Gli alberi antico-romani, con anima
E’ sotto il segno di un’ideale relazione di prossimità tra mondo umano e universo vegetale sviluppata lungo un asse di continuità che con evidenza emergono i tratti salienti e l’eco pervasiva degli usi culturali che gli antichi hanno fatto dell’albero nei loro racconti, miti, riflessioni, metafore, forme lessicali.
E che in prospettiva etnobotanica Mario Lentano indaga nel suo «Vissero i boschi un dì». La vita culturale degli alberi nella Roma antica, per il tramite di una gran varietà di pratiche discorsive, funzioni narrative, inneschi simbolici, forme lessicali, specialmente nelle fonti letterarie, nella storiografia, nella trattatistica (Carocci, pp. 257, € 24,00).
Una possibile antropologia dell’albero per il mondo romano si vien così profilando, a partire da alcune sue affordances, volta a volta caratteristiche biologiche e ragioni empiriche, suggestioni onomastiche o valenze simboliche, specialmente efficaci nei processi di significazione.
Se la durata secolare del ciclo vitale dell’albero, il suo proiettarsi a coprire d’ombra quel che lo circonda, si prestano a rendere con immediatezza il progredire di successi di una città o di un impero, i modi della sua crescita, il suo articolarsi per diramazioni risuonano tanto nel dispiegarsi delle generazioni di un gruppo familiare, quanto come modello analogico inteso a figurare il progressivo determinarsi delle membra del bambino nel grembo materno.
Così, a partire da analogie funzionali o morfologiche, assonanze, usi linguistici (predicati come «vivere», «essere in salute», «invecchiare» attribuiti agli alberi) e le frequenti metafore vegetali nel campo della parentela, si riverberano nel nutrito lessico condiviso tra mondo umano e mondo vegetale.
A evidenziare la continuità tra questi due universi, oltre alle figurazioni del mito che, sotto il segno della metamorfosi, leggono pioppi, cipressi, lauri derivare da esseri umani, specialmente donne, il filone dei racconti sugli alberi antropogonici e che nutrono l’umanità primitiva riconduce invece l’origine dei primi esseri umani a querce, frassini, ontani, allori, progenitori vegetali che li avrebbero generati dal loro tronco, trasmettendo come in eredità una serie di tratti caratteristici.
Numerose risultano le piante coinvolte nella sfera del sacro, in un rapporto di triangolazione come elementi dell’identità distribuita degli Dei.
Mentre alcuni alberi sono chiamati ad amplificare o presagire la vicenda di loro illustri corrispettivi umani: doppi vegetali implicati in un fitto rimpallo di simboli e metafore.
Così, ripercorrendo ruoli e funzioni assolte dagli alberi nel pensare il mondo dei romani, s’impone nel dibattito filosofico e scientifico il tema dello statuto da riconoscere ai vegetali, fino a parlare anche per le piante di un’anima, come modulo iniziale di un processo per aggiunzioni progressive, comune a tutte le manifestazioni del vivente.
Dunque, uomini e vegetali sono mondi separati non tanto da una differenza ontologica, quanto da passaggi tra confini porosi. Tra elementi comuni che si caratterizzano per correlazioni biunivoche.
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