Economia

Gli immigrati «regalano» un punto di Pil in contributi

Gli immigrati «regalano»  un punto di Pil in contributiTito Boeri (Inps)

Previdenza Tito Boeri (Inps): «A fronte di nessuna pensione erogata. Abbiamo bisogno di migranti regolari». Le destre reagiscono: «Vive su marte». «Tolgono il lavoro agli italiani»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 21 luglio 2017

Un azzeramento dei permessi di lavoro per lavoratori stranieri comporterebbe una perdita di oltre 37 miliardi di euro per le casse dell’Inps. Per il presidente dell’istituto di previdenza Tito Boeri fino ad oggi questi lavoratori hanno «regalato» un punto di Pil (17 miliardi) in contributi «a fronte del quale non sono state erogate pensioni». Gli immigrati regolari versano 8 miliardi contributi sociali all’anno con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps. Non «rubano» il lavoro e permettono di pagare le pensioni degli italiani.

Ieri, in un’audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti, Boeri è tornato sulle considerazioni che fanno vedere rosso la destra. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia sono tornati a rispondergli a palle incatenate. Per Salvini, Boeri «vive su Marte». Per Calderoli: «Tolgono il lavoro agli italiani che sono costretti ad andarsene all’estero in cerca di opportunità professionali». Per Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, «gli immigrati sono una risorsa se sono poche migliaia».

In questa sfida contro le destre Boeri ha precisato che l’emigrazione italiana dei giovani non ha nulla a che vedere con l’arrivo dei migranti:«Mentre questi ultimi entrano nel mercato del lavoro italiano sono per la maggior parte dei casi a bassa qualifica, la quota degli italiani non laureati che scelgono di emigrare all’estero per motivi economici è dimezzata tra il 2007 e il 2015». Il presidente dell’Inps ha analizzato le contraddizioni delle politiche migratorie rispetto alle esigenze della stabilità delle casse dell’Inps e dell’estrazione capitalistica del valore da questa forza lavoro. Ha denunciato «il sostanziale azzeramento delle quote del decreto flussi» per i lavoratori stranieri, mentre invece il sistema avrebbe bisogno di aumentare la platea dei “regolari” per aumentare le entrate contributive necessarie per pagare le pensioni degli italiani, oltre che gli ammortizzatori sociali. «Abbiamo di fatto scelto di avere più irregolari nel nostro paese», mentre il sistema pensionistico italiano avrebbe bisogno di più lavoratori stranieri regolari.

«Il nostro paese – ha continuato – ha chiuso molti canali di ingresso regolare nel mercato del lavoro, mentre sta attraendo un crescente numero di rifugiati ed immigrati irregolari» anche se è proprio l’immigrazione regolare che «contribuisce a finanziare il nostro sistema pensionistico». «Questa è la contraddizioni in cui ci dibattiamo» ha aggiunto. Boeri ha smentito anche un’altra impressione del pressapoco: «La forte crescita di rifugiati non compensa il mancato arrivo di immigrati regolari – ha detto – Gli incentivi al lavoro regolare da parte dei rifugiati sono limitati dal fatto che il permesso per attesa richiesta asilo politico non può comunque essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro». «In assenza di canali di accesso regolari aumenta la percentuale di immigrati che lavora in nero, con effetti sul tasso di regolarità complessivo». La regolarizzazione porta a una emersione persistente nel tempo di lavoro, altrimenti svolto in nero. Le nostre analisi sulle sanatorie del 2002 e del 2012 documentano che l’80% degli immigrati anche dopo 5 anni dalla regolarizzazione è un contribuente alle casse dell’Inps». In ragione di questa situazione, dai dati delle ispezioni di vigilanza Inps emerge che «un lavoratore in nero su tre è clandestino».

I lavoratori regolari sono lontane dall’età della pensione. L’80% dei nuovi permessi di soggiorno è concesso a chi ha meno di 35 anni. La quota degli under 25 che cominciano a contribuire all’Inps come dipendenti, è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. In molti casi i loro contributi non si traducono in pensioni e sono considerati «a fondo perduto» che valgono 300 milioni all’anno. Questo durerà fino al 2075, quando chi avrà lavorato in continuità inizierà ad andare in pensione. Nell’attesa è auspicabile non considerarlo come una «risorsa» da sfruttare per la stabilità di un sistema sociale e finanziario, ma come una persona che affronta una doppia alienazione: nel lavoro e nella società. Anche questa è una contraddizione «in cui ci dibattiamo» e che merita di non essere occultata.

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