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Gli angeli della memoria e i fantasmi dei Pink Floyd

Gli angeli della memoria e i fantasmi dei Pink FloydRoger Waters

Roger Waters Henry Shindler e Emidio Giovannozzi risolvono il mistero e trovano il luogo dove morì il padre del musicista inglese

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 12 novembre 2013
Mario Di VitoSAN BENEDETTO DEL TRONTO

Eric Fletcher Waters è un nome sul quinto pannello del memoriale eretto a Cassino per commemorare i caduti inglesi nella Seconda Guerra Mondiale. La storia del rock deve molto a quest’uomo, il fantasma che si cela dietro alcune delle canzoni più famose scritte e cantate da Roger Waters con i Pink Floyd: dalla seminale Free Four all’intero disco The Final Cut, passando per il capolavoro accantonato ai tempi di The Wall (si poteva ascoltare solo all’inizio del film) e poi riesumato negli anni successivi (nel 2004 nella riedizione di The Final Cut) e adesso caposaldo di ogni concerto, il lamento eroico When the Tigers Broke Free.
Roger Waters ha passato una vita a farsi domande su suo padre: sottotenente nella Compagnia C dell’Ottavo Battaglione dei fucilieri di Sua Maestà. Obiettore di coscienza in gioventù, poi simpatizzante del partito comunista britannico, infine fervente antifascista, per questo divenuto soldato e morto in guerra a trentuno anni. Un mese fa Roger Waters c’è pure andato, a Cassino, per rendere onore a suo padre e tutti gli altri soldati inglesi morti in battaglia. Avvolto in un cappotto blu ha suonato per loro con tromba le note che si dedicano ai combattenti.

Ad accoglierlo c’erano decine di fan. Lui ha sorriso, ha alzato le braccia al cielo per salutarli tutti. In un italiano sdrucciolo ha anche ringraziato commosso per l’affetto ricevuto. E alla fine ha detto: «Il mio viaggio finisce qui». Il nome del padre è stato scritto insieme a quello di tutti gli altri caduti in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. La memoria è salva ma la grande domanda restava senza risposta: «Dove ti hanno cancellato?». Sbagliava, Waters. Per la fine del viaggio mancava ancora una tappa, la più importante.
A risolvere il mistero ci hanno pensato due personaggi che sembrano la versione riveduta e corretta degli evangelisti di Fred Vargas: Henry Shindler, veterano inglese di 93 anni che vive a San Benedetto del Tronto, ed Emidio «Mimì» Giovannozzi, editore indipendente ascolano nato quarantasei anni fa, quando i Pink Floyd davano alle stampe The Piper at the Gates of Dawn. «Un giorno di metà ottobre mi ha chiamato Henry – racconta Giovannozzi – e mi ha detto: «Tu che conosci la musica moderna, c’è questo cantante dei Pink Floyd…».

Ci sono rimasto secco». Shindler, nella vita, si occupa di ritrovare le storie dei caduti della guerra mondiale in Italia. Un lavoro tutto archivio e carte geografiche, documenti e giornali di settant’anni fa. Dalla sua casa che si affaccia sul mare di Porto d’Ascoli riceve richieste da tutto il mondo: eredi, ex combattenti, uomini e donne che vogliono scavare nel fondo del «grande rimosso» di ogni conflitto: la vita di chi sul campo di battaglia ci è andato a morire per la libertà altrui. Un giorno, a questo angelo della memoria, è arrivata da New York una telefonata di Roger Waters, che gli chiedeva di ritrovare suo padre, le sue ultime ore passate a sparare ai tedeschi invasori.

«La sua storia mi ha molto toccato – dice Henry Shindler con il suo italiano dall’inflessione assolutamente british, per nulla influenzata da mezzo secolo vissuto nelle «Marche sporche», dove l’accento pesante, di solito, non fa sconti a nessuno –, ho ritrovato il «war diary» della battaglia di Anzio nell’archivio nazionale dei Royal Fusiliers a Londra. Confrontando questo con le mappe, alla fine, ho trovato il punto in cui è morto il sottotenente Eric Fletcher Waters».
All’inizio, il veterano e l’editore avevano in mano solo delle coordinate: 800 – 300. «Ma quando le mettevamo in un Gps non corrispondevano a nulla – spiega Giovannozzi –, poi abbiamo scoperto che si trattava di un codice militare». Il soldato Waters è morto nella mattinata del 18 febbraio 1944 sulle sponde di un torrente nelle campagne vicino ad Aprilia, travolto dai panzer tedeschi. Combatteva in una buca nel fango, a due passi dalla linea di fuoco del nemico. «Quando l’ho detto a Roger – chiude il racconto Shindler – lui si è commosso. Qualche giorno fa mi ha mandato una lettera».

Una poesia, in realtà. Dentro tutto l’incanto e tutto l’amore di un figlio che si ricongiunge con il padre dopo decenni di ricerche, dentro e fuori se stesso. E una promessa: «Ci vediamo a febbraio». Il 18, per la precisione, quando Roger Waters sbarcherà in Italia per partecipare alla commemorazione della battaglia di Anzio. Ma adesso non è più «the dead man’s son». Non è più «il figlio dell’uomo morto».

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