET (Matador/Self)
*** Il disco di debutto (chissà se poi ce ne saranno altri) del supergruppo che convoglia le forze di Stephen Malkmus, Matt Sweeney, Emmett Kelly e Jim White, è un tuffo (e come potrebbe essere altrimenti) negli anni Novanta. Malkmus, nonostante le premesse e promesse di un lavoro condiviso, fa la parte del leone con nove brani su quindici a sua firma, e la recente reunion dei Pavement deve aver influito nella composizione, perché il suono di base ricorda molto quello della band Usa. A dare un’impronta meno «indie rock» ci pensa White con il suo drumming jazzato, ma il mood è ben delineato. (roberto peciola)
NOISE ROCK
Apocalittiche
visioni
HUMAN IMPACT
GONE DARK (Ipecac)
**** Se Chris Spencer degli Unsane e Jim Coleman dei Cop Shoot Cop messi assieme ancora non erano abbastanza per voi, sappiate che il livello è salito ulteriormente con la nuova sezione ritmica composta dal batterista Jon Syverson, già nei Daughters, a cui si è aggiunto il bassista Eric Cooper già visto con Made Out of Babies e Bad Powers. Noise all’ennesima forza sonora e testuale. Il suono è feroce e altrettanto la visione apocalittica di una repressione mondiale in atto. Eclatante è la copertina dell’album così come lo sono brani quali Destroy to Rebuild, Collapse e Repeat. (gianluca diana)
POST ROCK
Ritorno
a casa
KARATE
MAKE IT FIT (Numero Group)
**** Le note iniziali di Make it Fit – il primo album dei Karate in oltre 20 anni – per alcuni saranno una piacevole scoperta, per altri un lieto ritorno a casa. La voce di Geoff Farina in primo piano e le chitarre così fieramente alternative tornano ad essere il tratto distintivo della band di Boston, ma sono soprattutto i brani fieramente indie-post rock a mostrare una rinnovata verve compositiva. A metà strada fra echi anni Novanta e suoni dei giorni nostri, i Karate siglano un nuovo capitolo della loro carriera, certamente fra i migliori della loro discografia. (michele casella)
AFROBEAT
L’eredità
contagiosa
SEUN KUTI & EGYPT 80
HEAVIER YET (LAYS THE CROWNLESS HEAD) (Record Kicks)
***** Il figlio più giovane di Fela Kuti ne raccoglie da tempo l’eredità musicale e sociopolitica, portando avanti il progetto Egypt 80. Nel quinto album ci propone sei brani a base di afrobeat, soul, funk. Prodotto da Lenny Kravitz, con ospiti del calibro di Damian Marley e Sampa the Great, sfodera una grandissima potenza emotiva e comunicativa, con testi che invitano al cambiamento sociale e all’emancipazione della sua gente. Sound perfetto, ritmi contagiosi, canzoni eccellenti. (antonio bacciocchi)
ALT JAZZ
Futuro
contemporaneo
ROOM 31
CRAZY TOWN (Positive Elevation)
***** Due musicisti «New York City based» che sono anche grafici e tecnici del suono. Greg Sinibaldi (sax baritono, elettronica, NuRAD) e Marlon Patton (batteria, basso, elettronica) si frequentano dal 2008 e suonano insieme dal 2019. Crazy Town è l’album d’esordio, con sei pezzi originali per una miscela elettroacustica che attinge a musica d’ambiente, elettronica, jazz, avant-rock. L’ascolto genera uno «straniamento gradevole», immersi in un flusso di suoni che ben incarna e rappresenta l’odierna realtà così connessa alla tecnologia che, però, conserva tratti umani o «umanistici». Futuro contemporaneo. (luigi onori)
BOOM YEH
NEAR-EARTH OBJECTS (Cosmosium Records)
**** Da molti anni esiste una scena musicale sotterranea, di estrema nicchia, seguita da attenti cultori ed estimatori, che ama servire il classicissimo piatto di soul, funk, blues, jazz, in chiave strumentale, sulle orme di Jimmy Smith, Booker T, Meters, James Taylor Quartet. La band londinese arriva dal giro Jamiroquai, Brand New Heavies, Incognito e ci regala un gustoso album pieno di ritmo e groove, una discreta dose di fusion e brani costruiti con classe. (antonio bacciocchi)
MILES DAVIS
COMPLETE CAFE BOHEMIA VOLUME 1 (GRooVEback Records)
***** Comparse più volte in versione pirata (bootleg), ora queste storiche registrazioni vengono sistematizzate, in vinile, da una nuova label con approfondito apparato critico. Risalenti al periodo Prestige le prime tre serate (15 e 29 settembre 1956 e 13 aprile 1957) presentano il quintetto del trombettista in gran spolvero: John Coltrane, Red Garland, Paul Chambers e Philly Joe Jones ascondano il leader e al contempo inventano un sound immaginifico: che guarda al presente, suonando il futuro. (guido michelone)
SANDRO GIBELLINI
CHORINHOS (Barly Records)
**** Come gran parte dei jazzisti, il chitarrista e compositore Sandro Gibellini adora la MPB, la musica popolare brasiliana. Questo progetto è riservato ai palpitanti cerchi di «choro» e «chorinho», ambito assai meno noto di bossa nova e tropicalismo, palestre di sorridente e trascinante virtuosismo nate in contemporanea al grande jazz di Duke Ellington, cent’anni fa. Dodici brani, undici musicisti amici convocati per un viaggio sonoro avvincente e raffinato. (guido festinese)
EL KHAT
MUTE (Glitterbeat)
*** Ha dalla sua una indiscutibile genialità Eyal el Wahab, il polistrumentista che conduce la formazione. Poetica e suoni che innervano le sue incisioni pescano da multiculturalità e pragmatismo. Essere ebreo arabo vivendo a Jaffa e provenendo da famiglie yemenite, porta delle difficoltà soprattutto se sei contro la attuale guerra. Per ovviare a ciò al momento il combo è stanziale a Berlino e nel frattempo ha realizzato un disco acido e poliritmico al tempo stesso. (gianluca diana)
MAIGA MOMI
KAIRO (Segell Microscopi)
**** Giunto al secondo album, il musicista senegalese, residente a Barcellona, presenta un delicato lavoro di undici canzoni che, nei testi, inneggiano alla pace, esaltano l’amore e condannano il razzismo. Le musiche sono un felice riuscito compromesso fra l’arcana negritudine del West Africa e ottime conoscenze europee in fatto di classica e flamenco, a cui va aggiunta la puntuale predisposizione jazz. (guido michelone)
TOMMASO VARISCO
THESE GLOVES (Love &Thunder)
**** Varisco arriva da Chioggia, ma quando gli sentite cantare in inglese le sue ballate amare, incentrate sulla ripetizione ossessiva di frasi, come se i Velvet Underground avessero vestito panni alt country, con una voce che cerca solo sostanza comunicativa, farete fatica a non credere che arrivi dall’Arizona o dalle medesime terre dove albergava lo spirito noir country dei 16 Horsepower. Un compagno d’avventure di Stella Burns, sulle medesime poetiche e desolate piste, e non a caso Stella Burns qui lo trovate in gioco complementare di chitarre e tastiere. (guido festinese)
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