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«Giurato numero 2», Clint Eastwood tra giustizia e verità

«Giurato numero 2», Clint Eastwood tra giustizia e verità

Cinema L’assassino è dove non lo si cerca: il nuovo film del regista statunitense con Nicholas Hoult, da giovedì nelle sale italiane. L’America di oggi nelle «piccole storie», due versioni a confronto

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 10 novembre 2024
Nicholas Hoult e Clint Eastwood sul set

C’è una malinconica giustezza poetica nel fatto che il nuovo film diretto da Clint Eastwood, Giurato numero 2, sia uscito in sordina, solo in una piccola manciata di sale americane, alla vigilia delle elezioni. Come la lettera post-elettorale di Bernie Sanders, e come spesso avviene in una filmografia di 42 regie (nel maggio 2025, sarà il novantacinquesimo compleanno), il semplice, stringato racconto eastwoodiano illumina dei segreti alla luce del sole, per chi vuole guardarli. Le pieghe dentro alla vita di tutti i giorni in cui si annidano quelle complessità morali, etiche, istituzionali e interpersonali che sono l’America di oggi.

Da sempre nemico delle «grandi narrative», Clint spiega il paese, «la giustizia» e gli uomini come pochi altri autori sanno fare. «Bravo Clint!» e un applauso caloroso hanno accolto la fine del film nella sala newyorkese di media grandezza in cui l’ho visto. Non perché Giurato numero 2 abbia un happy ending, anzi. Ma perché l’identificazione con lo sguardo eastwoodiano, quella sua capacità di essere «on the ground», e dentro i personaggi, è immediata, viscerale. Come ritrovare un amico fidato che ti ricorda il difficile balletto tra circostanze, valori, istituzioni e scelte personali con cui tutti dobbiamo fare i conti – e quanto i vicini di casa che magari non conosci siano più simili a te di quanto pensi.

LA TIPICA spietatezza dell’occhio che si è addolcita con gli anni, oggi Clint non dipinge più intere cittadine di rosso sangue, ma non per quello la sua visione è meno inflessibile e le sue conclusioni sono meno cupe. «Questo è un film su delle persone», Eastwood avrebbe detto all’esordiente sceneggiatore Jonathan A. Abrams al loro primo incontro, quando ha accettato di dirigere il film sul cui copione hanno poi ancora lavorato insieme.

Lo schema è quello del dramma processuale, simile in particolare a La parola ai giurati (il teleplay di Reginald Rose portato al cinema nel 1957 da Sidney Lumet e, nel 1997, ripreso di nuovo per la Tv da William Friedkin, che non a caso è tornato al court room drama per il suo ultimo film, L’ammutinamento del Caine – Corte marziale).

Solo che, in questo processo per l’omicidio di una ragazza (Francesca Eastwood), trovata morta in una scarpata scoscesa durante una notte di fitta pioggia, il giurato «dissidente» (Nicholas Hoult, bravissimo, quasi sempre in primo piano) è anche il colpevole del crimine.
Quando è chiamato per il «jury duty», Justin (Hoult), un giovane ex alcolizzato che sta per avere un figlio con sua moglie Allison (Zooey Deutch), cerca di trovare una scusa per evitare il processo. «Mia moglie non è riuscita a portare a termine la sua prima gravidanza. Sta per partorire e ha bisogno di me», spiega al giudice, che però non ne vuole sapere.

E MENTRE il pubblico ministero (Toni Colette, nei panni di una giurista ambiziosa, in corsa elettorale) e l’avvocato d’ufficio (Chris Messina) iniziano a descrivere il caso, Justin comincia a sospettare di avere avuto un ruolo nella morte della ragazza, di cui è accusato il boyfriend, manesco e con una storia di gang. Con un montaggio alternato tra le argomentazioni dell’accusa e quelle della difesa Eastwood stabilisce subito un parallelo tra le due versioni della storia, intersecandole ai flash back di Justin che si ritrova, poco a poco, in quella stessa notte di pioggia. Così quando la giuria si riunisce e sembra che tutto si possa risolvere nel giro di pochi minuti con un verdetto di colpevolezza, lui insinua il dubbio. La giustizia nei film di Eastwood è sempre fragilissima, spesso «ingiusta» (e in questo torna spesso sull’immagine di una statua bendata che regge una bilancia il cui equilibrio sembra poter cambiare al minimo colpo di vento). Giurato numero 2 non fa eccezioni: nel pool dei giurati non ci sono eroi – una signora vuole andare a casa perché i figli sono da soli ed è preoccupata; un signore ha famigliari vittime della gang di cui fa parte l’imputato e pensa che vada punito comunque; un ex poliziotto inizia a indagare di suo facendo quasi saltare il tutto. E Justin non è certo Henry Fonda. Due ore che scorrono velocissime e tese, Giurato numero 2 arriva – con un knock knock alla porta – all’unica fine possibile per un film di Clint Eastwood. Verità e giustizia non sono la stessa cosa. Infatti, non sempre vanno d’accordo, anzi. Ma, alla fine della lotta tra le loro contraddizioni c’è sempre una scelta. Quella che spetta a ognuno di noi.

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