Gli italiani nell’intimità del camerino di prova
Habemus Corpus È che lì non possono mettere le telecamere per questione di privacy, sennò chissà che cosa potrebbero raccontare i camerini in cui ci si provano gli abiti
Habemus Corpus È che lì non possono mettere le telecamere per questione di privacy, sennò chissà che cosa potrebbero raccontare i camerini in cui ci si provano gli abiti
È che lì non possono mettere le telecamere per questione di privacy, sennò chissà che cosa potrebbero raccontare i camerini in cui ci si provano gli abiti. Ci ha provato un sondaggio a spiegare il complesso rapporto degli italiani con la prova di un capo di abbigliamento. La ricerca, condotta da Neinver per conto di alcuni frequentatissimi outlet, ci racconta che nella penisola preferiamo provare un vestito prima di acquistarlo. A parte l’ovvia intenzione di tirare l’acqua al loro mulino per far desistere dalla temibile concorrenza degli acquisti online, bisogna riconoscere che è infinitamente meglio scegliere un pantalone o una giacca dopo esserseli visti addosso piuttosto che acquistarli valutando solo una foto. Chi ha sulla coscienza una storia di acquisti sbagliati o impulsivi e, più o meno, ha imparato a conoscere i propri punti di forza e i difetti, sa che certi tagli penalizzano e altri valorizzano, che i tessuti vanno visti a occhio nudo e toccati per capire di che qualità sono e come cadono, che se le sfilate lanciano le camicette con jabot e tu hai la quinta di seno non le devi proprio guardare se non vuoi sembrare una mongolfiera.
Detto ciò, i numeri del sondaggio ci raccontano che la facilità di parcheggio fa scegliere agli italiani una meta piuttosto che un’altra (73%), che un terzo paga ancora in contanti (33%), che il 20% predilige il capo in fondo a una pila (forse perché appare più nuovo), che il 90% non indossa le scarpe quando prova un vestito (errorissimo perché così non si capisce l’effetto dell’insieme), che il 10% si affida a un selfie per chiedere un parere ad amici o parenti, che il 20% domanda se si può avere anche la gruccia, che uno su tre è un acquirente seriale perché compra colori diversi di uno stesso modello, che il 15% prova sempre ad avere uno sconto. Ma il dato che più svela il carattere dei connazionali è che la metà preferisce che il commesso non aspetti fuori dalle cabine e un terzo sceglie la più lontana fra quelle libere per non avere vicini di prova, una sorta di Non tenermi il fiato sul collo.
La prova di un abito è molto personale e ha a che fare con la sicurezza di sé e del proprio corpo. Infilarsi per la prima volta in qualcosa di nuovo ci espone a un giudizio e anche chi ha le curve al posto giusto può stare male se l’abito è sbagliato. L’uscita dal camerino non è solo un confronto con se stessi, ma anche con lo sguardo degli altri. Se questi altri sono un commesso invadente o degli estranei che ti soppesano, c’è da capire chi non ha voglia di mostrare le proprie ansie. A me è capitato di trovarmi orribile con un pantalone e di averlo tolto all’istante mentre la commessa, di fuori, chiedeva petulante: «Come va? Me lo fa vedere?». No, non te lo faccio vedere. Ho già deciso da sola che non siamo fatti l’uno per l’altra. E poi c’è la questione del gusto che non è affatto banale perché uno stile non ci capita addosso per caso, ma nasce da modi di vivere e di essere, da esperienze, fasi della vita e gli occhi di un altro non vedono ciò che vediamo noi. Fidarsi o non fidarsi può essere sia un errore che un dilemma, per questo i consiglieri vanno scelti con cura.
Di tutti i camerini che ho frequentato il mio preferito è quello di un negozio vintage vicino a casa. È un buco che trabocca di abiti e accessori con un buchetto di cabina chiusa da una tenda. Lì l’intimità va a farsi benedire perché quando esci per verificarti allo specchio ti ritrovi in un gineceo che soppesa e partecipa, ma lo fa con una tale passione e gusto che, se non c’è nessuno, senti che ti manca qualcosa. E ti dispiace.
mariangela.mianiti@gmail.com
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