Gli orizzonti infiniti nella storia «trascurabile di ognuno»
Poesia «Sempre mondo», la nuova raccolta di Massimo Gezzi, pubblicata da Marcos y Marcos
Poesia «Sempre mondo», la nuova raccolta di Massimo Gezzi, pubblicata da Marcos y Marcos
Sempre mondo: è il titolo della nuova raccolta di Massimo Gezzi, pubblicata da Marcos y Marcos (pp. 96, euro 18). E non è solo un omaggio a Rilke (citato in epigrafe: «È sempre mondo e mai/un nessun luogo»), ma è anche poco meno di un programma, o di una dichiarazione d’intenti, se è vero che le quarantasette poesie da cui la raccolta è composta (e quarantasette, forse non a caso, erano le poesie che componevano, di Rilke, Il libro delle immagini) sembrano poter essere riunite all’insegna di un’idea omnicomprensiva, come un nucleo tematico compattissimo pur nella sua vastità di contenuti – e cioè l’idea di restituire il mondo e la vita nelle due declinazioni fondamentali del loro infinito darsi: quella privata, da un lato, e quella sociale e politica da un altro lato.
La declinazione privata, in particolare, all’interno di Sempre mondo prende la forma di un dialogo fra padre e figlia, al quale tuttavia non è estranea la madre seppure senza mai comparire in prima persona: e sono i versi nei quali, giocoforza, è più forte il registro lirico, sentimentale.
L’AUTORE NON INDULGE MAI nel sentimentalismo, ma non teme nemmeno la denudazione del suo sé, della sua intimità. Non è solo lui, padre, a parlare, ma è anche lei, la figlia: a parlare a sua volta e, com’è tipico dei bambini, a porre domande che inducono gli stessi adulti a porsene. Le parole di Gezzi, quindi, non hanno il tono della lezione, bensì sono pensieri che nascono da un’interrogazione spesso personale e poi condivisa; ed è per questo che combinano lirismo e riflessione, calore e filosofia.
PARLANDO ALLA FIGLIA, Gezzi parla e fa i conti anche con sé stesso, con la realtà delle cose che la figlia gli consente di pulire da ogni sovrastruttura; e scopre che le paure da cui la figlia gli chiede di proteggerla sono le medesime paure dalle quali lui per primo vorrebbe essere protetto – e dalle quali la figlia, insieme alla compagna, senza saperlo lo protegge per il solo fatto di essergli accanto. Le parole, insomma, si mescolano alla pelle, ai respiri, ai corpi vicini: «Anch’io vi sussurro con il fiato/della notte», leggiamo ad esempio in una delle poesie d’apertura, «intreccio la mia ansia/alla vostra presenza e sono certo,/un’altra volta, di esistere ancora».
Di cosa abbiamo paura tutti noi, in fondo, se non del fatto che improvvisamente la vita si sfaldi, si sgretoli, venga meno nei suoi elementi di riferimento, e ci lasci abbandonati a noi stessi? Ne hanno paura i bambini, ma anche gli adulti: ed è qui che il discorso diventa sociale e politico, perché la realtà che abbiamo davanti agli occhi non può lasciare indenne nessuno dalla paura quotidiana di perdere tutto.
Da questo punto di vista la raccolta di Gezzi è pienamente calata nel presente, nel tempo che attraversiamo; e lo è più che mai nelle sue esplicite allusioni alle migrazioni, che del nostro tempo sono, con ogni probabilità, l’elemento più caratterizzante – sia per ciò che rappresentano in sé stesse, sia per ciò che rappresentano anche simbolicamente: l’impermanenza, la fragilità dell’esistenza di chiunque.
ALLA FINE, A SALVARCI potrà essere solo la consapevolezza di quel che siamo: nient’altro che «tempo/rappreso in forma di cosa», come leggiamo in altre poesie ancora; ognuno di noi niente di più che una «breve esistenza/sbocciata in questa rozza e polverosa/costellazione che qualcuno osserverà». È proprio il tempo a «rendere infinita» la storia altrimenti «trascurabile di ognuno»: il tempo che ci è dato, quello «spazio di incertezza» in cui «battono i rintocchi e lo spessore/del vuoto diventa pagina da ricoprire».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento