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Gli imparati, i saputi e le sorprese della lingua italiana

Gli imparati, i saputi e le sorprese  della lingua italiana

Habemus Corpus Le critiche «sgrammaticate» al neo ministro dell'istruzione Patrizio Bianchi

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 16 febbraio 2021

Mo sì lo so, maiàl, che vi siete tutti stropicciati le orecchie appena i giornalisti hanno chiesto al neo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi «Quando ha saputo di essere diventato ministro?» e lui ha risposto «L’ho imparato ieri sera». Lo so che lo avete messo in croce. Certi giornali gli hanno anche dato lezione di italiano sostenendo che doveva dire «L’ho appreso».

Perché, «L’ho saputo» non andava bene uguale? Figurarsi, «L’ho appreso», se avesse usato quell’espressione avrebbero detto che è uno che parla ingessato, ci scommetto. E poi, a ben guardare, hanno sbagliato anche quelli che hanno cercato di giustificarlo dicendo che ha usato una forma dialettale della sua terra, Ferrara.

E invece non è mica così, eh no. Bastava aprire il Devoto-Oli, sapete, uno di quei libroni di carta pieni di pagine e di parole e che si chiamano vocabolari, cercare la voce «imparare» per scoprire che al punto 2, regionale, dice: «Venire a sapere»; al 3, popolare: «Insegnare», con tanto di esempio che dice «Te lo imparo io»; e poi come esempio letterale o letterario cita Carducci quando scrive «E dolce un canto le imparava».

Cos’altro dite? Bianchi ha fatto un gravissimo errore grammaticale anche quando ha detto «Speriamo che faremo tutti bene» invece di «Speriamo di fare tutti bene»? Certo, siamo abituati a sentire e a dire il di dopo sperare, ma anche questa volta, prima di correre a sentenziare bastava aprire un vocabolario, nella fattispecie il Treccani, per scoprire (o imparare) che sperare può essere «Seguito da una proposizione oggettiva o dichiarativa introdotta da che, con il verbo al futuro o al congiuntivo». Ecco gli esempi: «Spero che vorrai riconoscere i tuoi errori; spero che verrai a trovarmi più spesso; speriamo che tutto si accomodi; spero che l’arrosto non si sia bruciato».

Quindi, Speriamo che faremo bene è insolito, ma non sgrammaticato. Licia Corbolante, terminologa che collabora con Treccani, nel suo blog Terminologia etc. aggiunge: «È possibile che la costruzione esplicita con il modo finito sia una scelta consapevole e la prima persona plurale anche nella subordinata serva a sottolineare un’azione comune nella pluralità (del governo). Bianchi, subito dopo speriamo che faremo tutti bene ha continuato con partiamo da quello che c’è, da una situazione difficile che riusciremo ad affrontare. Mi sembra quindi che in questo caso il giudizio sull’accettabilità di speriamo che faremo sia stato falsato da un’analisi frettolosa di parole isolate e fuori contesto».

Pietro Verri, filosofo, economista, storico, scrittore, nonché fondatore della scuola illuministica milanese, nel Settecento scriveva: «Ogni parola che sia intesa da tutti gli abitanti d’Italia è secondo noi una parola italiana: l’autorità e il consentimento di tutti gli italiani, dove si tratta della loro lingua, è maggiore dell’autorità di tutti i grammatici. Qualora uno scrittore dica cose ragionevoli, interessanti, e le dica in una lingua che sia intesa da tutti gli italiani e le scriva con tal arte da esser lette senza noia, quell’autore deve dirsi un buono scrittore italiano».

Insomma, burdéll maiàl, le lingue sono una materia viva e in continuo movimento, plasmabili dal tempo, dalle persone, influenzabili da dialetti e pronunce e, francamente, io preferisco uno che dica «L’ho imparato ieri sera» invece di «L’ho saputo», piuttosto che «First reaction, shock bicooos». Ogni allusione a politici demolitori è voluta. P.S. Maiàl in dialetto ferrarese è un’esclamazione ricorrente che sta per Mai al mondo. Il maiale nel senso di suino si dice busgàtt.

mariangela.mianiti@gmail.com

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