Questo libro di racconti e brevi saggi – Animali che salvano l’anima. L’esperienza nel carcere di Gorgona, Carmignani editore – suggella un progetto di recupero umano e animale, uno scorcio di futuro possibile nato sull’isola-carcere di Gorgona, nell’arcipelago toscano. Là venivano allevati e macellati ogni anno centinaia di animali fra i quali vitelli, maiali, conigli, galline, pecore, cavalli, capre – ai quali è dedicato il disegno di copertina.

ORA IL LUOGO E LA SUA REALTA’ carceraria si sono trasformati: dal binomio «carcere più macello» a un laboratorio di difesa delle altre specie e di riscatto per gli umani. E’ il progetto portato avanti per due anni dall’associazione Lav, con la direzione del carcere: la chiusura definitiva del macello e la salvezza di quasi 600 animali, trasferiti sulla terraferma in rifugi o dati in adozione.

SI PUO’ PARLARE DI «MODELLO Gorgona, fondato sul rapporto umani-animali come mezzo di rieducazione e riabilitazione, non più basato sullo sfruttamento ma sulla cura e sul rispetto reciproci», spiega la Lav. Come è avvenuto? Giovanni de Peppo, ex garante delle persone private della libertà personale del comune di Livorno, scrive di «un esperimento straordinario che l’isola-carcere di Gorgona sta percorrendo da qualche anno. Tre i protagonisti: un direttore visionario, un veterinario che decise di ottemperare al giuramento di Ippocrate anche nei confronti dei suoi pazienti animali e soprattutto i detenuti, che pensarono di non poter esercitare violenza e prevaricazione neanche sugli animali».

DOPO UNA GRANDE mobilitazione, con raccolte di firme, conferenze, articoli, libri, mozioni parlamentari, ecco, scrive Silvia Buzzelli docente di diritto-penitenziario, «la svolta di Gorgona, la chiusura cioè di un’istituzione totale estrema (un macello) nella quale lavoravano i detenuti. (…) La necessità di assicurare una vita responsabile ed esente dal crimine mal si concilia con i lavori cruenti del mattatoio, e con la partecipazione alla catena di smontaggio degli esseri». Una svolta da difendere e monitorare.

IL DIRETTORE DEL CARCERE Mazzerbo conclude la sua presentazione con parole impegnative auspicando che Gorgona «sia sempre di più l’isola dei diritti». E l’empatia verso gli animali prende forma tra le righe dei vividi racconti elaborati dai detenuti, grazie a un laboratorio di scrittura. Ecco il pappagallo Ciccio che, nel carcere di Volterra, «sapeva ormai parlare in molte lingue in quanto noi eravamo provenienti da tanti paesi. Parlava e cantava sempre, rallegrando le lunghe giornate». E il piccolo passero in difficoltà, appena nato, adottato da un altro detenuto in un soggiorno carcerario precedente a Gorgona: «Era capace di seguire i gesti della mia mano e si spostava quasi seguendomi, come se volesse imparare a vivere grazie alla mia mano. A quel tempo ero in una cella del carcere di Fossombrone e accadde che un detenuto mio amico mi portò quell’uccellino in difficoltà, sapendo che io avrei trovato il modo per aiutarlo. Lo avevo chiamato Mia – era una femmina – e quando le facevo vedere il mio dito e la chiamavo ci saltellava sopra. Quell’abilità era nata dalla mia determinazione a insegnare a Mia che se saliva sul mio dito avrebbe poi avuto del cibo. Era uno scambio di favori che ci facevamo, con il mio desiderio di accudirla e il suo desiderio di ricevere del cibo da me».

ARTHUR, UN ALTRO detenuto-scrittore, alla domanda «Che animale vorresti essere» risponde che non vorrebbe essere un’aquila perché «caccia animaletti che non fanno male a nessuno»; idem per lo squalo o il leone. Dunque… «scelgo la formica, perché tra di loro sono unite, capaci di proteggersi e cosa più importante puliscono il proprio ambiente dal marcio, dagli invasori, dalla sporcizia».

E POI IL RACCONTO DI un detenuto indiano: un toro portato in uno dei cinquemila ricoveri per bovini dove alla fine domò la sua rabbia per un’offesa ricevuta. E tartarughe, falchetti, il cavallo Diego. E Andrea che scrive della sua «voglia di essere un albatros, nomade, solitario e avventuriero come me».