Gli Ultrasuonati
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Gli Ultrasuonati

Ultrasuoni La rubrica musicale del sabato
Pubblicato 26 giorni faEdizione del 12 ottobre 2024

JAZZ
Contemporaneità
senza confini

Disco dopo disco, l’etichetta svizzera Intakt sta costruendo un catalogo di jazz contemporaneo senza confini di ragguardevole spessore. Le scelte ricadono sia su maestri storici, gente così «fuori moda» da sembrarci ancora più avanti oggi che in passato, sia su ua ricerca di nuovi talenti, pullulare di energie fresche che meriterebbero ben altra attenzione. Ne segnaliamo due qui. Partiamo da Back to the Land, dello svizzero-americano Ohad Talmor, eccellente sassofonista e clarinettista, alla testa di un trio di base con Chris Tordini al basso ed Eric McPherson alla batteria, rafforzato da altri setti musicisti: a lavorare sul canovaccio vertiginoso delle composizioni di Ornette Coleman e di Dewey Redman, molte delle quali inedite. Attendetevi idee e sorprese. Sorprese a fiotti anche dal visionario Pink Mountain Sagas, trio della magnifica vocalist svizzera Sarah Buechi con basso e chitarra elettrica, e ospiti alla fisarmonica diatonica, violino, alphorn, salterio. Trasfigurazione folk, avant e art rock, jazz apolide, «un ritorno a casa, un tentativo, una tentazione», dice lei, e ha ragione. (Guido Festinese)

ALTERNATIVE
I seguaci
del post punk

Cambio di registro per Porches, progetto/band che fa capo al cantante e autore Aaron Maine e che con Shirt (Domino/Self) arriva al sesto disco in carriera. Cambio di registro perché questo è il suo disco «rock», con chitarre, bassi e batteria ben sparate e con un progressivo abbandono dei suoni synth pop dei dischi precedenti. Piacevole ma quell’utilizzo reiterato dell’autotune alla fine crea qualche fastidio. Dagli States alla prolifica Dublino con il debutto dei Gurriers con Come and See (Pias/Self). Seguaci del verbo post punk, sembrano avere negli Idles il punto di riferimento, vuoi per lo stile canoro del frontman Dan Hoff, vuoi per le spigolosità più punk che post dei suoni. Urlano la loro rabbia con testi che mettono in risalto la difficoltà e il disagio di una società (irlandese ma non solo) sempre meno «accogliente». Non certo la band più originale del pianeta ma in quanto a grinta non sono secondi a nessuno. Attraversiamo il canale d’Irlanda e andiamo a Newcastle, città natale dei Maxïmo Park che tornano con Stream of Life (Lower Third), album che segue il loro stile indie, forse solo un po’ meno spinto sull’acceleratore. (Roberto Peciola)

BLUES
Una questione
famigliare

Amplificatori a valvole con il volume bello alto. Si parte con Blues in My DNA (Alligator) con il quale apprezziamo un Ronnie Baker Brooks in forma. Siamo, per genia famigliare e scelta artistica, completamente immersi nel Chicago Blues. Suoni già noti che il nostro arricchisce con l’empatia generata dalle canzoni create. A far la differenza oltre alla title-track, emblematica narrazione di stampo famigliare, si evidenziano per pathos e completezza I’m Feeling You, I Found a Dollar Looking for a Dime e la lunga Stuck on Stupid. Un disco che fa ben sperare per il futuro. Figlio della prima omonima sessione è Dirt on My Diamonds Vol. 2 (Provogue) di Kenny Wayne Shepherd. Un lavoro dal suono lucente e muscolare, che si esalta in The Middle, She Loves My Automobile e Watch You Go. Applausi al quindicenne Taj Farrant dall’Australia che esordisce con Chapter One (T&J). A metà tra Texas e Chicago il ragazzo dimostra un talento notevolissimo con 2×2 e Freight Train, ottimi biglietti di presentazione: un augurio al giovane per un radioso avvenire. (Gianluca Diana)

CLASSICA
Identità
manifeste

Ciò che accomuna l’opera pianistica di questi tre compositori primo-novecenteschi, pur tra loro geoculturalmente diversissimi, è l’attenzione alle musiche tradizionali dei rispettivi paesi. Infatti nel disco Chopin Szymanowski (Alpha-Classics) dell’interprete Jonathan Fournel spiccano in particolare le Variations on a Polish Folk the Op. 10 di Karol Szymanowski (1883-1937) qui posto a confronto con l’illustre predecessore che, anche da Parigi, manteneva viva la propria identità polacca. Lo stesso si può dire di Aram Khachaturian di An Armenian in Moscow (DaVinci Classics), dove la pianista Victoria Terekiev esegue le ultime opere di un autore (1903-1978) a lungo al servizio del realismo sovietico, ma in grado di mantenere una propria individualità. Invece dalla piccola Sedalia, Missouri, l’afroamericano Scott Joplin (186-1917) protagonista di Elite Syncopations (Odradek) compie un percorso inverso: tra i primi a sviluppare una black music dalle radici colte e al contempo dalla forte comunicativa, che oggi il pianista Marco Fumo, valorizza negli aspetti più visceralmente modernisti. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

JAZZ ITALIA
Preziose
occasioni

EUGENIO COLOMBO/ROBERTO BARTOLI
7 DANCES (Samaveda Music)

**** Preziosa occasione per ascoltare il sax di Colombo (soprano e alto) in duo con il contrabbassista Bartoli che ha organizzato un breve tour e la seduta di incisione. «Danza e musica sono racconto, trasformazione», scrivono i due musicisti e autori: i loro duetti sono ora meditativi (Danza nera), ora cinetici e coreutici (La via del fuoco), ora travolgenti come nel fiato continuo e nell’archettato di Lontano da Latakja. Jazz, musica etnica e da camera, oriente-occidente si intersecano con leggerezza. Per danzare con corpo e mente. (luigi onori)

ALTERNATIVE/2
Psichedelia
«sonica»

THURSTON MOORE
FLOW CRITICAL LUCIDITY (Daydream Library)

**** I Sonic Youth sono stati tra i gruppi più innovativi e originali dagli anni Ottanta in poi, con il loro suono abrasivo, figlio del punk più estremo, seminale per varie generazioni di musicisti. Dopo lo scioglimento i quattro componenti si sono sparsi tra mille progetti, più o meno riusciti. Il chitarrista Thurston Moore torna con un album riuscito, che cita Lou Reed, si immerge nella psichedelia, con qualche retaggio Sonic Youth e in ballate malinconiche. I fan apprezzeranno ma un ascolto è consigliato a chiunque. (antonio bacciocchi)

ART POP
La luce dopo
il blackout

MY BRIGHTEST DIAMOND
FIGHT THE REAL TERROR (Western Vinyl)

***** Ritorno alle origini, o quasi, per Shara Nova. E che ritorno! Abbandonate le pulsioni elettroniche, l’artista di Detroit prende spunto da un blackout nella sua città poco giorni dopo la scomparsa di Sinead O’Connor per riflettere sulla fragilità umana, e imbracciata la sua chitarra ha iniziato a tirare giù idee sonore che vanno a riprendere quanto fatto in passato, con dischi di grandissimo fascino. La magnifica voce di Shara ci trasporta lungo una decina di brani tra art rock, folk e sperimentazione. Chi ha nostalgia di Kate Bush ha qualcosa per cui consolarsi. (roberto peciola)

BLUES/2
Una palude
scintillante

JD SIMO & LUTHER DICKINSON
DO THE RUMP (Forty Below Records)

**** Un incrocio, parzialmente, inatteso e messaggero di una inusitata sorpresa. Otto blues che avviluppano esattamente come le Spider Lilies delle paludi della Louisiana, scintillando della medesima bellezza. Il trio composto dal batterista Adam Abarashoff, quanto carattere nel suono che propone, e dai due leader contiene improvvisazioni mai narcisistiche e sempre sorprendenti. La libertà espositiva che l’Hill Country Blues permette, dà agio alla coppia di volare altissimo su tracce scritte da altri che assumono una vita completamente nuova. (gianluca diana)

JAZZ ROCK
Visioni
avant-garde

VON SPAR/EIKO ISHIBASHI/JOE TALIA/TATSUHISA YAMAMOTO
ALBUM I & II (Bureau B/Audioglobe)

**** Sette musicisti coinvolti, un collettivo che riunisce tre delle migliori menti avant-garde giapponesi e Von Spar, gruppo tedesco sulle medesime frequenze. Immaginate una session dove il kraut rock nelle declinazioni alternative robotiche e cosmiche assieme vada a sposarsi con il post rock e il post jazz che suonavano i primi Tortoise, i Gastr del Sol, gli Isotope 217, con una sguardo lungo anche su antichi manufatti jazz rock. Il secondo volume è una lunga suite astratta: qui c’entra molto anche la psichedelia estrema. (guido festinese)

GIUSEPPE AZZARELLI
LE SETTE SOGLIE DELLE ORIGINI (Dodicilune/Halidon)
**** Il compositore lombardo torna a stupire con un’opera al contempo semplice e complessa, dai chiari riferimenti classici europei (con qualche eco minimalista), anche se lo sguardo è culturalmente rivolto via via agli scritti di Ildegarda di Bingen, ai Veda, a leggende africane ed ebraiche, ai miti sumeri. I sette brani sono uno per ciascuna nota in senso discendente e riguardano gli armonici del suono ad esso corrispondenti, dalla tecnica misticamente ispirata alla natura fisica delle vibrazioni. (guido michelone)

SIMONE MANUNZA
MOTIVI FAMILIARI (Limefiled)
*** Il titolo allude ai brani che il chitarrista ascoltava durante l’infanzia. Arie o canzoni di Puccini, De Capua, Kramer, Buscaglione, Piazzolla vengono rilette e straordinariamente reinterpretate in chiave jazz dal chitarrista lombardo in trio e quintetto. Peccato solo per le tre composizioni manunziane in stile mainstream che cozzano contro il progetto sulla «nostalgia del passato». (guido michelone)

SAMUEL MELE
IL SANTO SFORZO DI CAPIRE COSA SIA L’AMORE (Nauna Cantieri Musicali)
**** Con una voce sporta sulle timbriche più alte, quasi un incrocio tra il falsetto di Pino Daniele e l’angelica visionarietà del primo Alan Sorrenti, con un quid di amaro in più, si presenta il salentino Mele nel suo disco d’esordio. Sono canzoni in bilico tra amore terreno e misticismo, come nelle note Qawwali del Pakistan, persiane, turche. Intessute di raffinati suoni mediterranei: ad esempio il liuto oud e le volute del flauto ney, che si incastrano con altre corde, una tromba una tuba. Notevole. (guido festinese)

MERCURY REV
BORN HORSES (Bella Union/Self)
*** A nove anni dall’ultimo lavoro di brani originali la band di Buffalo riprende in mano la scrittura e la composizione, e lo fa spiazzando ancora una volta i fan. Il cambiamento più evidente è certo nella parte vocale, con Jonathan Donahue che elimina la melodia (a parte A Bird of No Address) in favore di un parlato, un racconto con sottofondo musicale. E anche qui certo non mancano di sorprendere, spostando il baricentro verso sonorità che guardano al jazz in forma intimista. (roberto peciola)

SANTANOIA
ZERO FAHRENHEIT (Acannone Records)
**** «Ma tu lo sai cosa vuol dire volare?» si chiedono e ci chiedono i Santanoia. Loro lo sanno, musicalmente parlando. Perché nei brani del loro ep d’esordio costruiscono melodie, esplosioni improvvise dal sapore post grunge, accelerazioni power pop, poi pause inaspettate strumentali. E su tutto la voce, in bilico tra cantato pop e il «rappato», usando un linguaggio »emozionale» che è un rollercoaster profondo dentro i sentimenti di me, te, loro, tutti. (viola de soto)

WE ARE WINTER’S BLUE AND RADIANT CHILDREN
NO MORE APOCALYPSE FATHER (Constellation)
*** Nuova formazione composta da membri di Big|Brave, Ada e Godspeed You! Black Emperor. Il quartetto canadese decide di dar sostanza ed esteriorità alla magnificenza dell’inverno con l’intenzione di creare sei apocalittiche ninne nanne. Il tutto tra drone music e ambient figlia di un post rock dilatato all’inverosimile. (gianluca diana)

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