MUSICHE OBLIQUE
Viaggio
in tre tappe
Viaggio in tre tappe in musiche oblique, somma di cose imprendibili, e proprio per questo affascinanti. Iniziamo con Hazy Loper, The Shadow Carvings and Other Poems (Ribéss). Hazy Loper è il nome che nasconde le molte sfaccettature di Patryck Kadyk: liutaio, autore, falegname, e Devon Angus. Ballate sbilenche e oscure incise a San Francisco, poi definite in Italia, tintinnare di banjo e tocchi chitarristici sporti su un abisso, contrabbassi gentili e brividi inspiegabili per note quiete e gotiche al tempo stesso. Da tempo il chitarrista piemontese Paolo Sala cerca di mettere assieme i tasselli non sempre combacianti delle note classiche, jazz, pop, blues, fusion: c’è riuscito, come fece anni fa Riccardo Zappa, in Semplice-Mente (Bankville ), con l’aiuto di molti amici, e il disco potrebbe essere anche un’ottima riserva di spunti per colonne sonore. Un bell’incanto anche con Artic_Akt del giovane pianista performer napoletano Andrea Riccio: scorrono sotto le sue dita musiche deliziose, in prima incisione mondiale, di Annette Dieudonné, allieva della Boulanger, Robert Schumann, Brian e Roger Eno. Un disco straniante e bellissimo. (Guido Festinese)
AMBIENT
Il mondo
onirico
Ispirato e non effimero, è il suono di stampo ambient e improvvisativo dell’autunno. Iniziamo da Robert Rich & Luca Formentini con Cloud Ornament (Soundascape Productions): i due volano a basse altezze tra mondo onirico e alcuni inserti degni di Häxan, film del 1922 diretto da Benjamin Christensen. L’esito finale è un lavoro di stampo meditativo strutturato in otto tracce, il cui vertice viene raggiunto in Lamplight Chime, Tincture of Luminance e Migration of Octaves. Avanti con l’olandese Etienne Nillesen che via Sofa pubblica en. Sessione di registrazione ardita ai limiti dell’immaginabile, un’unica traccia di trentadue minuti chiamata it, dove l’artista utilizza come unico strumento un rullante da cui ricava in molteplici modi un suono catartico e, a dir poco, minimalista. A suo modo ammaliante. Il fascino delle percussioni tocca anche Vasco Trilla che, con una strumentazione più ricca e variegata che genera ritmicità, incide The Bell Slespt
Long in Its Tower (Thanatosis Produktion). Si apprezzano Acoustic Mirror e Awake Nature from Her Dream. (Gianluca Diana)
FOLK
Sei corde
per la tradizione
Tre chitarristi di tre paesi diversi e tre modi di suonare e «interpretare» lo strumento alla luce della cosiddetta musica latina: il duo sivigliano Diego Amador e José Maria Bandera in Paqueando (Moonjune) rende omaggio, fin dal titolo, al grande Paco De Lucia, soprattutto quello del periodo iniziale con Camaron de la Isla nel solco della profonda tradizione gitana del sud spagnolo. L’italiano Pietro Lazazzara con Alma Gypsy (Stradivarius) al terzo album esibisce in solo, duo, trio, quartetto la cultura sonora tzigana di ascendenza francese, il cosiddetto stile manouche, in cui convergono non solo elementi zingareschi, ma anche il parigino valzer musette e il nuovo jazz europeo (non a caso c’è un duplice tributo al nizzardo Richard Galliano). Infine la tedesca Nora Buschmann per De Berlin a Buenos Aires (Segell Microscopi) esegue, in settetto, il repertorio di un altro chitarrista, l’argentino Carlos Moscardini, autore di brani di tango, milonga, vals criollo, canción, in stile dotto, senza perdere il senso di un moderno folklore. (Guido Michelone)
JAZZ
Dialoghi
eccellenti
Il jazz, s’è detto a ragione, è musica dialogica per eccellenza. L’interplay che caratterizza gruppi e big band trova una sua forma sublimata e perfetta nell’empatia relazionale dei percorsi strumentali in duo. Ne abbiamo prova in tre uscite recenti per Ecm. Partiamo con Unfolding, registrato dai francesi Louis Sclavis ai clarinetti – magnifico il lavoro al clarone – , talento sempre a fuoco, e Benjamin Moussay, pianista di una generazione più giovane. Un incanto lirico (si ascolti A Garden in Ispahan) senza un momento di svenevolezza. Diversa la caratura timbrica in Our Time, a opera del duo norvegese Trygve Seim, ai sassofoni, e Frode Haltli alla fisarmonica, dal mondo dell’avant folk. Quattro momenti di tesa, riuscita improvvisazione, ed esplorazioni di temi folklorici indiani e ucraini, con un ricordo anche per Stravinsky. Un incanto. Mat Maneri alla viola e il rumeno Lucian Ban al piano in Transylvanian Dance esplorano, coraggiosamente, i temi popolari raccolti, trascritti e rielaborati da Bela Bartók un secolo fa: un’operazione al quadrato di assoluta consistenza. (Guido Festinese)
LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico
JAZZ ITALIA
Propensione
improvvisativa
FCTRIO
MINIMAL WORKS (Improvvisatore Involontario/ Kutmusic)
***** Album eccellente del paritetico trio del batterista e compositore Francesco Cusa con Tonino Miano (piano, tastiere) e Riccardo Grosso (contrabbasso, basso). I brani sono costruiti su cellule ritmico-timbrico ripetute e variate con netta propensione improvvisativa. I tre dimostrano un senso costruttivo in brevi strutture e un linguaggio metabolizzante avantgarde jazz e musica contemporanea. Composizioni intervallate da quattro Meditation, sperimentali e introspettive, incentrate sulle campane tibetane. Imperdibile, essenziale. (luigi onori)
AVANGUARDIA
Spiritualità
tecnologica
NEMO/CLEMENTE/RAMI
FATTURA/COMPARSA/DISSOLVENZA (Autoprodotto)
**** «Finalmente qualcosa di nuovo» (come direbbe Pablo Picasso) in un’azione musico-teatrale (registrata dal vivo) di grande spessore filosofico nell’offrire inedite direttrici spaziotemporali, dagli aromi via via liturgici, catartici, terapeutici. L’incontro fra Alberto Nemo (tenore, mistico), Niccolò Clemente (baritono, uomo di scienza), Claudio Milano con Teo Ravelli (basso, drammaturgo) con theremin, pianoforti, elettronica, produce un flusso sonoro avanguardista, tra Oriente e Occidente, antico e moderno, spiritualità e tecnologia. (guido michelone)
JAZZ/2
L’azzardo
creativo
HANK ROBERTS/FILIPPO VIGNATO
ADAGIO (Hora Records)
**** Grandi azzardi non necessariamente producono grandi esiti, capita spesso, anzi, che sia inevitabile il tonfo a chi professa temerarietà. Ci sono però azzardi ragionati, da parte di chi ben conosce se stesso: nelle proprie forze, fantasie, capacità di adattarsi a contesti più che fluidi. Qui si incontrano le corde avventurose del violoncello di Hank Roberts, e la coulisse vibratile e potente del trombone di Filippo Vignato. Bell’azzardo, dunque: risolto con classe monella, spostando sempre più in là e più in alto l’asticella creativa. (guido festinese)
BLUES
Esperienze
sahariane
LUKE WINSLOW-KING
FLASH-A-MAGIC (Bloodshot)
***** A volte bastano un paio di canzoni di qualità per sostenere una registrazione sulla lunga distanza. In questo caso ve ne sono molte di più, a consolidare l’ottimo rientro di Winslow-King. Un merito enorme va al sodale di sempre, quel Roberto Luti che alla chitarra segna la differenza in modo sostanziale. Le recenti esperienze sostenute da lui in zona sahariana brillano e danno carattere a Everywhere You Go There You Are e Peaches. Qualità anche in Ave che ci proietta allo Zebra Studio di Jim Dickinson e in If I Were You, una cavalcata elettrica spettacolare. (gianluca diana)
ALTERNATIVE
Il perfetto
addio
THE X
SMOKE AND FICTION (Fat Possum)
***** Il quartetto di Los Angeles depone le armi e annuncia l’ultimo album della gloriosa carriera, probabilmente troppo sottovalutata. Pur partecipi della scena punk hardcore californiana a cavallo tra Settanta e Ottanta, hanno sempre inserito nel loro sound folk, country, rockabilly, perfino funk, melodie vocali raffinate, incuranti di ogni possibile barriera artistica. Il nuovo disco è come li abbiamo sempre conosciuti e apprezzati: duro, veloce, lirico, perfetto addio per una bellissima e indimenticabile storia artistica. (antonio bacciocchi)
AA. VV.
PUNK FLOYD. A TRIBUTE TO PINK FLOYD (Cleopatra Records)
*** Celebri gruppi punk (o quello che ne resta, non di rado solo il nome o quasi) come Dead Boys, Vibrators, Members, Eater, Skids, Uk Subs si sono cimentati nell’ossimoro di un tributo agli odiatissimi, per antonomasia, Pink Floyd. Come sempre queste operazioni sono caratterizzate da alti (pochi) e (molti) bassi. Anche questa non sfugge alla regola ma è molto curioso ascoltare classici maltrattati o talvolta rivitalizzati da un maquillage punk rock. Anche per questo un ascolto lo merita. (antonio bacciocchi)
THE GEORGIA THUNDERBOLTS
RISE ABOVE IT ALL (Mascot)
*** Un bagno nel southern rock più genuino e sincero per il gruppo proveniente da Rome, Georgia. Guidati dal cantante, tastierista e armonicista TJ Lyle, propongono tredici brani dove non difetta certo l’energia, come dimostrano la title-track e She’s Gonna Get It. Muscoli in modalità stoner anche in Price Tag, mentre in diverse modalità fuoriescono stralci di blues all’interno della divertente It Ain’t Easy e del groove da Mississippi elettrico che arriva da Ain’t Got No Money. (gianluca diana)
JACQUES OFFENBACH
LA VIE PARISIENNE (Palazzetto Bru Zane)
***** Classica operetta in cinque atti su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, messa in scena per la prima volta al Teatro del Palais-Royal a Parigi il 31 ottobre 1866, viene ora riproposta in doppio cd dall’Orchestre National du Capitole di Tolosa (assieme al proprio coro operistico) sotto la direzione di Romain Dumas: si propone la scoperta della versione originaria, dunque integrata di varianti rimosse e di frasi censurate. Un capolavoro di «vita parigina» che anticipa la cosiddetta belle époque. (guido michelone)
RAFF RANIERI TRIO
FLOWS (Filibusta)
*** Il giovane pianista campano, una mano nelle note classiche, una nel jazz, ha già una corposa carriera «live», spesso anche partecipando a progetti orchestrali. Questo suo primo disco, largamente basato sull’idea sci-fi di un viaggio interstellare, lo vede impegnato sia al piano acustico, sia al Rhodes, quasi d’obbligo, visto il tema principale. Ospiti del suo trio, in coda, Simona De Rosa alla voce e Mino Lanzieri alla chitarra ad arricchire brani di bella sapienza costruttiva. (guido festinese)
STEMESEDER-LILLINGER QUARTET
UMBRA II (Intakt)
**** Gli studi di Rudy Van Gelder a Englewood Cliffs, NY, sono luoghi quasi sacralizzati dove sono nati capolavori del jazz moderno. Chi ne varca la soglia sa che in qualche misura si troverà a cogliere vibrazioni di effervescenze creative immense, e così è stato per questo quartetto, che oltre al pianista austriaco Stemeseder e al batterista tedesco Lillinger accoglie il basso sontuoso di Russell Hall e la tromba monella e irrequieta di Peter Evans, a ricordare gli «strappi» di Don Cherry. Quiete e fuoco, nel gioco delle parti perfetto. (guido festinese)
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