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Gli animali nell’opera di Proust

Gli animali nell’opera di ProustSimon Bussy, La Gazelle, 1927

Saggistica francese Daria Galateria, «Il bestiario di Proust», Sellerio: un gustoso saggio, corredato di 115 schede, sulla zoologia proustiana, tra vita e letteratura

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 17 luglio 2022

Per i lettori di Proust, ma anche per chi vi si vuole accostare spiando da una porta secondaria, è uscito un gustoso saggio di Daria Galateria, Il bestiario di Proust (Sellerio «La memoria», pp. 332, € 15,00). L’inizio del libro, ultima fatica di una delle nostre più competenti e brillanti francesiste, riassume perfettamente il suo contenuto: «La Recherche è un’Arca di Noè, in cui Proust ha messo in salvo, a centinaia, i suoi animali perduti». Il bestiario vero e proprio, 115 schede su ciascun animale citato nell’opera dello scrittore, è preceduto da un testo che analizza il senso e l’uso che Proust ha fatto della presenza animale nella sua opera. Come già altrove nel suo inesausto scandaglio della storia e della letteratura francese, Galateria associa una non comune padronanza della materia alla felicità di espressione, che accompagna il lettore nel viaggio all’interno di una portentosa tradizione senza mai fargli pesare il bagaglio delle nozioni che quel viaggio rendono possibile.
Proust non amava la caccia e l’equitazione, che pure aveva praticato, e forse nemmeno troppo i grandi zoo del suo tempo, anche se in questo caso gli esemplari imprigionati ed esibiti gli strappavano «una comprensione profonda per questi animali sovrani estirpati dal loro regno naturale». Il mondo animale, già presente nel romanzo incompiuto Jean Santeuil, unito alla lettura dei grandi naturalisti, gli suggeriva ammirazione e invidia per i fratelli muti del genere umano: «Provavamo invidia per il serpente boa che impiega una settimana per digerire e che può dormire diversi giorni di seguito. Provavamo invidia per la lucertola che passa intere giornate su una pietra calda a lasciarsi penetrare dal sole. Provavamo invidia per la balena che compie tanti bei viaggi per l’oceano pacifico, per le foche che giocano in mare al sole, per i gabbiani che sfidano le tempeste e si lasciano portare dal vento … Animali che non pensano a nulla».
La razza ondeggiante in mare, l’elegante medusa merlettata, le vespe scaricatrici che mettono al sicuro le larve sotto terra non prima di averle rifornite di insetti catturati, paralizzati con punture chirurgiche per conservarne le carni, chiamando «l’anatomia in soccorso della crudeltà». Queste vespe, provvide madri che le larve mai conosceranno, diventano metafora della creatività dell’artista «quello che del loro animo, in un desiderio istintivo, voleva perpetuarsi, si è distaccato per sopravvivere alla caducità». E in parziale discordanza con l’altro grande classico novecentesco, Kafka, che trasforma il suo alter ego Gregor Samsa in un insetto, bersaglio di diffidenza e di odio: «Ecco dunque gli animali che servono a Proust a raccontare la sua vita di scrittore: la stanza notturna in cui si è rinchiuso, e il tempo destinato ai suoi quaderni, e a quella specie di sua parziale resurrezione cui sono destinati. Si è identificato con le bestie che hanno gli organi destinati al piacere altrettanto mal congegnati del suo».
Non che gli animali non possano evocare immagini orribili: «Ah, le be-bestioline (les petites bébêtes) che corrono su Madame», esclama Françoise, la cameriera, vedendo la nonna morente a cui il medico ha applicato sul cranio le sanguisughe. Ma quel verminaio brulicante non toglie alla vecchia signora il suo aspetto di rasserenata Medusa. Anche l’intero corpo umano, viene percepito da Proust come animalità estranea al nostro io: «Nella malattia scopriamo che non viviamo soli, ma incatenati a un essere di un regno differente: il nostro corpo, incomprensibile e ignaro di noi come una piovra». Al punto che per riconoscerne il linguaggio abbiamo bisogno dei medici, mediatori e interpreti tra lui e noi (è casuale che due dei maggiori scrittori dell’età moderna, Flaubert e Proust, siano figli di medici, e un terzo, Cechov, sia stato medico egli stesso?).
Gli animali possono diventare paragone per le caratteristiche di un ceto o di una famiglia o di un unico uomo personaggio: «La qualità ornitologica dei Guermantes» che sono «graziosi come rondini» e vantano «la fecondazione mitologica di una ninfa a opera di un Uccello divino». La duchessa di Guermantes ha «il naso a becco d’uccello» ed è avvolta dalla pelliccia «come da un piumaggio spesso, fulvo e dolce di un avvoltoio», e Charlus il barone omosessuale, non ha fondato il circolo delle Fenici?
Ma non tutti gli animali sono graditi o gradevoli, e se il narratore della Recherche può superare l’iniziale ripulsa per ostriche e meduse, rimane invincibile in lui l’orrore per altre bestiole comuni: «I topi resteranno invece per sempre un’ossessione», ossessione ambigua però, che provoca in Proust «ribrezzo e eccitazione», fino alla leggenda del suo sadismo che avrebbe richiesto l’uccisione di topi all’Hôtel Marigny, casa di piacere per omosessuali, al solo fine di eccitarsi.
Anche i grandi testi classici fanno capolino nell’opera proustiana con le loro storie di animali, non solo i topi di La Fontaine ma anche le Mille e una notte, con una scena di efferato sadismo: «Nel Tempo ritrovato sono citate esclusivamente le favole in cui compaiono uomini e bestie flagellati». O il macabro episodio della Legenda aurea di Jacopo da Varazze, secondo cui il matricida Nerone, volendo conoscere il dolore del parto ingoia un girino che crescendo dovrà essere sputato sotto forma di rana mostruosa.
Altrove osserva, da uno studio preparatorio di Sodoma, che balene, ricci e animali con lunghe e ramificate corna, non possono baciarsi! Le schede apprestate da Daria Galateria sono certamente un punto fermo degli studi proustiani, da cui non si potrà prescindere, ma non si deve credere che la sua meticolosa catalogazione «scientifica» sia ardua o arida. Al contrario ci viene incontro un Proust inatteso forse, vivo e percorso da ombre, tic, nevrosi e curiosità che lo rendono ancor di più quel narratore labirintico, ultimo di una genia tutta francese che ama le delizie della scrittura infinita, come il suo amato Saint-Simon, da cui riverbera tutto il genio della lingua.

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