Animali si diventa. Femminismi e liberazione animale di Federica Timeto (Tamu, pp. 210, euro 16) prende forma nel tentativo di provare a «respirare scrivendo» di fronte al rogo che il 25 luglio 2023 avvolge Palermo e le sue montagne. Respiro che rimanda, di rogo in rogo, una pagina dopo l’altra, «alle streghe e alle loro linee oblique, che curano e si curano spezzando gli angoli retti della ragione».
Le linee oblique del gomitolo, che la riflessione di Timeto svolge e da cui al contempo si fa coinvolgere, sono molte e densamente intrecciate. In questa sede, pertanto, ne potremo in/seguire solo alcune, nella speranza che l’artificiosità di tale operazione possa comunque restituire l’ampiezza dei vortici dello spirito infuocato che si fa corpo, o meglio, moltitudine di corpi offesi e resistenti nella scrittura squisitamente politica dell’autrice.

IL PRINCIPALE degli obliqui fili stregoneschi che formano il gomitolo di Timeto è immediatamente annunciato dal titolo e poi esplicitato nel sottotitolo. Alludendo «alla nota affermazione antiessenzialista di Simone De Beauvoir ’donne non si nasce, si diventa’», il titolo esprime con forza la natura storica dei non umani con la conseguente necessità di rivendicare «la libertà nelle relazioni e il rispetto dello spazio e del tempo di ogni vita».
Il sottotitolo, a sua volta, esplicita il movimento adialettico che, con perizia e precisione, attraversa l’intero volume per avvicinare con garbo «il rapporto fra i femminismi e la questione animale», nella convinzione che «nella storia del femminismo emerga l’idea di una giustizia sociale multispecie capace di scardinare il dualismo più implicito della cultura occidentale, quello fra umano e animale».

Il secondo filo del gomitolo di Animali si diventa si svolge lungo le volute di una critica che, senza far sconti e senza accettare compromessi, è costantemente volta a intessere relazioni con il pensiero e le prassi altrui al fine di mostrare come è divenuto il rapporto tra femminismi e altri animali: da una politica necessariamente identitaria in cui la contrapposizione con l’animale aveva lo scopo di «superare la differenza essenziale fra maschio e femmina umani a discapito di quella tra animale non umano e umano» a un divenire-con delle soggettività subalterne in grado di riconoscere che «l’umanizzazione inclusiva non è l’antidoto all’animalizzazione problematica».

Il terzo filo è strettamente intrecciato con il precedente e, smarcandosi sia dall’oppressione dell’universalismo (sempre bianco, maschio ed etero) sia da quella del relativismo (sempre neoliberista e indifferente), assume le lenti dell’«epistemologia del punto di vista, che restituisce valore al posizionamento del soggetto di parola e ai vissuti situati». Questa «visione multiottica segue le controversie e consente di districare le connessioni e le divergenze fra i diversi vissuti delle soggettività coinvolte, nei loro posizionamenti sempre differenziali», aprendo così la strada a un approccio intersezionale che non considera gli assi di privilegio e oppressione «in modo statico e bidimensionale», ma per quello che realmente sono: processi che si formano in «relazioni complesse e sfaccettate» e in continuo «accadere intrecciato». Per questo, «genere, razza e specie devono essere decostruite insieme in una chiave non estensionista (dall’umano a includere il non umano) ma ricostruttiva – in termini di connessioni ecologiche piuttosto che analogiche», per «fare attenzione a fare le differenze».

POICHÉ RIFRANGE la natura queer del manufatto di Timeto, il quarto filo – l’ultimo che possiamo prendere in considerazione – è una specie di metafilo: si tratta del filo che vede i corpi, tutti i corpi, come intrecci meticci e ibridanti: «Nessun organismo è completamente naturale, ma ogni organismo è un assemblaggio naturalculturale, composto da agenti diversi, umani e non umani, organici e macchinici, materiali e simbolici». Assemblaggi che, proprio per l’insostituibile precarietà che li percorre, mai dovrebbero essere privati «della loro possibilità di espressione e comunicazione». Ed è qui, nell’assemblaggio, che il gomitolo assemblante di Timeto si ricompone: «I corpi sanno, ma anche fanno le relazioni, conoscono il coinvolgimento e il suo rovescio e ne sono attraversati». I corpi scrivono le loro tracce e si inscrivono in esse.

Come ebbe a dire Deleuze, se «scrivere è testimoniare per la vita», l’in/scriversi di Animali si diventa è incandescente testimonianza politica sia di quello che non avrebbe dovuto esserci eppure s’è dato. sia di quello che avrebbe potuto essere ma non ha potuto realizzarsi: «Scrivere mi tiene agganciata alla vita, scrivendo parlo di vita e con la vita anche se le mie parole non riporteranno indietro nessuna di quelle esistenze finite né potranno impedire che altre vite muoiano o siano inghiottite dalla macchina mortale del profitto che manda in fiamme il mondo». È contro queste fiamme che la scrittura rigenerativa di Timeto ci invita a scatenarci in un ardente sabba trasformativo.