Cultura

Gli attori della ribalta sociale

Gli attori della ribalta socialeRené Magritte "Pilgrim", 1966

Saggi Nell'anniversario dei quarant'anni, una traduzione della parte centrale del saggio del sociologo francese che uscì nel 1973 come analisi del libro appena pubblicato da Goffman "La vita quotidiana come rappresentazione"

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 31 luglio 2013

Il libro di Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, insegna che gli strumenti della scoperta scientifica possono trovarsi altrove rispetto alla ferraglia concettuale consolidata dalla routine del mestiere e che l’abolizione delle censure che conferiscono il loro mistero ai meccanismi socialmente nascosti del funzionamento dell’ordine sociale, impone a volte di sospendere l’acquiescenza ai precetti regolatori e inibitori dei canoni metodologici, anche di quelli più importanti.
Ma l’intuizione socialmente fondata e collettivamente approvata – come ne porta testimonianza il suo essere radicata nella lingua – che fornisce a Goffman lo schema originario a partire dal quale si opera l’elaborazione sistematica di un nuovo modello di relazioni interindividuali, produce come effetto quello di mantenere la costruzione goffmaniana all’interno di barriere, insuperabili nell’ordine della sua logica interna, inerenti alla natura delle opposizioni che essa stabilisce; l’analisi tende, allora, a svilupparsi interamente dentro dei limiti che le sono tracciati dal punto determinato dello spazio sociale dove la prospettiva che la orienta trova la sua fonte.
Se da un lato Goffman non sembra, se non con difficoltà, mantenere la posizione relativista solidale con una definizione strutturale dell’identità sociale cara alla tradizione di Mead e di Cooley – come se, preso in trappola dal realismo che lo blocca nell’opposizione tra la sincerità e il simulacro, non potesse sottrarsi alla questione scientificamente e praticamente incerta dell’autenticità delle pratiche – dall’altro, è come se non percepisse chiaramente il legame teorico che fornisce il principio della loro unità a gran parte degli scontri di cui descrive, con una notevole lungimiranza, tutte le proprietà socialmente pertinenti e che hanno come tratto comune quello di opporre degli agenti appartenenti a classi differenti, nella maggior parte dei casi alle classi medie, da una parte, e alle classi superiori dall’altra.

Giochi di ruolo

Quando, però, la sociologia è in affinità con una visione piccolo borghese del mondo sociale che trova il suo principio nella contraddizione tra una condizione oggettivamente dominata e la partecipazione incerta ai valori dei gruppi dominanti che porta ad occupare delle posizioni instabili nella struttura delle classi e/o una traiettoria ascendente, ebbene, la sociologa accede difficilmente alla comprensione dei conflitti collettivi di classe che essa tende a censurare o ignorare in quanto tali. Sostituendo, allora, almeno in modo latente, una sorta di giacobinismo morale all’analisi critica dell’ordine sociale, la sociologia si ferma a una visione pessimistica delle relazioni personali tra individui come quella degli attori de La vita quotidiana come rappresentazione: professionisti dei servizi o membri della rappresentanza del personale, ragazzi d’hotel, venditori, ufficiali giudiziari, impresari di pompe funebri, rappresentanti di commercio o hostess di volo, gli agenti sociali che presenta Goffman, spesso confinati come i domestici nella sfera della vita privata e tenuti a distanza dalla «ribalta» dove la classe dominante gioca il suo ruolo, sono costretti, nella maggior parte dei casi dalla loro funzione, a persuadere, rassicurare, ispirare sfiducia o rispetto e a vendere la maschera sociale momentaneamente indossata assieme al prodotto o al servizio proposto; già inclini, in seguito alla posizione ambigua che essi occupano nella struttura sociale, a sviluppare un’attenzione minuziosa verso le tecniche sociali di manipolazione e di bluff, sia per proteggersi dallo sfruttamento e sia, utilizzandole a loro volta, per sostenere le proprie strategie di mobilità, gli agenti sociali goffmaniani trovano nella loro esperienza professionale delle ragioni supplementari per abbandonarsi al sospetto e, attraverso una sorta di uso sistematico della diffidenza, per cercare nella «demistificazione», nella divulgazione dei «vizi nascosti e dei segreti vergognosi» e nella rivelazione dell’«inverso nascosto del decoro» gli strumenti utili per procacciarsi una forma di conforto morale che li giustifichi, attraverso una «rivincita immaginaria», come dice Nietzsche, di essere socialmente ciò che sono e, in quanto agenti sociali, di non fare altro da «ciò che non possono impedirsi di fare». Può essere, allora, che Goffman porti i materiali più elaborati allo studio dei rapporti di classe e, se non sembra possedere sempre la teoria della sua pratica, deve alle sue «conoscenze tacite», come dice Polanyi, di raggiungere, quasi involontariamente, il suo oggetto proprio quando consacra le sue migliori analisi ai molteplici conflitti di classe che produce la routine della vita quotidiana. Pone così i fondamenti di una scienza inedita della politica che, a differenza della scienza politica dei politologi, non limita il suo campo agli oggetti socialmente ed esplicitamente qualificati come politici, ma analizzando le relazioni e le strategie oggettivamente politiche che si intrecciano in ogni momento tra agenti di gruppi differenti o di classi differenti, senza che necessariamente appaiano come tali.

[do action=”citazione”]Non si può comprendere il rapporto di forza tra gli agenti che la situazione mette in presenza, se si ignora che esso è determinato  dalla posizione che gli stessi agenti occupano nella gerarchia sociale[/do]

Ma un tale uso della problematica goffmaniana che permetterebbe di sostituire alle spiegazioni in termini di motivazioni psicologiche – «giocare» e «sventare», «mascherarsi» e «smascherarsi» – delle spiegazioni in termini di funzioni sociali e di vedere dietro questi giochi di specchi dei giochi di potere, esigerebbe senza dubbio un rovesciamento della prospettiva con cui Goffman tende a fare della situazione – questa «variabile trascurata» della sociologia canonica che egli intende riabilitare – un microcosmo che conferisce tutto il loro senso alle azioni e alle reazioni che vi si realizzano. Focalizzando la sua attenzione sulle situazioni e sull’ordine locale temporaneo e labile che esse instaurano, Goffman sembra perdere di vista il sistema delle posizioni sociali alle quali la loro natura istituzionale (variabile a seconda dei casi) conferisce un carattere durevole, ufficiale e legittimo. Allo stesso modo, egli tende a rinchiudere in una stessa classe di fenomeni dei comportamenti disparati come quelli, per esempio, del «medico ospedaliero» nell’esercizio delle sue funzioni, associate all’occupazione di una posizione determinata, socialmente riconosciute e che possono essere compiute solo da individui socialmente qualificati e quelle di un «bambino sulla giostra» che sono solamente legate a un contesto o a una situazione particolare e che possono, di conseguenza, essere prodotti da un individuo socialmente indeterminato o, se si preferisce, da un anthropos spogliato delle sue più fondamentali caratteristiche sociali.

Rapporti strategici

Ora, la struttura delle situazioni non può essere decifrata, almeno nella maggior parte dei casi, se non attraverso il riferimento al sistema delle posizioni sociali durevoli nelle quali sono inseriti gli agenti di cui esse realizzano l’incontro temporaneo. In particolare, non si può comprendere il rapporto di forza tra gli agenti che la situazione mette in presenza, se si ignora che esso è determinato quasi interamente dalla posizione che questi agenti occupano nella gerarchia sociale: l’attitudine degli agenti a imporre come scontata la definizione della situazione che serve meglio ai loro interessi è, essenzialmente, funzione del grado con cui possono importare nella situazione interattiva tutta o parte della legittimità che essi detengono a titolo delle posizioni che occupano nella struttura di istituzioni particolari o nella struttura sociale presa nel suo insieme.
Così, «la logica delle interazioni» che possono stabilirsi tra agenti in presenza diretta e, in particolare, le «strategie che essi si oppongono» sono subordinate, come dice Bourdieu, «alla struttura delle relazioni oggettive tra le posizioni» che gli agenti occupano, «strutture che determinano la forma che possono prendere le loro interazioni e la rappresentazione che se ne possono fare». Allo stesso modo, Goffman tende a trascurare la relazione tra le caratteristiche strutturali delle situazioni che egli purtuttavia descrive, e la posizione occupata nella struttura sociale dagli agenti che essa include, per questo motivo Goffman non sembra interessato al fatto che ogni agente abbia opportunità molto ineguali di incontrare una situazione determinata e che detenga, in gradi molto diversi, gli strumenti opportuni per padroneggiare i differenti tipi di situazioni a seconda del gruppo o della classe a cui appartiene.
Trad. it. Fabrizio Denunzio

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