Sulla riforma della giustizia l’intervento del presidente della Repubblica non poteva essere più tempestivo. Pronunciate domenica ricordando Falcone e Borsellino, le parole di Sergio Mattarella sulla necessità di «affrontare sollecitamente e in maniera incisiva i progetti di riforma» introducono una fase decisiva del confronto nella maggioranza sul tema. Tutt’altro che semplice, visto che sul nuovo processo penale le posizioni in campo restano distanti, mentre gli interventi sul Consiglio superiore della magistratura sono ancora in via di elaborazione da parte della commissione ministeriale. La ministra della giustizia ha trovato il modo di far sapere ieri che, naturalmente, da parte sua c’è «piena condivisione» del monito dal capo dello stato. Perché anche lei è convinta che sia necessario «andare avanti in modo incisivo». Lo sprone di Sergio Mattarella a questo punto può essere di aiuto a Marta Cartabia che nei prossimi giorni dovrà superare il primo ostacolo: ancora quello della prescrizione.

Non a caso è l’unico tema sul quale il tavolo dei saggi insediato dalla ministra non ha proposto una sola soluzione, ma due. La più avanzata, preferita da quasi tutti i partiti di maggioranza, prevede di affiancare alla prescrizione sostanziale quella processuale: sarebbe dichiarato estinto un processo che duri molto oltre i limiti massimi già previsti dalla legge Pinto. La soluzione più prudente è invece, in buona sostanza, un ritorno alla riforma Orlando del 2017. Sembrerebbe la via d’uscita, ma anche questa è indigesta ai 5 Stelle che con Bonafede hanno esordito in materia proprio cancellando il lavoro del precedente ministro Pd. Per i grillini lo status quo – che è quello del “lodo Conte bis” così com’è formalizzato oggi nel testo di riforma del processo penale all’esame della camera – non andrebbe toccato. Per questo Cartabia ha riservato loro un trattamento speciale, non previsto per gli altri gruppi, e li riceverà a brevissimo per cercare di ottenerne la non belligeranza sugli emendamenti del governo. Che dunque vedranno la luce solo successivamente. E spazzeranno via molti degli emendamenti già presentati dai partiti della ampia maggioranza (anche se non tutti, sono oltre seicento) e nelle speranze del governo dovranno essere approvati in tempi assai rapidi, visto che il calendario presentato in Europa con il Pnrr prevede il via libera definitivo alla riforma del processo penale – che è una legge delega – entro la fine di quest’anno. Il che significa che il voto finale della camera dovrà arrivare entro l’estate.

Più attardata è la riforma che sembrerebbe invece più urgente, visto che il caso Amara-loggia Ungheria e le diverse indagini in corso sul comportamento del pm milanese Storari e la fuga di notizie vengono generalmente considerate un’altra tegole sul Consiglio superiore già azzoppato dallo scandalo Palamara. La commissione ministeriale che è al lavoro sulla riforma del Csm ha bisogno di altro tempo e in questo caso il problema numero uno è considerato il nuovo sistema elettorale della componente togata. Cartabia ha fatto capire di voler recuperare una proposta studiata nel 1996 che introduce il voto di medio termine per il Consiglio. Ma non sono poche, nel centrodestra come nella magistratura associata, le forze che spingono per arrivare al sorteggio, malgrado la palese incostituzionalità. A complicare il quadro stanno per arrivare i referendum abrogativi dei radicali sostenuti dalla Lega, e forse anche a questo ulteriore ostacolo faceva riferimento il presidente della Repubblica quando ha detto che le riforme della giustizia vanno fatte «nelle sedi cui questo compito è affidato dalla Costituzione». Evidentemente il parlamento.