Giuseppe Pucci, il fine narratore del «classico»
Archeologia La scomparsa dello studioso del mondo antico che fondò la rivista «Opus». Un intellettuale dai vasti interessi che guardava con curiosità anche ai peplum
Archeologia La scomparsa dello studioso del mondo antico che fondò la rivista «Opus». Un intellettuale dai vasti interessi che guardava con curiosità anche ai peplum
Il 16 febbraio è scomparso improvvisamente lo studioso Giuseppe Pucci, per tutti «Pino». Nato a Marsala nel 1948, era arrivato a Siena nel 1972 nella «giovane» Facoltà di Lettere. Assistente presso la cattedra di Archeologia di Andrea Carandini fino al 1982, in quello stesso anno (e fino al 1993) era succeduto a Filippo Coarelli nell’insegnamento di Antichità greche e romane per poi divenire, nel 1994, titolare della cattedra di Archeologia e storia dell’arte greca e romana, incarico che ha lasciato nel 2011.
AL DI LÀ DEI SUOI CORSI universitari, le cose che influenzarono profondamente la formazione degli studenti dell’Università di Siena furono la sua grande curiosità intellettuale e la varietà dei suoi interessi, che spaziavano dall’amore per le opere liriche alla passione per i film peplum e la narrativa sword and sandal. Senza dimenticare il culto per le pipe e la feconda creazione di gustosissimi e coltissimi giochi di parola e calembour.
Siciliano trapiantato a Roma, Pucci appariva spesso riservato e persino un po’ accigliato ma, appena se ne dava l’occasione, era un elegantissimo oratore in pubblico e un brillante e affettuoso conversatore nel privato. Nell’orazione pro Archia, Cicerone sintetizza lo svago intellettuale e la diligente applicazione con la formula: otium ac studium. In queste due parole, lontane e vicinissime, si condensa molto del senso di Pino Pucci per la vita. Non è casuale, infatti, che l’otium – piacere di leggere, di scrivere, di espandere interessi e curiosità intellettuali – sia preposto al bonario invito ad approfondire, sviscerare, entrare nell’anima delle cose e delle idee.
Opus è il nome della rivista fondata nel 1982 da Pucci con Carmine Ampolo, focalizzata sui temi del lavoro nel mondo antico, uscita per poche ma «storiche» annate: un’impresa intellettuale che andrebbe oggi rivitalizzata nel suo ricordo. Studioso appassionato, tra gli anni settanta e ottanta fu tra i protagonisti del rinnovamento archeologico italiano, con i suoi studi sulle ceramiche da mensa e sulle fornaci nel mondo romano, per i quali approntò strumenti di classificazione dei reperti destinati a durare.
FU POI ATTRATTO irresistibilmente dai temi connessi all’estetica e al significato delle immagini. Pucci fu, a Siena, il vero ponte tra la scuola archeologica e l’innovativo gruppo di antropologi del mondo antico che si raccoglieva attorno a Maurizio Bettini. Nel tempo, quella divenne la dimensione a lui più familiare dal punto di vista della ricerca e del soddisfacimento dei suoi variegati interessi intellettuali. Arrivarono memorabili riflessioni sulla visione del «classico» nel nostro tempo, con particolare riferimento al cinema in generale e, più particolarmente, al peplum: «si può dire che la falsa Roma ricreata dal cinema è stata ed è per l’immaginario collettivo l’unica Roma…».
La parola che meglio descrive il sentimento dei suoi allievi è gratitudine. Per la ricchezza degli indimenticabili corsi sull’arte augustea o sulle arti del fuoco ma soprattutto per l’umanità nel costruire cultura dosando leggerezza e profondità (otium ac studium, appunto).
Old teachers never die, they just lose their class. Questa scritta, applicata all’esterno di un mug per il thè che Pucci usava come portapenne, è rimasta negli occhi di generazioni di studenti mentre sostenevano l’esame con lui. Ma, se le classi sono passate, la sua classe di studioso e di intellettuale è rimasta intatta fino in fondo.
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