Visioni

Giuni Russo, l’incantesimo di un’aliena

Giuni Russo, l’incantesimo di un’alienaGiuni Russo

Note sparse Album di inediti e riletture, con arrangiamenti ex novo, per la cantante siciliana scomparsa nel 2004

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 gennaio 2021

Giuni Russo torna a parlarci e farsi sentire, a quasi 17 anni dalla morte, sfidando il tempo e le convenzioni, per trasmettere attraverso le sue canzoni, e la voce sua magica, gioia e turbamento, un piacere di origine estetica che, come è sempre avvenuto con le sue composizioni, parla subito al cuore e alla mente di chi ascolta. Lei se n’è andata nel 2004, poco più che cinquantenne, ma ha lasciato un’impronta molto forte ed espressiva in chi l’ha ascoltata, allora come oggi. Una impronta di affetti incrollabili e di lucidissima coscienza, di invenzione poetica e di potente sapienza musicale, voce fortissima che pugnala al cuore ogni innamoramento, pretesa, illusione dei quotidiani sentimenti.

È STATA INSOMMA un caso raro nel nostro panorama musicale, capace di conquistare attraverso la sua voce straordinaria le platee e il mercato con i suoi hit (da Un’estate al mare ad Alghero), capace e portatrice di un pensiero che puntava però in profondità, a suggerire sensazioni e intuizioni che sulla sua straordinaria vocalità viaggiavano in assoluta libertà. Insomma una creatura «aliena» sull’onda della musica, e anche del successo.
E non a caso Aliena è proprio il titolo del cd appena pubblicato dalla Warner e curato dalla sua socia di sempre Maria Antonietta Sisini, che ne ha voluto preparare anche una lussuosa e seducente versione in un long playng tutto verde, che si apre sulle mille facce di Giuni. Titolo significativo e pieno di significato Aliena, come lo era quello della biografia dell’artista, pubblicata (presso Bompiani) nel 2009, cinque anni dopo la morte, dalla sua amica e ammiratrice Bianca Pitzorno: Da un’estate al mare al Carmelo. Una ragazza siciliana del popolo (figlia di un pescatore) che aveva conquistato un enorme successo popolare ma, spirito inquieto per una grande signora del canto, si era appassionata via via a frequentare certi conventi carmelitani, in una ricerca sempre più profonda di spiritualità che le aveva procurato grande dimestichezza con la parola e la fede di storici mistici come san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Avila.

A LORO AVEVA IMPRONTATO il suo canto negli ultimi anni, in una immedesimazione che era forte e puntuta come il suo carattere, e ricca e variegata quanto l’umanità e l’ardire che da quelle personalità promanavano. Ogni canzone per lei ha costituito negli ultimi anni una sorta di abisso, in cui calarsi (ovvero innalzarsi) per toccare e trasmettere la commozione più estrema (di amore come di infelicità) e insieme una sorta di sapienziale accettazione, della vita e del dolore. Anche quando canta delle situazioni più semplici e apparentemente correnti. C’è nell’album, miliare e centrale, una canzone in lingua napoletana, Song of Naples (O sentiero d’ ‘o mare) che cela in quella visione, toccante e ondeggiante, una dedica d’amore per il padre pescatore, sebbene nella natìa Sicilia. Così come altre canzoni celano peripezie, altrettanto abissali o sublimi, legate all’amore. Dove il sentimento del singolo, con tutto il suo carico di passione e assolutezza, trasfigura facilmente in un dimensione di mistica assolutezza. Con il suono e il tempo della musica che innalzano l’umano verso una dimensione di mistica perdizione.

COSÌ ERA GIUNI RUSSO, la «signorina Giuseppa» come lei stessa amava definirsi, pronta alla fede, negli umani come nel divino, ma sempre pronta al riscatto che quei sentimenti (e quei suoni) le permettevano in quanto assoluti. Così che le sue canzoni suonano ancora oggi, o forse di più, godibili quanto inquietanti proiezioni verso l’assoluto. I brani del resto, per lo più inediti, sono stati recuperati da Maria Antonietta Sisini assieme ai più fidati collaboratori di lei: l’ingegnere del suono Pino Pinaxa Pischetola, il chitarrista Riccardo Onori, il violoncello di Marco Remondini. Alcuni brani poi sono veri e propri «scherzi», come il frammento assai godibile e divertito intitolato Pekino, una sorta di omaggio con gorgheggi in una lingua similcinese, per trasmettere l’emozione provata quando l’artista aveva assistito alle rappresentazioni appunto dell’Opera di Pechino.
Risuonano nel disco le esperienze che Giuni Russo aveva maturato nella sua densa storia artistica (ad esempio la fertile collaborazione con Franco Battiato), ma oggi questo ripescaggio «Alieno» dai suoi depositi di esperienze artistiche la rende ancor più «misteriosa», ancora da frequentare e scoprire ulteriormente, perché tutto quel suo stato di grazia, e d’esperienze e di miraggi (esistenziali e musicali) offre ancora spazi di scoperta e approfondimento. Oltre al piacere e all’emozione di ascoltarla ancora.

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