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Gli effetti della tragedia sull’epica: il Virgilio di Richard Heinze

Gli effetti della tragedia sull’epica: il Virgilio di Richard HeinzePaul Cézanne, Enea incontra Didone a Cartagine, 1875 ca., Princeton University Art Museum, The Henry and Rose Pearlman Foundation

Il Virgilio di Heinze Il mito romantico della poesia «ingenua» aveva relegato Virgilio al ruolo di imitatore di Omero e ridotto l’«Eneide» a un mosaico di prestiti... Ma nel 1903 comparve la «Virgils epische Technik» di Richard Heinze, che analizzando la forma poetica del poema ne rivelò la modernità drammatica e «sentimentale»

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 25 agosto 2024

In principio era Omero. Il mito romantico del primitivo e della poesia ‘ingenua’, esaltato da Schiller e Friedrich Schlegel, aveva relegato Virgilio al ruolo di imitatore e, a fine Ottocento, la filologia tedesca riduceva l’Eneide a un mosaico di prestiti. Quando comparve la Virgils epische Technik (VeT), nel 1903, fu una svolta: Jahn, principe della «critica delle fonti», reagì in modo ostile; ma Norden e Leo, che con studi su vari autori stavano avviando la rivalutazione della letteratura latina (malgrado le riserve sulla sua non-originalità), salutarono l’opera come epocale. Tradotta in inglese e in italiano dopo quasi un secolo, La tecnica epica di Virgilio (versione di Mario Martina, introduzione di Gian Biagio Conte, il Mulino, 1996) è stata definita il libro su Virgilio più importante del Novecento.

Figlio di un filosofo, Heinze (1867-1929) studiò filologia con Ribbeck a Lipsia (dove fu ordinario dal 1906), poi a Bonn con Bücheler e Usener, il maestro più affine ai suoi interessi filosofici; dopo un semestre a Berlino, che lo fece incontrare con Mommsen, a Strasburgo (1893-1900) conobbe Kaibel e Kiessling, di cui revisionò il commento oraziano. Tra le opere, spiccano il commento al terzo libro di Lucrezio (1897), attento a struttura e rapporto con la tradizione, i saggi seminali Petronio e il romanzo greco (1899) e Il racconto elegiaco di Ovidio (1919, ed. italiana EUT Trieste 2010), studi su «concetti di valore» che ebbero risonanza nell’incipiente riscoperta di Roma come modello per la nazione tedesca. Il volume su Virgilio è il capolavoro, per impegno, novità, apertura culturale – Sainte-Beuve e Richard Sellar sono precedenti riconosciuti, in ambito francese e inglese, di un maggior favore verso Virgilio.

Anziché giudizi di valore, accertare dati di fatto concreti
«Questo libro non vuole esprimere un giudizio di valore, bensì accertare dati di fatto concreti». In poche righe, la prefazione della VeT spazzava via i pregiudizi e scopriva il lavoro del critico: «Ho cercato di verificare quello che il poeta ha trovato nelle sue fonti e quello che ha mutuato dai suoi modelli, e, quindi, di indagare la sua opera di rielaborazione e trasformazione». Nasceva così la moderna critica dell’Eneide: quella che per tutto il secolo, e nel XXI, avrebbe indagato l’arte virgiliana di riscrivere Omero.

Che cosa sia la «tecnica epica», Heinze lo indica ne I compiti attuali della storia della letteratura romana (1907): tutto il lavoro artistico che dà forma alla materia, e che sta fra la sua individuazione e la formulazione linguistica. «Lingua e metro dell’Eneide li ho del tutto trascurati», scrive nella Prefazione alla VeT (nello stesso anno Norden, compagno nel ‘gruppo di Bonn’, pubblica il commento al libro VI, con le famose Appendici sullo stile). «La comprensione del poema in quanto opera di tecnica epica» mira a «desumere le tendenze artistiche dell’Eneide dall’interno»: nell’analisi delle strutture poetiche, Heinze segue lo storicismo di Dilthey, e mostra come interpretare significhi comprendere l’intenzione inscritta nelle forme del testo. Le scelte operate sulla tradizione vanno individuate per svelarne i princìpi: nel saggio, all’analisi di cinque unità narrative seguono cinque capitoli di sintesi. Riconoscendo le «soluzioni» date dall’autore ai «problemi» del comporre, il critico rifà il percorso creativo, in una «ri-creazione».

Ogni pagina nasce dal confronto con Omero. Giudizi di August Wilhelm von Schlegel sui poemi omerici sono citati per far risaltare a contrasto tendenze artistiche del poeta latino: «come ha detto bene A.W. Schlegel, Omero si immerge “in ogni momento del passato con animo così totalmente assorto, come se nulla fosse accaduto prima e nulla dovesse accadere in seguito, onde per tutto il poema si diffonde uniforme il senso rasserenante di un continuo presente”. In Virgilio, questa “calma epica” si trova solo eccezionalmente; come nel dramma (…) ogni scena tende verso un determinato epilogo, così avviene in Virgilio».

È qui un’acquisizione della VeT. La vicinanza a Omero fa percepire la distanza da cui gli si accosta Virgilio, che «quasi a voler introdurre nel modo più naturale quell’elemento di modernità, con tanto maggior rigore si mantiene aderente al modello». In questa distanza culturale, la tragedia è un fattore chiave. «Bisogna mettersi in testa che qui Virgilio, con molta audacia, ha trasferito all’epica la tecnica drammatica», scrive Heinze del finale. L’Eneide fa suo il principio dell’unità di azione enunciato da Aristotele e riproduce nel ritmo del racconto gli effetti della tragedia: strutturazione per scene, condensazione ed economia di dettagli, integrazione di ogni parte nel tutto, crescendo di intensità, peripezia. Ecco qualcosa di sconosciuto a Omero: la «tecnica epica» di Virgilio è anche «tecnica drammatica».

Alla drammatizzazione del racconto è connessa la ricerca del pathos. Suscitare compassione e terrore è, per Aristotele, il fine della tragedia. Anche Virgilio, osserva Heinze, vuole «suscitare il pathos della compassione o dell’orrore»; per questo, si allontana dall’oggettività omerica e lascia che il racconto assuma il punto di vista dei personaggi: «Ciò che caratterizza in modo specifico la narrazione virgiliana è il fatto che essa è impregnata ovunque di sentimento»; Virgilio «si è calato nell’animo dei personaggi e di lì conduce l’azione»; «egli vuole che l’ascoltatore provi quello che lui prova».

È inaugurato così lo studio dello stile soggettivo di Virgilio, il cui aspetto più moderno non è la partecipazione diretta del narratore, ma quella che Heinze chiama Empfindung e critici successivi empatheia: una qualità diffusa del discorso. Molta ricerca su focalizzazione e punto di vista è in nuce nella VeT: che, nel richiamo all’homoiopathein (l’immedesimazione), si avvicina alla moderna teoria della ricezione.

«La principale emozione tragica, la compassione, predomina anche in Virgilio», scrive Heinze. Non basta. «L’individuo può provare un turbamento totale solo se prova verso chi soffre non semplicemente compassione ma anche amore e ammirazione: solo allora gli riesce di immedesimarsi in lui». Così, «balza agli occhi quanto Virgilio sia vicino in questo ai precetti relativi al carattere dell’eroe tragico che Aristotele aveva codificato sulla base della tragedia attica». La ‘tragedia’ di Didone è l’esempio principe del sublime virgiliano: «Ciò che distingue Didone dalle infelici eroine della più recente narrativa patetica è soprattutto il fatto che non si tratta di un essere umano qualunque, ma di una regina di alto sentire (…) che ha guadagnato l’ammirazione dell’ascoltatore, prima ancora di ottenerne la compassione».

Il criterio della semplicità
Al «Sublime» Heinze riserva le pagine finali: «L’obiettivo più alto di Virgilio è quello di destare nell’ascoltatore il sentimento del sublime». A ciò mira lo stesso procedimento di «Semplificazione»: anche nel caso complesso di Didone, quella che ci viene offerta è «una serie ben ordinata di quadri semplici e grandi: l’affresco del poeta epico che, mentre dipinge, continua a portare avanti l’azione. Nella Medea di Apollonio (…) proprio nella quantità di particolari si avverte la mancanza di grandezza epica; Virgilio (…) si attiene al criterio della semplicità».

L’ultimo paragrafo della VeT definisce il sublime «una qualità dello “stile”, nell’accezione più ampia del termine». Qui il critico concede qualcosa alle idee correnti, mentre le scardina: «Non si devono avere delle remore a parlare di sublime nell’ambito di una disamina della tecnica poetica di Virgilio, poiché esso è una conquista cui Virgilio ha scientemente mirato, non possedendolo come dote naturale alla stregua di un Eschilo o di uno Schiller». Dunque, Virgilio «non possedeva il megalophyès (…) Eppure (…) ha cercato di realizzare (…) quell’ideale di sublime che egli aveva assimilato dalle correnti del proprio tempo».

Citando Schiller – tra i romantici, il meno insensibile alla ‘poesia sentimentale’ virgiliana – Heinze ricorda il suo giudizio sulla descrizione dell’aldilà. E, in chiusa, definisce il sublime la chiave per comprendere l’Eneide: «Linee semplici e grandi, ordine e chiarezza nel piccolo come nel grande, rigorosa armonia della costruzione, rinuncia a tutti i dettagli superflui che potevano distrarre lo sguardo e offuscare l’effetto unitario – questi i princìpi guida che abbiamo sistematicamente ritrovato nella rappresentazione e nella composizione; sono essi a determinare la forma che è straordinariamente adeguata alla sublimità della materia». All’alba del Novecento – grazie a Heinze – l’imitatore di Omero riappariva sublime come il suo modello.


*Federica Bessone è professoressa ordinaria di Lingua e letteratura latina all’Università di Torino. È autrice di un commento alla dodicesima «Eroide» di Ovidio, P. Ovidii Nasonis Heroidum Epistula XII. Medea Iasoni (Le Monnier 1997), e di La Tebaide di Stazio. Epica e potere (Fabrizio Serra, 2011).

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