Cultura

Gli strumenti del controllo

Sant'Uffizio La lunga guerra alle eresie e ai fenomeni magico-stregonici nel libro dello studioso inglese Christopher F. Black, «Storia dell'Inquisizione in Italia»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 aprile 2013
Tra la metà del XVI secolo e quella del XVII l’Europa fu dilaniata da «guerre di religione» che si andavano a sommare a conflitti politici e sociali. In Francia, nel 1559 un sinodo nazionale calvinista si concluse con la redazione di una professione di fede per quella confessione (gli aderenti alla quale assunsero il nome di «ugonotti») forte soprattutto nell’aristocrazia e vicina alla corte. Dopo alterne vicende e dopo la tristemente famosa «Notte di San Bartolomeo», il 24 agosto 1572, una vera e propria guerra civile si concluse con l’ascesa al trono di Enrico di Borbone, capo degli ugonotti, che – col nome di Enrico IV – si convertì al cattolicesimo assicurando ai suoi excorreligionari le libertà essenziali. La guerra dei Trent’anni (1618-1648), nata come conflitto religioso ma complicata dall’alleanza tra la Francia e i protestanti tedeschi, si chiuse nel 1648 con le paci di Westfalia che modellarono la mappa religiosa europea definitiva: a parte Scozia e Irlanda, dove fra Sei e Settecento le persecuzioni protestanti si dettero a massacri indiscriminati contro i cattolici eliminandoli o quasi dalla Scozia e dall’Irlanda settentrionale. La Chiesa cattolica rispose alla sfida iniziale della Riforma convocando un concilio voluto da papa Paolo III (1534-1549). Esso si articolò in tre sessioni: dal 1545 al 1547, dal 1551 al 1552 e dal 1562 al 1563. Si fronteggiavano due tendenze: quella che intendeva rispondere alla Riforma rendendo più rigorosi i costumi della Chiesa cattolica e al tempo stesso dando alle Chiese riformate segni di apertura; e quella che proponeva invece un rafforzamento della disciplina ecclesiastica e un rilancio della predicazione popolare al fine di contrastare l’apostolato protestante. Si potrebbe definire la prima una tendenza «cattolico-riformista», la seconda «controriformistica». Il risultato fu una convergenza delle tendenze cattolico-riformate e di quelle controriformistiche. Fu comunque definitivamente sconfitta la teoria conciliaristica sul governo della Chiesa cattolica: esso fu da allora in poi tenuto saldamente dal papa e dalla Curia romana. Però il clero fu soggetto ad attente verifiche morali e culturali: e nacquero, per prepararlo, i seminari. 

Obiettivo intellettuali
La liturgia postconciliaristica fu incentrata sull’esaltazione della presenza reale del corpo e del sangue del cristo nell’Eucarestia, sulla devozione per Maria Vergine e per i santi, per il riconoscimento del magistero della Chiesa. Il controllo sui fedeli fu rafforzato con la predicazione, la confessione, la catechesi, ma anche con gli strumenti inquisitoriali e in particolare con l’istituzione del Sant’Uffizio. L’espressione Sanctum Officium era stata usata fin dai primi tempi dell’Inquisizione sia per alludere al carattere dei doveri dei tribunali inquisitoriali, sia per indicare l’istituzione inquisitoriale nel suo complesso. Essa acquistò tuttavia significato più preciso, e notorietà più ampia, allorché con la bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542 papa Paolo III istituì – alla vigilia del concilio di Trento – la Congregazione della Romana e Universale Inquisizione, detta comunque da allora «del Sant’Uffizio», appunto con il fine specifico di combattere il protestantesimo e, soprattutto, le prospettive di un suo affermarsi in quei paesi che, dopo la Riforma, erano rimasti fedeli alla Chiesa romana. Tuttavia gli stessi pontefici prestarono sempre attenzione affinché la congregazione non concentrasse troppo potere nelle proprie mani a scapito della Santa Sede. La congregazione, non diversamente dall’Inquisizione spagnola, dette importanza solo relativa alle questioni di stregoneria: esercitò invece forte e rigoroso controllo sulle manifestazioni ereticali, specie su quelle intellettuali. I noti processi a Tommaso Campanella (1594-96), a Giordano Bruno (1600), a Galileo (1632-33). I temi oggetto dell’esame inquisitoriale della Congregazione furono anzitutto quelli connessi più strettamente alle posizioni luterane e calviniste: la predestinazione, la salvezza solo per fede (e senza quindi l’ausilio delle opere), la negazione del libero arbitrio, la contestazione della validità dei sacramenti, il rifiuto del primato pontificio, il sacerdozio universale. Solo verso la fine del Cinquecento, quando la pressione della propaganda protestante andò diminuendo e i paesi europei, riformati e no, si stabilizzarono sulle posizioni garantite dai governi laici sulla base del principio cuius regio, eius religio , la Congregazione passò ad accordare maggior attenzione anche ai fenomeni magico-stregonici – che in Francia e soprattutto nella Germania tanto cattolica quanto protestante venivano perseguiti con ben altro vigore – a loro volta molto ridimensionati nel secolo successivo. Alla conoscenza dell’operato dell’inquisizione in Italia hanno contribuito negli ultimi decenni molti studi (a partire da quelli di Romano Canosa e di Adriano Prosperi), alla luce dei quali si può dire ormai superato, almeno in ambito storiografico, il pregiudizio su un’istituzione vista come unicamente assetata di sangue, pronta a torturare e condannare a morte in base a ogni pretesto. Sulla medesima scia si colloca l’ottimo studio di Christopher F. Black, Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci editore, 486 pp., 35 euro), professore di Storia d’Italia all’università di Glasgow. Black traccia una sintesi molto dettagliata, condotta su fonti primarie e su una ricca bibliografia.

Diffusione della Riforma
Il libro si articola in modo logico seguendo la nascita del Sant’Uffizio, la sua articolazione in rapporto alle realtà locali, il funzionamento dei tribunali, il metodo degli inquisitori, gli obiettivi dell’inquisizione attraverso una vasta pannoramica di accuse e sentenze, la censura, il rapporto con superstizioni, magia e stregoneria. Insieme alle panoramiche generali, non mancano gli esempi dettagliati di singoli casi di particolare interesse. Inoltre, poiché si parla di Italia, diverse sezioni sono dedicate a tribunali, come quelli siciliani, che non dipendevano da Roma, bensì dall’Inquisizione spagnola: lo stato assolutistico moderno, d’altronde, non poteva lasciare spazio all’Inquisizione romana, sempre più considerata una sorta d’intollerabile «stato nello stato». In teoria la Licet abi initio disponeva l’universalità dell’azione della congregazione del Sant’Uffizio, con la sola eccezione della Spagna. Nella realtà, le cose andavano in modo molto diverso. Se i re di Spagna e la repubblica di Venezia avevano istituzioni inquisitoriali proprie (sia pur molto diverse fra loro) e in differente modo indipendenti dalla Santa Sede, gli altri paesi cattolici stavano in vario modo elaborando a loro volta strumenti di controllo e di repressione – o di moderata tolleranza – dei gruppi cristiani riformati, con ciò vanificando il lavoro del sant’Uffizio. La documentazione sull’attività del Sant’Uffizio nelle regioni d’Italia che rientravano nella sua sfera di competenza, è discontinua. Gli studi condotti mettono comunque in evidenza alcune linee di tendenza che si possono considerare generali: nel corso del Cinquecento l’attenzione degli inquisitori si rivolse soprattutto alla persecuzione dell’eresia, e in modo particolare al contenimento della diffusione della riforma. Questo è specialmente evidente in alcune città, come Modena, dove l’Accademia aveva ospitato le idee della riforma e alcuni predicatori «tradizionalisti» erano stati sbeffeggiati e costretti alla fuga. Nel giro di circa un decennio, fra gli inizi degli anni Quaranta e i Cinquanta, l’intervento deciso della Santa Sede e gli appelli alle autorità civili spensero il dibattito all’interno della città. Ma anche nel periodo successivo, così come altrove in Italia, la guardia contro il diffondersi del luteranesimo fu vigile e permise di ottenere risultati definitivi. Fu così che l’attenzione del Sant’Uffizio prese a rivolgersi altrove.

Processi per stregoneria
Gli ebrei d’Italia non subirono mai il trattamento riservato loro in Spagna e non furono costretti alla conversione; ma certamente il controllo sulle loro comunità si intensificò e irrigidì: in particolar modo si prestava attenzione ai casi in cui conversioni spontanee – generalmente ottenute per mezzo della catechesi condotta dai gesuiti – di ebrei non fossero osteggiate da parenti e conoscenti; si indagava sulle frequenti denunce di profanazioni compiute contro oggetti e figure sacre dei cristiani; si esercitava un controllo sul contenuto dei testi religiosi degli ebrei. Vi erano poi, come detto, le indagini e i processi per accuse di magia e stregoneria. In questo ambito si deve sottolineare come sia ormai opinione condivisa che l’Inquisizione del Sant’Uffizio si comportò in modo più scettico e rigoroso nell’accertamento delle colpe di quanto facevano contemporaneamente i tribunali laici e le gerarchie ecclesiastiche locali, più facilmente inclini a cedere alle istanza fanaticamente persecutorie espresse dalla società civile. Infine, l’Inquisizione romana prendeva in considerazione come appartenenti all’ambito dell’eresia comportamenti genericamente eterodossi, che spesso vedevano intrecciarsi residui ereticali, pratiche antireligiose o blasfeme, costumi sessuali (tanto dei laici quanto, e soprattutto, del clero), bassa magia. Difficilmente questi processi venivano conclusi da condanne gravi: ma era necessario che l’imputato facesse ammenda e riconoscesse i propri errori. In generale, si può concludere con Christopher Black che l’azione del Sant’Uffizio negli Stati italiani fu pervasiva ed efficace nella riduzione dell’eterodossia, pur registrando spesso forti opposizioni da parte delle autorità laiche e delle gerarchie ecclesiastiche locali, che si vedevano sottrarre competenze e poteri. Tuttavia proprio queste sottrazioni in molti casi, almeno dopo l’estirpazione del seme della riforma, giocarono a vantaggio degli imputati, consentendo loro di essere sottoposti a istruttorie e processi duri ma rigorosi, soprattutto per quanto riguarda l’impiego della tortura, cui Black dedic a un dettagliato paragrafo, sottratti alle logiche localistiche che risultavano generalmente penalizzanti per i soggetti più deboli.

 

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