Giuseppe Alberganti, vita di un comunista del ’900
Scaffale Una nuova edizione per Biblion della sua «Autobiografia di un sovversivo 1898-1923», a cura di Massimo Bianchi
Scaffale Una nuova edizione per Biblion della sua «Autobiografia di un sovversivo 1898-1923», a cura di Massimo Bianchi
Giuseppe Alberganti nacque a Stradella, in una famiglia di solide tradizioni socialiste che appartiene a quelle «generazioni che hanno lottato molto e mangiato poco». Questo è il potente incipit del testo autobiografico in 68 fogli scritti a mano, frutto della sua riflessione negli ultimi anni di vita. Una pennellata espressionista che ci restituisce il quadro sociale e culturale delle condizioni di vita delle classi subalterne a cavallo fra il XIX e il XX secolo.
QUELLE PAGINE ricompaiono oggi in una nuova edizione (Giuseppe Alberganti, Autobiografia di un sovversivo. 1898-1923, Biblion edizioni, pp. 118, euro 12) curata da Massimo Bianchi che avrebbe dovuto al tempo condurre su quella traccia un’articolata intervista che non ebbe luogo per l’improvvisa scomparsa di Cristallo (il nome di battaglia di Alberganti nella Resistenza) il 2 novembre 1980, al rientro da Riccione ove si era tenuto un seminario congiunto fra PdUP e Movimento lavoratori per il Socialismo, del quale fu presidente fin dalla fondazione nel 1976.
Diversamente dalla biografia, l’autobiografia è un «genere democratico», osserva Debora Migliucci, direttrice dell’Archivio del lavoro della Cgil di Milano, perché «non necessita che il soggetto sia celebre o importante».
ALBERGANTI NON ERA certo una figura di passaggio, ma queste parole gli sarebbero piaciute perché corrispondevano alla sua volontà di fare emergere una storia collettiva attraverso il suo vissuto. Non è del tutto vero che la storia la fanno i vincitori. Alberganti, prima della vittoria sul nazifascismo, cui contribuì da dirigente della Resistenza a Bologna e poi a Milano, di sconfitte ne aveva subite, ben sapendo che le uniche battaglie veramente perse sono quelle non combattute. Questa convinzione lo spinse a scontrarsi contro i Turati ai tempi dell’ingresso nella Prima guerra mondiale; i Bordiga sostenendo le tesi di Gramsci, il più citato in questa sua autobiografia, per evitare ogni chiusura settaria del giovane Partito comunista; i dirigenti sindacali come D’Aragona per il loro moderatismo suicida. Nelle ultime pagine si chiede con angoscia: «perché il grande movimento dell’occupazione delle fabbriche del settembre del 1920 fu fatto fallire in quel modo?».
LA DOMANDA RIMANE come sospesa e certamente non può ricevere risposte semplificate. Ma emerge in Alberganti il senso vivo del tempo: una parola d’ordine è giusta solo se è lanciata al momento opportuno, perduto il quale massimalismo e riformismo si confondono tra loro nella inevitabile sconfitta. Questa è la lezione che trae dal leninismo. Per Alberganti la lotta è un atto molto concreto, purché illuminata da un pensiero politico. Così è per la trasformazione di uno sciopero in una lotta politica internazionalista, come avvenne anche con il boicottaggio dei treni per evitare che potessero giungere armi ai polacchi invasori della Russia sovietica nel 1920. Così, qui in polemica con i vertici del Pcd’I, mettendosi alla testa degli Arditi del Popolo in quel di Arona, dove il suo lavoro di ferroviere lo aveva portato. Dopo la liberazione Alberganti divenne segretario della Camera del lavoro di Milano, deputato all’Assemblea Costituente, poi senatore per due legislature e deputato per una, mentre dall’estate del 1947 è segretario della Federazione milanese del Pci fino al 1958. Un decennio di duri scontri politici dentro e fuori il partito. Sarà accusato di operaismo e di non avere compreso i cambiamenti in atto nella società milanese e nel mondo del lavoro.
EPPURE, già nel secondo congresso della CdL di Milano nel marzo del ’47, nel sostenere il contratto unico operai impiegati, affermava che «il problema del livellamento era utopistico». La sua sostituzione a segretario della Federazione con Armando Cossutta costò un duro scontro, nel quale si impegnarono direttamente sia Togliatti che Longo e un congresso in più, quello del 1954. Sembra paradossale, ma poi fu proprio Alberganti a comprendere la portata innovativa del movimento studentesco del ‘68, mentre il gruppo dirigente del Pci perse questa storica occasione. Intuiva che dall’incontro dell’operaio di serie con lo studente di massa, sarebbe potuto nascere un allargamento del conflitto sociale e un profondo cambiamento nel paese.
Nel novembre del 1978 una delegazione del Mls venne invitata in Cina. Furono giornate di intensi colloqui con dirigenti del Pcc. In una pausa, Alberganti si assentò, creando preoccupazioni nei nostri ospiti. Era andato a fare due passi per Pechino e si era fermato a guardare il lavoro di un artigiano. Ma come vi siete parlati, domandammo. Non ce ne era bisogno, rispose, io capivo il suo lavoro e lui vedeva che lo apprezzavo. Il lavoro come linguaggio universale. In fondo, venne assunto nelle Ferrovie nel 1916 non grazie a modesti titoli di studio che non aveva, ma al suo «capolavoro» (la prova pratica) che piacque agli esaminatori.
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