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Gli interessi mercantili dietro l’emergenza

Gli interessi mercantili dietro l’emergenzaVenezia, un vaporetto arenato dopo il nubifragio – LaPresse

Grandi navi e non solo La torsione della città in un senso unicamente mercantile intorno a un’attività che monopolizza e condiziona Venezia va contrastata. Insieme al ripristino di un equilibrio lagunare e ambientale che, già da solo, renderebbe molto meno impetuose le maree che vediamo in questi giorni

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 14 novembre 2019

Una domenica di luglio, una serata tempestosa, una grande nave da crociera sbanda paurosamente ed è spinta dalle raffiche di vento verso la riva dei Sette Martiri, che solo per un pelo riesce a evitare. Accade non lontano da San Marco.

Le immagini fanno il giro del mondo. Un mese prima, un’altra domenica, un’altra grande nave da crociera vagava senza controllo nel canale della Giudecca, per finire la sua pazza navigazione schiantandosi su un natante per crociere fluviali. Anche allora tutto il mondo s’indigna. S’allarma. Ci si accorge della vulnerabilità della città più bella del mondo.

Che succede? Le navi da crociera proseguono indisturbate lungo i loro tragitti in pieno centro storico, con relative evoluzioni a pochi metri da piazza San Marco, muovendo immense masse d’acqua, inquinando l’aria, offendendo la vista e sfiorando i monumenti. E scaricando tutt’insieme tre-quattromila turisti che diventano ventimila quando arrivano in porto nello stesso giorno sei grandi navi. Nel frattempo si studiano soluzioni alternative. Quali? Dirottare il traffico crocieristico verso Marghera. Così i mostri non si vedono più. Il problema è risolto nascondendolo.

Si dovranno scavare nuovi canali per consentire il nuovo approdo. Scavare canali significa rendere ancora più intenso e impetuoso l’ingresso dell’acqua proveniente dal mare in laguna. Una delle ragioni – lo scavo dei canali in laguna per il transito delle navi – che hanno alterato profondamente la morfologia, la dinamica e gli equilibri idrogeologici della laguna e che contribuiscono a rendere le periodiche acque alte «acque alte eccezionali». Vogliamo ancora più mare, e più impetuoso, entrare in laguna? Prego si scavi ancora.

La laguna è una realtà delicata. Va salvaguardata. Salvaguardare la laguna significa salvaguardare anche la città storica che è nel suo mezzo.

Il cambiamento climatico sta mettendo ancora più a nudo ed esaltando la fragilità di Venezia e dell’ambiente circostante. Non è certo agendo su un solo fattore – le grandi navi – che si può arrivare a una difesa efficace di Venezia. Il tema è quello delle concatenazioni tra una serie di negatività legate prevalentemente a interessi che non sono nell’interesse della città – tra cui le grandi navi – e che rendono arduo affrontare e risolvere un problema che diventerà sempre più drammatico: la vita stessa della città, dei suoi abitanti e dei suoi monumenti.

Oltre a sperare che il Mose prima o poi possa funzionare, se non altro per mitigare le acque alte più aggressive, la priorità della politica locale e nazionale dovrebbe essere dunque portare al centro del dibattito la sostenibilità delle attività su cui immaginare il futuro della città.

Nella concatenazione delle negatività che di volta in volta portano Venezia al centro dell’attenzione del mondo c’è naturalmente l’iperturismo, che ha raggiunto livelli di evidente e pericolosa insostenibilità, oltre a rendere sempre più difficile, spesso impossibile, la vita dei residenti, contribuendo al loro esodo.

La torsione della città in un senso unicamente mercantile intorno a un’attività che monopolizza e condiziona Venezia va contrastata. Fermata al più presto. Insieme al ripristino di un equilibrio lagunare e ambientale che, già da solo, renderebbe molto meno impetuose le maree che vediamo in questi giorni.

Certo, questo implica scelte molto precise e nette, in una direzione o in un’altra. Restituire la vita che gli è stata tolta all’ambiente lagunare comporta, tanto per cominciare, lo spostamento del grosso delle attività portuali, commerciali e crocieristiche, off shore. Ci sono diverse proposte in tal senso. Ma ci vuole molto altro.

Venezia, una volta passata quest’emergenza, deve tornare a far parlare di sé non per il rischio esistenziale che la perseguita ma per la sua voglia di vivere ed essere vitale. Per la sua capacità di proporsi come città sostenibile, circondata da un ambiente sostenibile. Città dov’è bello vivere, non dalla quale scappare via. Venezia centro dell’economia verde, per le attività che sarà in grado di mettere in cantiere e per la residenzialità che con esse potrà intrecciarsi.

L’immagine di una città in continua lotta per la sua sopravvivenza, per la sua stessa vita, è un’immagine inevitabile in giornate come queste. Ma non può, non deve diventare la sua immagine permanente, il suo stigma, perché così la profezia della fine non potrà che avverarsi.

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