Gli «Abi-tanti» di San Salvario, eterni migranti
Sulle ali dell'arte Partiti 17 anni fa dal quartiere multietnico torinese per far «volare» i bambini oltre le differenze, i piccoli «umanoidi» in legno di scarto hanno invaso il mondo con un lento e inesorabile processo migratorio. Ovunque arrivano si moltiplicano e si confondono con la nuova realtà. Ovviamente sono tanti, sono troppi, sono sempre di più, non è possibile accoglierli tutti, non si riesce a fermare il loro peregrinare, non sono registrati in nessuna anagrafe
Sulle ali dell'arte Partiti 17 anni fa dal quartiere multietnico torinese per far «volare» i bambini oltre le differenze, i piccoli «umanoidi» in legno di scarto hanno invaso il mondo con un lento e inesorabile processo migratorio. Ovunque arrivano si moltiplicano e si confondono con la nuova realtà. Ovviamente sono tanti, sono troppi, sono sempre di più, non è possibile accoglierli tutti, non si riesce a fermare il loro peregrinare, non sono registrati in nessuna anagrafe
San Salvario, Torino, 1996. Prima della movida, delle feste, degli atelier, dei plotoni di giovani che lo hanno invaso negli anni della gentrification a tappe forzate: un luogo simbolo dell’Italia sgomenta di fronte a una migrazione tanto improvvisa quanto dirompente.
Un posto dove non andare di notte perché ti rapinano, e non andare di giorno perché ti rapinano con più fretta. Eppure, il quartiere, a tratti lugubre e sporco, vecchio e cadente, dai migranti è sempre stato attraversato. Erompevano come un torrente dalla adiacente stazione ferroviaria di Porta Nuova: dapprima i provinciali poco avvezzi al dialetto torinese, «forestieri» attratti dalla prima fabbrica della Fiat. Malvisti dai torinesi. Poi la rivoltosa turba dal sud con «la valigia di cartone», attratta dal Lingotto e da Mirafiori. Malvisti dai forestieri. Poi tutto il mondo, risucchiato dal mito dell’Italia ricca a prescindere, anche se le parole dell’avvocato Agnelli del 1994 avevano già posto il cartello fine sulla continua espansione economica, e demografica, della città: «La festa, è finita». Malvisti da torinesi, forestieri e meridionali.
NON SI SA QUALE SIA il primo passo della lunga marcia compiuta dal quartiere. Probabilmente è stato determinante anche quanto accaduto nella scuola Municipale dell’infanzia Bay di via Principe Tommaso, un blocco di cemento squadrato estraneo al contesto architettonico della zona. Nel 1996 le educatrici si trovarono sulla prima linea del fenomeno migratorio policromatico, in una scuola dove il 70% dei bambini giungeva da ogni angolo del globo terracqueo. A partire da una necessità individuata dalle educatrici della scuola, si avviò un dialogo con il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli, con Anna Pironti e Paola Zanini. Una realtà, quella del Museo, appena dodicenne, ancora percepita anch’essa come aliena dalla città, sia perché esterna alle mura torinesi, sia perché, insomma, quelle «cose» artistiche esposte erano percepite come strane. Così, i due «strani» si incontrano sul Tappeto Volante e a partire da una metafora condivisa nel «tessere l’oggetto» si creano le basi per costruire una nuova dimensione educativa in grado di dare la capacità ai bambini di «volare» oltre le differenze, sulle ali dell’arte.
IL PROGETTO Tappeto Volante da allora, e ancora oggi, ha invaso dapprima le scuole e poi il quartiere, entrando fisicamente nella vita dei suoi abitanti, portando colore e riflessione dove c’erano ombre e paure, creando occasioni d’incontro e di scambio grazie ai linguaggi polifonici dell’arte. Nel 2000, quattro anni dopo i primi passi, sul Tappeto atterrano gli Abi-tanti, la moltitudine migrante, da un’idea di Manuela Corvino allora studentessa dell’Accademia delle belle Arti di Torino nell’ambito del Progetto BIG Social Game.
Piccoli oggetti in forma di umanoidi alti un paio di spanne, assomigliano a robot fatti con materiale di scarto. Una base comune in legno di recupero, simile al nostro Dna, configura i corpi ottenuti da quadrelle e cubotti e pochi altri elementi, che diventano teste, occhi, gambe ecc. Sono inizialmente cento, vengono messi in un angolo della scuola, dove iniziano a «riprodursi».
BAMBINI, ADULTI, maestre ed educatrici ne creano in successione, così gli Abi-tanti, come una turba che deve trovare spazio vitale, escono dalle aule della scuola ed entrano nelle vie del quartiere. San Salvario sta attraversando una trasformazione-riqualificazione epocale, uno sventramento sociale che trova un nuovo equilibrio. La gentrification dal volto feroce qui non è mai arrivata.
A PARTIRE DA QUESTO quartiere, dalla città di Torino e oltre, gli Abi-tanti diventano i protagonisti di un grande progetto e iniziano un lento e inesorabile processo migratorio: in ogni luogo che raggiungono si moltiplicano, divenendo dapprima centinaia, poi migliaia e infine decine di migliaia.
A partire dai luoghi dove nascono entrano tutti a far parte della moltitudine (sempre) migrante, cercano spazio e si confondono con il nuovo mondo che li accoglie, trasformando nel tempo dell’azione contesti e paesaggi.
Un cammino che dura ininterrottamente da diciassette anni, che ha invaso il mondo intero. Alcuni raggiungono il Louvre di Parigi, e godono del benessere francese. Altri approdano in luoghi duri, al civico 913 sulla Prenestina, periferia est di Roma. Qui c’è Il Maam, il Museo dell’Altro e dell’Altrove e Metropoliz: un edificio occupato dove vivono persone in carne e ossa e dove hanno trovato casa anche alcuni migranti robotici di legno, gli Abi-tanti. In quel contesto diventano testimonial dei diritti inalienabili di bambini e bambine, i quali a Metropoliz, nelle tante complessità del quotidiano, reclamano il diritto ad esistere in quanto cittadini.
«GLI ABI-TANTI, come oggetti filosofici, costruiti con una base ecologica e quindi etica, nella loro estrema essenzialità sono presenze silenziose e dispositivi capaci di intercettare lo sguardo altrui e attivare il pensiero di chi li guarda, anche in relazione ai grandi problemi dell’umanità nella società contemporanea» (Anna Pironti, curatrice del progetto).
Gli Abi-tanti, ovviamente sono tanti, sono troppi, sono sempre di più, non è possibile accoglierli tutti, non si riesce a fermare il loro peregrinare. Di loro, delle loro vite migranti si conosce poco perché non sono registrati in nessuna anagrafe, nascono nomadi e apolidi, non abitano case, arrivano da luoghi lontani e misteriosi, in silenzio invadono pacificamente, preferibilmente, gli spazi aperti, senza però disdegnare i luoghi chiusi.
ALCUNI NE HANNO QUALCUNO in casa, i più sono in attesa di nascere: giacciono stipati dentro un laboratorio del Castello di Rivoli, in attesa delle mani di bimbi che gli daranno il soffio di vita assemblandoli. Gli Abi-tanti sono molti perché realizzati dalle persone che adottano il progetto, utile a configurare una moltitudine composita di esseri apparentati per famiglie contraddistinte, come ovvio, dal colore della loro pelle fatta di carta colorata, ritagli di giornali, plastiche policromatiche. Sono organizzati per gruppi, per famiglie contraddistinte dal diverso aspetto esteriore.
La famiglia nata a Sanremo in occasione del Giro d’Italia, ad esempio, è tutta rosa.
PROSSIMA TAPPA, MELBOURNE. Il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli è stato invitato, unico rappresentante museale italiano, a partecipare come partner all’Arts Learning Festival che si svolgerà nella metropoli australiana nel prossimo maggio. L’invito nasce da un viaggio compiuto in Europa da parte di Michelle Green e Anne Smith delle Independent Schools Victoria, che hanno incluso il progetto Abi-tanti, la moltitudine migrante nella ricerca svolta con Project zero per la Harvard Graduate school of Education, di cui è Senior Director il docente Howard Gardner, teorico delle intelligenze multiple.
Anche per gli Abi-tanti i rapporti con le frontiere non mancano e la divisione classista incombe sugli umanoidi robotici quanto sugli esseri umani in carne ed ossa.
STORIA ESEMPLARE: se sei un Abi-tante finito, bello, perfetto, colorato, gradevole, l’Australia ti offre il suo caloroso «welcome!». Se sei Abi-tante massa, pezzo ancora informe, legno grezzo da assemblare e colorare ci sono dei problemi per entrare. Normative interne, questione d’igiene, dicono.
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