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Gli ultras ricorrono a perdere

Gli ultras ricorrono a perdereI senatori centristi illustrano il conflitto di attribuzione

Unioni civili Quagliariello e un gruppo di super cattolici tentano con il conflitto di attribuzione. Ricorso impossibile per un’ipotetica violazione regolamentare. Lite con Grasso a colpi di citazioni manzoniane

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 5 febbraio 2016

Uno strano conflitto di attribuzione quello che una quarantina di senatori di centro e di destra – capitanati dall’ex ministro delle riforme ed ex coordinatore del partito di Alfano Gaetano Quagliariello, attualmente all’opposizione – ha deciso di sollevare per provare a bloccare la legge sulle unioni civili. L’iniziativa è stata presentata ieri, con alcune firme di senatori di Forza Italia e della variegata galassia centrista. Un estremo tentativo di bloccare il disegno di legge Cirinnà che pare destinato al fallimento. Probabilmente irritato per essersi sentito chiamare «don Abbondio», il presidente del senato Grasso ha manzonianamente risposto: «È una pessima idea, da azzeccagarbugli».

Quel ramo del parlamento che sta discutendo della legge sulle unioni civili vive giornate pigre: aula semivuota nell’attesa delle prime votazioni, la prossima settimana. E così Quagliariello si prende la scena. Il conflitto di attribuzione tra poteri dello stato – previsto dall’articolo 134 della Costituzione – viene sollevato perché l’iter del disegno di legge Cirinnà non sarebbe stato conforme a quanto previsto dall’articolo 72 della Carta. Dov’è stabilito che ogni disegno di legge è esaminato prima dalla commissione e poi dall’aula. Stavolta non è andata così, sostengono gli ultracattolici tra i quali brilla il senatore Giovanardi. Perché il disegno di legge Cirinnà nel testo che è arrivato alla discussione d’aula è stato presentato in commissione – a ottobre 2015 – poco prima che il Pd ordinasse di chiudere la fase referente e portare tutto in aula. È così? Dipende dai punti di vista.

La discussione in commissione giustizia sulle unioni civili è in realtà andata avanti per 29 ore divise in 69 sedute, sono trascorsi nel frattempo due anni. Tutto questo a causa dell’ostruzionismo guidato proprio dai senatori del gruppo di Alfano: l’Ncd ha presentato oltre quattromila emendamenti. È vero che il Pd per chiudere lo scontro con gli alleati di governo ha deciso a un certo punto di forzare la mano. E stracciare il (poco) lavoro concreto fatto in commissione per partire da zero in aula, senza relatore e con un testo nuovo che però ricalca quello lungamente – anche se inutilmente – discusso in commissione. Questi strappi sono ormai un’abitudine dei democratici, affinata – con il consenso di Grasso – in casi assai più gravi, come le riforme costituzionali e la legge elettorale. Leggi per le quali la Costituzione espressamente prevede che sia «sempre adottata la procedura normale d’esame». Ma quelle volte gli indignati senatori cattolici – che sono o erano sostenitori delle riforme renziane – tacquero.
Propongono ora questo ricorso, con poche speranze. Perché nei conflitti tra organi dello stato centrale la Consulta è orientata a non riconoscere come soggetti legittimati i singoli parlamentari: bisognerebbe che si costituisse tutto il senato attraverso un voto d’aula. E siccome non è possibile costituirsi contro se stessi, la Corte non ammette nemmeno che vengano presentati ricorso contro gli atti di legge. Per contestare le leggi la strada è un’altra: il giudizio di costituzionalità.

È infatti questa la via che si sta seguendo contro l’Italicum. Perché aver saltato la commissione quella volta è una più evidente causa di illegittimità, visto che le leggi elettorali devono sempre seguire la procedura «normale» di approvazione. Le leggi elettorali, e non le leggi sui diritti civili come il ddl Cirinnà.

A parziale conforto del gruppo di amici di Quagliariello, si può dire che non manca chi, tra i giuristi, pensa che i parlamentari di minoranza debbano essere, in quanto tali, legittimati a ricorrere alla Consulta senza passare da un voto (per loro impossibile) dell’aula. Un articolo della riforma costituzionale in via d’approvazione, proprio a proposito della legge elettorale, va in questo senso. Ma la Corte costituzionale ha già stabilito che semplici violazioni dei regolamenti delle camere, come quella che può essere stata compiuta sulle unioni civili, non possono essere sottoposte ai giudici delle leggi. E allora questi senatori, come direbbe Manzoni, possono aver fallato.

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