Lavoro

Gli autonomi a partita Iva sono sempre più poveri

Gli autonomi a partita Iva sono sempre più poveri

Quinto Stato Una ricerca della Cgia di Mestre indaga il risvolto della retorica sulle start up e dell'auto-imprenditorialità. Gli autonomi sono lavoratori, e non imprenditori, senza tutele sociali. Uno su quattro ha un reddito al di sotto della soglia di povertà: 9.455 euro annui. "Non bisogna togliere le garazie ai dipendenti, ma estenderle agli autonomi"

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 29 novembre 2015

Vivono al di sotto del reddito di povertà: 9.455 euro all’anno. Nel 2014 una famiglia su quattro con un reddito principale da lavoro autonomo ha vissuto in condizioni insostenibili. Lo sostengono i dati rielaborati dalla Cgia di Mestre secondo la quale tra il 2010 e il 2014 i nuclei familiari in cattive acque sono aumentati di 1,2 punti percentuali. E questo senza considerare i freelance, single o conviventi, quelli che non formano una famiglia «tradizionale». Per loro la condizione si presenta ancora più difficile. La Cgia fa un paragone: se la povertà è scesa dell’1% per i pensionati, per le partite Iva è cresciuta del 5,1%. Nell’ultimo anno il dato è rimasto stabile. La crisi ristagna, i nuovi poveri restano in una condizione stabile. «Se un lavoratore dipendente perde momentaneamente il posto di lavoro può disporre di diverse misure di sostegno al reddito – ricorda il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia Paolo Zabeo – Un autonomo non ha alcun paracadute. Una volta chiusa l’attività è costretto a rimettersi in gioco affrontando una serie di sfide impossibili. Oggi è difficile trovare un’altra occupazione: l’età spesso non giovanissima e le difficoltà congiunturali costituiscono un ostacolo insormontabile al reinserimento nel mondo del lavoro».

Durante la crisi gli autonomi sono diminuiti di quasi 260 mila unità: il 4,8 per cento. La platea dei lavoratori dipendenti, invece, si è ridotta di 408.400 unità, anche se in termini percentuali è diminuita «solo» del 2,4 per cento cioè della metà. Dall’inizio della crisi ad oggi, gli autonomi hanno segnato la contrazione peggiore in Emilia Romagna (-14,6 per cento), in Campania (-13,7 per cento) e in Calabria (13,3 per cento). Di rilievo, invece, la performance ottenuta dal Lazio (+10,1 per cento) e dal Veneto (+5,3 per cento). Nella cateogira di lavoro autonomo la Cgia raccoglie i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari. E’ probabile che i dati potrebbero essere ancora più crudi se a queste categorie si aggiungessero coloro che lavorano nella zona grigia tra lavoro autonomo e parasubordinazione, cioè a termine, a contratto, a giornata, a chiamata, a part-time. La categoria utile per ottenere un’immagine complessiva di questa società del quinto stato è quella di “lavoro indipendente”.

La Cgia indaga una parte consistente di questo universo eterogeneo e in divenire. «Il forte calo della domanda interna ha contribuito in maniera determinante a peggiorare le condizioni economiche degli autonomi – segnala il segretario della Cgia Renato Mason – Gli artigiani, i piccoli commercianti e i liberi professionisti nella stragrande maggioranza dei casi vivono dei consumi delle famiglie: il crollo di quest’ultimi ha causato una caduta verticale del fatturato di moltissime piccole attività e spinto alla chiusura tantissimi lavoratori autonomi. Si auspica che la ripresa dei consumi si consolidi nella parte finale di quest’anno e che il 2015 possa chiudersi con un numero di lavoratori autonomi superiore al 2014, come sembrerebbe intravedersi nei dati provvisori relativi al primo semestre».

Questa ricerca mostra il risvolto materiale della retorica prevalente sulle «start up» e il permanente elogio sull’«auto-imprenditoria». Si parla sempre dell’innovazione in maniera disincarnata, come se le partita Iva fossero tutti imprenditori capaci di comprare i diritti sul mercato del Welfare, non lavoratori come tutti gli altri. Questa rimozione cancella il rapporto tra prestazione (l’opera) e il diritto, tra il tempo e l’«ora/lavoro» che il ministro del lavoro Poletti considera un «vecchio arnese». «La precarietà presente nel mondo del lavoro si concentra soprattutto tra il popolo delle partite Iva. Sia chiaro – aggiunge Zabeo – la questione non va affrontata ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma allargando l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a questi ultimi che, almeno in parte, dovrebbero finanziarseli». Si tratta di immaginare un Welfare universale: un fisco equo, tutele, pensioni «di cittadinanza» per chi non ne avrà mai una a causa dell’intermittenza lavorativa e della riduzione dei compensi. Elementi utili per una discussione sullo “statuto del lavoro autonomo” inserito per il momento dal governo in un collegato alla legge di stabilità.

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