Gli archeologi: «Giovani o meno, non siamo schiavi da 3,4 euro l’ora»
Beni Culturali Intervista al presidente dell'Associazione Nazionale Archeologi Salvo Barrano sul bando dei 500 "giovani per la cultura" al Mibac
Beni Culturali Intervista al presidente dell'Associazione Nazionale Archeologi Salvo Barrano sul bando dei 500 "giovani per la cultura" al Mibac
Per il ministero dei Beni Culturali si può essere ancora giovani a 34 anni. Chi ha solo un mese di età in più non potrà partecipare al bando per la selezione di 500 under 35 per inventariare e digitalizzare il patrimonio culturale. Ai vincitori verrà erogata un’indennità da 5 mila euro lordi, 416 euro al mese, 20,8 al giorno, 3,4 all’ora. «Rivedrò personalmente tutte le clausole del bando – ha promesso il ministro per i Beni Culturali – e ove ci fossero errori porremo rimedio». Bray ha replicato così alla campagna contro i «500 schiavi» del Mibac rilanciata dall’Associazione Nazionale Archeologi (Ana) che l’11 gennaio 2014 organizzerà una manifestazione di protesta a Roma alla quale hanno aderito decine di associazioni dei beni culturali e del lavoro autonomo. A Salvo Barrano, presidente dell’Ana, chiediamo se è soddisfatto della risposta del ministro Bray.
Nel decreto «Valore Cultura» c’è il tax credit per il cinema, il ripristino della Sopritendenza di Pompei… cosa c’è che non va?
L’idea di politica del lavoro. Avevano 2,5 milioni di euro e hanno pensato di fare assistenzialismo stile anni Ottanta. Questo bando mi ricorda il progetto di De Michelis sui “giacimenti culturali”, un progetto una tantum sulla schedatura e informatizzazione del patrimonio. Furono spesi miliardi di lire senza lasciare nulla. Oggi parlano di tirocini e stage, ma non fanno altro che creare lavoro precario.
Bray esclude però nuove assunzioni a causa del blocco del turn-over, per questo ha promosso un’iniziativa per i giovani…
Già definire «giovane» un trentenne puzza di paternalismo. Che senso ha creare un nuovo tirocinio se in Italia esistono decine di scuole di specializzazione in archivistica, in archeologia, in storia dell’arte? Cosa vogliono formare? Altri precari? Non ce n’è bisogno. Il mercato è già saturo di figure ultra specialistiche e iperformate nel campo dell’archivistica e della digitalizzazione…
I tirocinanti non entrerebbero in competizione con il personale al lavoro in questi campi. È vero?
Non temiamo la competizione, ma la presa in giro. Queste cinquecento persone rischiano di cadere nella trappola in cui purtroppo sono rimasti impigliati già centinaia di professionisti. Per fare un tirocinio o uno stage non c’è bisogno di 1400 ore minime, basta un modulo di formazione, un paio di mesi e poi bisogna mettere questa gente a lavorare. Non certo a 3,4 euro all’ora. Così facendo il ministero legittima tutti, pubblico e privato, a pagare i lavoratori la stessa cifra.
Che cosa chiedete allora?
Va ribaltata l’impostazione del bando. Dev’essere una selezione sulla base di curriculum e competenze per incarichi professionali. Chiediamo il raddoppio del compenso, e non un’indennità, per un incarico al quale si possano affiancare altre attività. Chiediamo di eliminare il requisito dei 35 anni.
Questa campagna contro i tirocini può avere un risultato sulla politica, visto che il Pd si preapra a presentare il suo «Job act»?
Spero che Renzi, e la responsabile lavoro del partito Madia, assumano una posizione diversa sugli stage e i tirocini, ma anche sul lavoro in generale, rispetto a quanto sta facendo il governo. Il decreto lavoro Giovannini, le misure sul lavoro gratuito all’Expo 2015, dimostrano che è prigioniero della logica degli altri governi: dualismo del mercato del lavoro, iniquità previdenziale, paternalismo. Mi aspetto un’inversione di rotta che valorizzi la dignità del lavoro e delle competenze, che sono la chiave di volta per il rilancio anche dei beni culturali.
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