Con il solito anticipo rispetto a quanto previsto dalla legge, sabato scorso le doppiette italiane si sono rimesse in azione. Nella quasi totalità delle regioni, sin dalle prime luci dell’alba i suoni della natura sono stati bruscamente interrotti dal rumore delle fucilate e dal sibilo dei pallini. Nonostante la legge quadro del 1992 sulla tutela della fauna selvatica e sul prelievo venatorio indichi la terza domenica di settembre quale data di apertura generale della stagione venatoria, ogni anno le Regioni concedono un anticipo per alcune specie. Quella che dovrebbe essere un’eccezione in situazioni ambientali particolari è ormai diventata la normalità, un «regalo» ai cacciatori da parte degli amministratori regionali.

UNA PRASSI TALMENTE CONSOLIDATA che il parroco di Avaglio, in provincia di Pistoia, ha programmato in chiusura della messa di domenica 3 settembre una inedita «benedizione dei fucili» quale viatico per la stagione venatoria. Dopo un’estate caratterizzata da siccità, alte temperature e roghi, le Regioni avrebbero dovuto ritardare l’avvio della stagione venatoria e non certo anticiparla. La fauna, stremata da condizioni climatiche difficili non ha avuto neppure un giorno di tregua e gli animali scampati a caldo e incendi hanno dovuto affrontare da subito i cacciatori. Naturalmente i limitati controlli sul territorio rendono poi molto facile l’abbattimento anche di specie che non rientrano tra quelle per le quali viene consentita la preapertura.

DEL RESTO L’ANTICIPO DEL PERIODO di caccia, oltre che per quella cacciabile, rappresenta un grave problema anche per la fauna protetta, sia in termini di bracconaggio che di disturbo: nel mese di settembre, infatti, molte specie sono ancora in fase di nidificazione e i cieli sono attraversati da migliaia di falchi o cicogne, ma anche di piccoli uccelli come le rondini che si spostano in Africa per lo svernamento.

IL WWF ITALIA E ALTRE ASSOCIAZIONI ambientaliste hanno cercato di bloccare i provvedimenti regionali di preapertura grazie ad una rete di avvocati diffusi sul territorio, ma purtroppo si è riusciti a vincere davanti ai Tar solo in Campania e in Molise: due vittorie significative, ma in un quadro complessivamente desolante.

LA TORTORA SELVATICA È UNA DELLE SPECIE a cui in molte regioni si è potuto sparare sin dal 2 settembre, nonostante negli ultimi anni abbia subito un brusco declino, non solo per la distruzione degli habitat in cui nidifica, ma anche per la caccia, legale e illegale: questa specie è una delle più ambite dai cacciatori e durante la sua migrazione molti esemplari vengono abbattuti. La logica vorrebbe quindi che ne fosse vietata la caccia che, al contrario, viene addirittura anticipata per evitare che i cacciatori non riescano ad abbatterne un numero per loro soddisfacente, considerato che la specie inizia la migrazione verso l’Africa già dalla fine di agosto.

INSPIEGABILE IL COMPORTAMENTO del ministero dell’Ambiente che, con l’avallo delle Regioni, per evitare la sospensione della caccia alla tortora, ha adottato un Piano di Gestione che prevede la necessità di attuare una serie di misure di conservazione (ricostituzione di habitat favorevoli alla nidificazione, vigilanza e repressione delle illegalità), prima di consentire l’abbattimento secondo il principio del prelievo adattativo che comporta l’individuazione di un numero massimo di esemplari da abbattere e la sospensione degli abbattimenti non appena questo numero venga raggiunto. Nella realtà il Piano ha rappresentato solo lo strumento per aggirare un divieto e accontentare i cacciatori visto che in concreto nessuna delle azioni preventive previste è stata messa effettivamente in atto.

UNA POLITICA GESTIONALE PIÙ VOLTE segnalata alla Commissione europea dal WWF Italia e dalle altre associazioni tanto che in estate è stata avviata nei confronti dell’Italia una Procedura Pilot per una presunta infrazione che, in caso di condanna, comporterà una pesante sanzione per il nostro Paese: sanzione che pagheranno tutti gli italiani (e non i soli cacciatori e gli amministratori che hanno votato gli atti impugnati, come sarebbe più giusto).

LA VICINANZA AL MONDO VENATORIO ha comunque caratterizzato tutto il primo anno del governo Meloni, fin dal famoso emendamento «caccia selvaggia» nella Legge di bilancio 2023 finalizzato a consentire di sparare alla fauna tutto l’anno e in ogni luogo (compresi parchi naturali e aree urbane) attraverso un Piano straordinario contro il quale le associazioni ambientaliste hanno già annunciato ricorso. Poi, nonostante l’esplicita previsione normativa che ne detta i componenti, si è tentato di escludere il mondo ambientalista e quello scientifico dal Comitato Tecnico Faunistico Venatorio Nazionale attraverso un decreto del ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, già impugnato dalle associazioni ambientaliste. E ancora, per rispondere alle richieste delle lobby dei cacciatori e dei produttori d’armi, il governo ha emanato una circolare interpretativa in contrasto con il Regolamento europeo che vieta l’utilizzo delle munizioni in piombo nelle zone umide, incurante non solo dei rischi ambientali, ma anche di quelli sanitari derivanti dall’utilizzo di questo metallo.

NEL FRATTEMPO LA PROVINCIA AUTONOMA di Trento si è distinta, da un lato, per una serie di provvedimenti finalizzati a consentire l’uccisione di un gran numero di predatori, e dall’altro per una certa «imperizia» nel predisporre tali atti che sono stati costantemente bocciati dal giudice amministrativo, come – ultimo in ordine di tempo – quello che avrebbe consentito l’abbattimento di due lupi, bloccato, a seguito di un ricorso del WWF Italia e della LNDC, dal Consiglio di Stato con una decisione di grande rilevanza giuridica che richiama alla speciale protezione attribuita alla fauna selvatica dall’art. 9 della Costituzione.