Gli ingredienti di una cucina indigesta
Habemus Corpus Un minestrone di parole d'ordine come un piatto rabberciato, messo insieme da un cuoco frettoloso che sceglie i sapori forti per mascherare la qualità scadente
Habemus Corpus Un minestrone di parole d'ordine come un piatto rabberciato, messo insieme da un cuoco frettoloso che sceglie i sapori forti per mascherare la qualità scadente
COME spesso accade, le foto parlano. Quella di due partecipanti alla manifestazione di Salvini sabato 8 dicembre, a Roma, parla più di altre. Due uomini sui quarant’anni guardano l’obiettivo con orgoglio. Quello di sinistra tiene le gambe divaricate, indossa un completo troppo largo, una cravatta allentata, un borsello che gli penzola all’altezza del pube, un gilet giallo e tiene fra le mani un presepe. Quello di destra ha la camicia sommariamente abbottonata sotto un montone, borsa a tracolla e regge da una parte un crocefisso, dall’altra un ritratto di Putin con scritto «Io ci sono». Dietro di loro una grande cartello recita «L’Italia alza la testa». Sono l’esempio di un minestrone di parole d’ordine messe insieme alla bell’e meglio, come uno di quei piatti rabberciati da un cuoco frettoloso che, più che amare ciò che cucina, punta a ubriacare le papille gustative con aromi forti quando gli ingredienti di base sono scadenti. Insomma, sono un po’ il contraltare umano di quegli spaghetti di marca italiana conditi con un sugo già pronto di una altrettanto famosa marca un tempo italiana, e ora appartenente a un gruppo spagnolo, e che il loro capo politico ha osannato nei giorni precedenti, tanto per distinguersi da quei fighetti che stanno ore in cucina.
CHE gli propino oggi per pranzo? si chiede il suddetto ciabattone dei fornelli. Ma diamogli un piatto che faccia venir nostalgia dei pranzetti domenicali in famiglia e, visto che siamo in periodo natalizio, mettiamoci qualcosa che noi italiani amiamo tantissimo, un bel presepino. I supporter abboccano, assumono Maria, Giuseppe, il bambinello con annessi e connessi come simbolo dei loro diritti, senza pensare nemmeno per un attimo che, per esempio, i tre fuggiaschi erano profughi, palestinesi e scappavano da un persecutore. Ma vabbè, questi sono distinguo da intellettualoidi. Come secondo piatto, l’oste solletica i commensali con un bel gilet giallo fosforescente, ovvero il simbolo di rivolta adottato dai nostri cugini d’oltralpe, più esperti di noi in fatto di rivoluzioni. Le ragioni di quelli sono trasversali e complesse? Ma mica dobbiamo cercare il pelo nell’uovo, mica dobbiamo dirgli che neanche noi sappiamo davvero come toglierci dal casino nel quale ci siamo infilati anche con la nostra passata complicità in precedenti governi. Il gilet è vistoso, efficace, lo capiscono subito tutti e quindi condiamogli la pietanza con un bel colorante, ché l’effetto è sicuro.
CERTO, un contorno che ricordi le nostre origini cristiane ci vuole, e quindi del crocifisso non si può fare a meno, così quei miscredenti che pretendono di venire a comandare a casa nostra capiscono subito che non li lasceremo passare, e magari si ricordano pure che gli abbiamo fatto qualche crociata e gliele abbiamo date di santa ragione. Lo uso come prezzemolo, che quello va bene su tutto, penserà il cuciniere. Infine un bel dolce che gli tiene impegnato lo stomaco per qualche ora, l’emblema di un uomo forte, capace di tenere in mano un paese, che pensa lui a tutto, fa poche chiacchiere, è allergico a chi lo contraddice, viene dai servizi segreti e quindi sa come far tacere quelli che danno fastidio. Con quel dessertone il padrone del locale li stenderà tutti, e non avrà neanche bisogno dell’ammazzacaffè. Alla fine del pasto i commensali faranno rutti e pernacchie a chi preferisce la cucina da chef, quelle merdine da salotto. Certo, gli si saranno alzati il colesterolo, i trigliceridi, la pressione e chissà come faranno a far sollevare la testa alla nazione. Ma si sa, l’illusione è l’ultima a morire.
mariangela.mianiti@gmail.com
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