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«Gli infermieri pronti per la campagna di vaccinazione. E costano la metà»

«Gli infermieri pronti per la campagna di vaccinazione. E costano la metà»

Intervista Parla Nicola Draoli, membro del Comitato centrale della Fnopi. La proposta della Federazione nazionale: allentare i vincoli e usare i dipendenti del Ssn

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 10 marzo 2021

Per accelerare sulla campagna di vaccinazione mancano due cose (al netto dell’organizzazione, prima di tutto): i vaccini e i vaccinatori. Dopo la mezza frenata dei medici di base, che solo in 12 regioni hanno aperto i loro studi alle categorie prescelte per le prime inoculazioni, e piuttosto che coinvolgere gli Oss (operatori sociosanitari) come qualcuno ipotizzava, arriva ora la proposta degli infermieri dipendenti del Ssn. Allentando il vincolo dell’esclusività che attualmente li obbliga a prestare servizio solo negli ospedali dove sono assunti, si potrebbe – propone la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) – utilizzare parte di quel personale per la vaccinazione di massa. «Potremmo avere almeno 90 mila infermieri in più e in tre mesi si potrebbe vaccinare il 75% della popolazione – spiega Nicola Draoli, uno dei sette componenti del Comitato centrale Fnopi -, entro inizio estate si potrebbe raggiungere l’immunità di gregge».

Al bando indetto da Arcuri a dicembre per assumere 3 mila medici e 12 mila infermieri ha risposto solo la metà del personale richiesto. Perché?

Quel bando si rivolgeva alla platea degli infermieri liberi professionisti che in Italia sono circa 30 mila, se consideriamo quelli “puri”, anche se la cassa di previdenza ne registra 80 mila. Quindi escludeva i dipendenti del Ssn. Il compenso era poi assolutamente inadatto: fatto tutto il calcolo tra oneri, spese e detrazioni si poteva arrivare ad una media di circa 1300 euro netti al mese, per un orario pari a 36 ore settimanali, come fossero dei subordinati. Sottopagati e senza flessibilità oraria è difficile trovare personale, anche perché nelle strutture private i liberi professionisti sono molto richiesti, soprattutto il questo periodo.

Eppure in questi mesi c’è stato un forte esodo anche dalle strutture private: voi stessi calcolate che circa un terzo dei 29.700 infermieri operanti nelle 3.400 Rsa hanno “abbandonato”. Perché?

Nelle Rsa spesso non c’è un adeguato investimento sulle professioni infermieristiche, a livello economico ma anche sul piano della crescita professionale e dello sviluppo di carriera.

Come invece avviene nel pubblico, giusto?

Sì, anche se in modo ancora non adeguato. Insomma, questa pandemia ha svelato una condizione che noi denunciamo da anni: la mancanza di infermieri nel sistema. Interi servizi erano tenuti in piedi con un organico risibile, soprattutto nelle strutture del privato convenzionato. Nel momento del bisogno, quando il Ssn ha cominciato ad assumere, ovviamente si è svuotato tutto il resto.

Ma ancora non basta: voi chiedete altre assunzioni.

Sì, la carenza prima della pandemia era stimata in circa 50 mila unità. Noi chiediamo almeno 26 mila nuove assunzioni.

Il totale degli iscritti agli albi delle professioni infermieristiche in Italia è di circa 453 mila mentre il personale occupato in vari modi è pari a 392 mila. Dunque c’è di fatto pochissimo margine per trovare nuovo personale da assumere. Come si ovvia a questo problema?

L’assunzione deve andare di pari passo con la messa a bando nelle classi di laurea perché sono sempre stati sottostimati i posti nelle classi rispetto ai bisogni della popolazione. I dati Ocse sono impietosi da anni: l’Italia è il fanalino di coda per infermieri rispetto al numero di abitanti.

Anche i guadagni medi lordi sono tra i più bassi nel mondo: in Italia la media è di 32.479 euro mentre, per fare solo un esempio, in Gran Bretagna è di 52.000 euro. Ma la qualità formativa è la stessa?

La formazione base dell’infermiere italiano ha solide radici ed è riconosciuta in tutta Europa. Il problema sta nella specializzazione. I sistemi anglosassoni hanno percorsi di formazione complessi, seri e meritocratici. Vuol dire che la specializzazione è pagata dal datore di lavoro, e la competenza viene riconosciuta e pagata adeguatamente. Da noi non è così.

Ma se il personale del Ssn è già sotto pressione da un anno, come possono gli infermieri partecipare anche alla campagna vaccinale?

Infatti noi abbiamo stimato che se anche solo un terzo dei 270 mila assunti garantisse due ore fuori dal proprio orario di lavoro, si assicurerebbe un ritmo di un milione di vaccini al giorno. Ad un costo di 50 euro lorde all’ora, oppure 10 euro a vaccino così come è stato proposto ad altre categorie, avremmo un attrattiva (visto che mediamente un infermiere pubblico guadagna, di assunzione, 13 euro lorde l’ora) che porterebbe ad una spesa complessiva sanitaria di circa 150 milioni di euro. Che è nettamente inferiore ad altre proposte (346 milioni di euro stanziati per coinvolgere i medici di base, ndr).

Voi chiedete di allentare i vincoli di esclusività, ma sarà solo per questa fase?

Lo avevamo già proposto anche per le Rsa. In questa fase sicuramente, per il futuro vedremo. Certo, è un argomento delicato, ma andrebbe aperta una serie riflessione al riguardo.

Avete già avuto una prima risposta a questa vostra richiesta?

Al momento no, ma abbiamo già avviato le interlocuzioni al vertice, e siamo sicuri che una risposta arriverà.

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