Gli anni Settanta e la richiesta di porte aperte nei tribunali
CONVEGNI La ricostruzione storica del primo processo per stupro in Italia (1976). Domani una giornata di studi a Verona
CONVEGNI La ricostruzione storica del primo processo per stupro in Italia (1976). Domani una giornata di studi a Verona
Nel panorama di lotta contro la violenza sessuale che il femminismo ha portato avanti negli anni ’70, le iniziative del movimento delle donne di Verona occupano un posto centrale: qui per la prima volta in Italia, in occasione di un processo per stupro, nel 1976, le donne si mobilitarono a sostegno della giovane vittima, chiedendo con lei che il processo si svolgesse a porte aperte.
Si trattava di una richiesta inusuale dal profondo significato simbolico e politico. L’obiettivo non era solo quello di esprimere vicinanza e solidarietà alla vittima e di essere al suo fianco durante il dibattimento, ma di cercare di evitare che il processo si trasformasse per lei in una seconda violenza e soprattutto di fare del processo stesso un momento di denuncia pubblica contro la parzialità della legge, l’atteggiamento spesso connivente dei giudici nei confronti degli stupratori, la violenza esercitata dalle istituzioni. Si trattava insomma di una iniziativa dal forte valore politico.
AVVENIVA SPESSO infatti (e ancor oggi talora avviene purtroppo) che nelle aule dei Tribunali le vittime si trasformassero in imputate, complice un codice penale fascista che inseriva la violenza carnale non tra i delitti contro la persona, ma contro la «moralità pubblica e il buon costume» (titolo IX capo 1, art. 519) e complice una letteratura giuridica che riconosceva pure legittimità alla Vis gratae puellae, di derivazione romana. Per esser credute, le vittime dovevano insomma esibire sul loro corpo le prove della resistenza fisica, della lotta sostenuta contro i violentatori, oltre che provare una condotta di vita «esemplare», quasi monacale. Ma anche questo forse non sarebbe bastato, come non era bastato a Donatella: pur massacrata, era stata esposta a interrogatori denigranti e offensivi. L’indignazione per questo, nell’estate del 1976, aveva rinfocolato la fortissima ondata emotiva seguita al delitto del Circeo,
PER TUTTE QUESTE RAGIONI le vittime di stupro nella maggior parte dei casi non sporgevano denuncia, e non solo per paura, ma ben sapendo che la loro condotta sarebbe stata «vivisezionata»; che il loro corpo ispezionato in penose perizie ginecologhe; che si sarebbero esposte alla vergogna e al disonore; che avrebbero tradito l’implicita aspettativa di silenzio: dalle donne violentate ci si aspettava il sacrificio del silenzio, in nome della difesa dell’onore proprio e della famiglia (perfino negli stupri di guerra, come ha messo in luce la ricerca storica).
E questo sarebbe probabilmente successo anche nel caso in questione, se non fossimo stati a un anno dal delitto del Circeo, in una fase di crescita e di grandi manifestazioni del movimento femminista, se la vittima, pur giovanissima, non fosse stata coraggiosa e determinata, e se il movimento femminista veronese non avesse deciso di fare su questo e con lei una grande battaglia.
La richiesta di processo a porte aperte, inviata al presidente del Tribunale, raccolse in poco tempo migliaia di firme in città e adesioni da ogni parte d’Italia, con telegrammi di autorevoli rappresentanti del mondo culturale e politico, da Dacia Maraini alle redattrici delle rivista «Effe», allo stesso vicesindaco della città, oltre a vari onorevoli. A rappresentare la parte civile, accanto all’avvocato veronese Vincenzo Todesco (già difensore nel 1973 a Padova di una giovane ragazza accusata di procurato aborto, assieme a Bianca Guidetti Serra), arrivarono da Roma Tina Lagostena Bassi e Maria Magnani Noya.
I giorni del processo videro una grande mobilitazione nel cuore di Verona di tutti i gruppi e le associazioni femministe della città e del Veneto: più di 500 manifestanti, secondo i giornali del tempo. L’impatto mediatico fu molto forte: erano presenti tutti i maggiori giornali nazionali, oltre che locali, le radio, la televisione (il 26 ottobre 1976 RAI1 manderà in onda un lungo documentario di 45 minuti girato da Angelo Campanella).
LE MANIFESTANTI ingaggiarono un vero e proprio braccio di ferro con la Corte nelle due udienze del processo, tra sit-in nelle aule del Tribunale, accordi e concessioni parziali, sospensioni e riprese del dibattimento, tentativi di sgombero e riapertura delle porte, fino al colpo di scena finale della ricusazione dei giudici da parte delle avvocate di parte civile, Tina Lagostena Bassi e Maria Magnani Noya, che abbandonarono l’aula in segno di protesta per la decisione presa dal presidente di allontanare le manifestanti nella fase finale del dibattimento.
Fu comunque una grande vittoria e non certo per la sentenza finale, che pure accoglieva le richieste delle avvocate di parte civile, ma per l’impatto che il processo ebbe nella pubblica opinione, per la realtà che svelò e denunciò (prima del processo per stupro di Latina del 1978, da cui fu tratto il celebre filmato Processo per stupro (1979), per lo straordinario coraggio di questa ragazza che scelse per sé e per le altre non il silenzio, ma la parola, per contestare le leggi e il comportamento dei giudici, a partire da sé, con la forza dell’unione delle altre donne.
L’INIZIATIVA del movimento femminista veronese fu ripresa in altre città, divenne modello in analoghi processi, tra cui appunto quello di Latina. All’interno del movimento si aprì una stagione di grandi iniziative sul tema della violenza sessuale: si avviò quel lungo dibattito sulla legge che porterà al varo della legge 66/ 1996 «Norme contro la violenza sessuale»: finalmente lo stupro fu riconosciuto come reato contro la persona. Ma soprattutto fu il fiorire di una lunga serie di dibattiti, analisi, indagini storiche e sociologiche che si coniugarono a iniziative concrete di aiuto e supporto alle vittime di violenza, con la nascita anche dei primi centri anti-violenza autogestiti: un percorso di mobilitazione e impegno ancora oggi ricco e fecondo.
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SCHEDA. «Per non essere mai più sole»
In ricordo della mobilitazione e delle lotte contro la violenza sessuale che il movimento delle donne di Verona ha sostenuto negli anni ’70, a sostegno delle vittime e denunciando la parzialità della legge e dei giudici, l’Università di Verona, in collaborazione con la Società Italiana delle Storiche, organizza il convegno «Per non essere mai più sole» (in questa pagina l’anticipazione della relazione di apertura), che si terrà domani dalle 16 alle 19 in aula T3- Polo Zanotto, Viale dell’Università 4. Per informazioni sul programma si può visitare il sito: www.univr.it/maipiusole
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