A molti di noi probabilmente è capitato di trovarsi – soprattutto durante le festività – con diversi imballaggi in casa e provare un senso di disagio per la mole di rifiuti che produciamo giornalmente, anche solo scartando gli oggetti acquistati. Effettivamente il packaging rappresenta il 28% del totale dei rifiuti urbani, l’8% del complessivo. Scatole, bottiglie, pacchetti: le nostre case ne sono invase e le quantità sono aumentate dal lockdown in avanti, come testimonia uno studio di Conai, il consorzio per il riciclo dedicato a questo specifico settore.

A MARZO E APRILE 2020 LA RACCOLTA DIFFERENZIATA è cresciuta per tutti i materiali, eccetto il legno. Alcuni rifiuti come l’acciaio, particolarmente utilizzato nello scatolame, sono aumentati fino al 20%. Nel primo semestre dell’anno scorso la media dei rifiuti conferiti è cresciuta del 5%, del 10% per la carta. A fine 2020 il riciclato complessivo è cresciuto di un punto rispetto al 2019, nonostante il rallentamento delle attività del commercio e della ristorazione. Per il 2021 – al netto di un possibile peggioramento della pandemia, la previsione è di un aumento della quota riciclata fino al 71,4% rispetto al 71% attuale.

SUI DATI 2020 HANNO INCISO NON SOLO le scorte accumulate dai cittadini: l’e-commerce ha contribuito ad accrescere la quantità di rifiuti urbani, o quanto meno a sostituire in parte i conferimenti derivanti dagli acquisti tradizionali. Il commercio on line ha visto un vero e proprio boom nell’ultimo anno e uno studio di Qaplà sottolinea un cambiamento che sembra proseguire anche nel 2021. Lo scorso gennaio quasi tutte le regioni italiane hanno fatto segnare un incremento degli acquisti in e-commerce, spesso a doppia cifra: Calabria +32%, Lazio +21%, Marche +20,5%, Sicilia +18,5%.

TUTTAVIA, COME ACCENNATO, L’IMPATTO ambientale degli imballaggi si può fortemente ridurre grazie all’utilizzo di materiali riciclabili. «La filiera genera un indotto di 592 milioni – sottolinea Simona Fontana, responsabile centro studi Conai – ma è una realtà piuttosto eterogenea. La raccolta rifiuti si diversifica tra città e provincia, e anche in base a condizioni ambientali o peculiarità territoriali: nei paesi caldi la raccolta va effettuata più spesso, i flussi turistici sono un fattore. Anche gli impianti la condizionano: per esempio, dove ci sono vetrerie è più facile che la raccolta vetro sia specifica e rimanga sul territorio. In Italia inoltre c’è ancora un sensibile divario lungo la direttrice nord-sud: al nord la raccolta differenziata raggiunge il 70%, al centro scende al 58% e al sud al 50%. Pesa anche un ritardo nella realizzazione degli impianti, i rifiuti viaggiano molto sul territorio nazionale: un quinto dell’immondizia percorre più di 100 chilometri. La differenziata ha senso però se almeno la fase di separazione e pulizia dei materiali avviene sul posto».

L’ITALIA COMUNQUE HA UN APPROCCIO più articolato rispetto ad altre nazioni dell’Unione: «Il nostro paese ha scelto di occuparsi di ogni tipo di rifiuto, a differenza di altri. Per esempio Belgio e Francia, relativamente alla plastica, fino a poco tempo fa raccoglievano solo bottiglie e flaconi». Questo non vuol dire che l’Italia sia in grado di smaltire o riciclare tutto e la quantità di immondizia esportata è ancora importante. «Fino a qualche anno fa la Cina acquistava molti rifiuti, poi hanno ridotto la loro disponibilità – spiega il presidente Luca Ruini. Questo ha significato da un lato la ricerca di nuovi acquirenti, dall’altro la necessità di migliorare la capacità dei nostri impianti. E bisogna sviluppare un vero e proprio mercato del riciclo, utilizzando varie leve».

PER TRASFORMARE I RIFIUTI IN UN PRODOTTO con un valore non basta raccoglierli (attualmente la materia recuperata vale 402 milioni l’anno), ma bisogna intervenire su tutti gli attori della filiera: a monte, a valle e sul consumatore stesso. Sotto questo punto di vista, in Italia è stata recentemente introdotta l’etichettatura ambientale «che indica la composizione dell’imballaggio, aiutando il consumatore a differenziare correttamente». Accrescere le quantità però non basta a rendere i rifiuti materia appetibile per le aziende. La politica può aiutare il mercato? Secondo Ruini sì. «I decreti end of waste sono fondamentali nell’indicare le condizioni che trasformano i rifiuti in materia prima per il mercato, in competizione con le materie vergini. Un’altra leva in mano al settore pubblico è quella del green public procurement: le amministrazioni possono indire delle gare assegnando punteggi più alti alle forniture che impiegano materiali riciclati, pensiamo alla carta. Ma al di là della plastic tax, sarebbe opportuno introdurre incentivi fiscali. Infine c’è lo strumento del Recovery Fund, che potrebbe essere utilizzato anche per migliorare la nostra filiera del riciclo, per rendere gli impianti più efficienti e realizzarne di nuovi nelle aree del sud, senza dimenticare la promozione dell’innovazione, come nel caso del riciclo chimico, per cui è importante realizzare impianti in scala industriale».

Ruini ritiene però che se la politica ha buoni strumenti di indirizzo, alle aziende a monte della filiera spetta un ruolo altrettanto importante: «È stato Conai a introdurre in Italia il concetto per cui pago un contributo ambientale più basso quanto è più riciclabile il mio imballaggio. Ed è compito delle imprese introdurre imballaggi sempre più facilmente riciclabili». Le vie per farlo sono le più diverse: «Ridurre il peso degli imballaggi, semplificare il packaging, sostituire la materia vergine con materiale già riciclato. Ma conta anche ottimizzare la logistica e ridurre gli scarti – spiega Fontana. «Il consumatore però non deve lasciarsi influenzare troppo da quello che vede. Il mono-materiale per esempio non è per forza meglio di un prodotto composto da materiali diversi. Una confezione di cartone può contenere colle, inchiostri e strati di altri materiali che ne ostacolano la riciclabilità, mentre una confezione con una finestrella in materiale plastico può al contrario essere facilmente separabile in fase di riciclo. Il buon consumatore deve sostanzialmente occuparsi di differenziare correttamente, avendo cura di seguire quanto indicato nell’etichettatura ambientale».

PER QUANTO RIGUARDA L’E-COMMERCE non è facile dire se aiuti o meno la sostenibilità: «Non bisogna lasciarsi condizionare dal fatto che vediamo una scatola in più – sottolinea Fontana – incidono molto la forma dell’imballaggio, il volume in relazione al prodotto e quale percorso fa l’oggetto acquistato. Se dalla fabbrica arriva direttamente a casa nostra, potrebbe anche avere un impatto minore rispetto al prodotto comperato tramite canali tradizionali». Pensiamo solo ai cartoni che si vedono all’uscita dei supermercati e che alcuni di noi usano per portare a casa la spesa. «Possono rappresentare anche la metà degli imballaggi utilizzati da un’azienda, ma il consumatore generalmente non li vede e perciò non li considera».