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Giulietti (Fnsi): «È girata una notizia non verificata, serve un’autocritica anche fra i giornalisti»

Giulietti (Fnsi): «È girata una notizia non verificata, serve un’autocritica anche fra i giornalisti»Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi

Il presidente della Federazione della stampa: Alcuni cronisti hanno inseguito l'onda dell'odio. L'Agcom fornisca di dati precisi. La provenienza degli autori del delitto non è stata verificata. Si apra un dibattito nelle redazioni. Ne va della credibilità e del futuro della professione

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 luglio 2019

«La caccia all’immigrato di venerdì sera non può essere archiviata senza una discussione autocritica anche al nostro interno». Beppe Giulietti oggi è presidente della Federazione della stampa, ma è stato parlamentare e segretario dell’Usigrai. Da sempre si occupa dei diritti di chi informa e di chi viene informato. Un mondo che dovrebbe essere – e sentirsi – sotto accusa almeno stavolta per aver contribuito attivamente alla «caccia all’immigrato» diffondendo la notizia falsa secondo cui l’assassino del carabiniere Mario Cerciello Rega fosse «nordafricano».

E invece, con la confessione del giovane Finnegan Lee, tutto rischia di passare in cavalleria?

Quello che è accaduto non è preoccupante ‘solo’ per lo stato dell’informazione ma anche per lo stato della Costituzione. Ripensiamo alla catena dei fatti: venerdì da alcuni siti, attribuiti anche a persone delle forze dell’ordine, parte la notizia che l’omicidio è stato compiuta da «immigrati nordafricani». Da questo, a prescindere da qualsiasi verifica, in rete si scatena un meccanismo da ku klux klan. Si somma una serie di nodi. Il primo è lo spirito dei tempi: giornali, nelle testate online, giornalisti e singoli cittadini, partono. Il vicepremier Salvini parla di “bastardi” da “buttare in galera” , “ai lavori forzati” e altre espressioni incompatibili con lo stato di diritto, perché chiunque sia stato va assicurato ai magistrati. Il delirio da caccia all’uomo è una sostanziale violazione dell’art.3 della Carta, il principio di uguaglianza, del 21, la libertà di informazione, e del 111, il giusto processo. Tutti articoli che hanno a che vedere con le garanzie.

La rete, il vicepremier. Ma soprattutto alcuni giornalisti ci hanno messo del loro.

Non c’è dubbio. Alcuni lo hanno fatto per adesione, perché condividono lo spirito dei tempi. Altri perché ormai nell’informazione la velocità batte sistematicamente la verifica della notizia. Se la rete parte, un pezzo dell’informazione depone le armi professionali e si slancia nella presunta notizia. La valanga è partita e la si insegue, amplificando la presunta notizia. È il meccanismo che si usa per condizionare le campagne elettorali.

È andata in scena una frana della professione giornalistica. Come si può frenare?

In vari modi. Sul sito di Art.21 Valerio Cataldi lancia un appello all’Ordine dei Giornalisti e alle direzioni dei giornali e dei tg perché la Carta di Roma venga letta, diffusa e osservata nelle redazioni. È un protocollo deontologico per un’informazione corretta sull’immigrazione siglato da Ordine e Fnsi. Poi bisognerebbe applicare le norme esistenti. In questa professione esistono delle regole: o si trova il modo di farle rispettare o le si straccia, come in effetti una parte di questo governo chiede. In questo caso le violazioni sono state palesi: non solo la mancata verifica della notizia ma anche l’uso di un linguaggio razzista di incitazione all’odio. La Fnsi, l’Ordine e la Carta di Roma debbono aprire una discussione. Inutile fare gride manzoniane sull’etica, produrre carte deontologiche per salvarsi la coscienza, tanto poi non hanno alcuna applicazione né nessuna sanzione.

Servono sanzioni per chi sbaglia? Sai bene che queste violazioni sono spacciate per ribellione al politicamente corretto.

Intanto di sanzioni se ne vedono assai poche. Comunque no: non invoco il regime dei giudici ma quello del conflitto sui valori. Prima della sanzione viene la discussione, la battaglia nelle redazioni. Ma chi la pensa così deve smetterla di nascondersi: nelle redazioni siamo sempre pronti a scornarci, legittimamente, sul futuro dell’Inpgi, ma non sulle questione democratiche. Ciascuno di noi, redazione per redazione, deve assumersi la responsabilità di chiedere assemblee sullo stato di applicazione sulla Carta di Roma. Sono temi che riguardano il futuro della professione, la sua credibilità. Ma si può fare anche una terza cosa: l’Autorità garante della Comunicazione ha fatto una direttiva sul linguaggio dell’odio. Spero che nelle prossime ore fornisca la mappa esatta di quello che è accaduto e segnali i siti e le realtà editoriali in cui si sono consumate le infrazioni più gravi.

Agli ultimi governi piace la disintermediazione, sembra una direzione ineluttabile.

Ma quello che è accaduto ieri dimostra l’esatto contrario di quello che teorizzano Casaleggio e Crimi (sottosegretario con delega all’editoria, ndr). Quello che è successo dice che c’è bisogno di più pensiero critico e più giornalisti preparati alla professione, e meno cedevoli all’aria che tira. Ieri abbiamo toccato con mano dove conduce l’altra strada. Oggi almeno abbiamo delle regole violate, in un futuro con le regole abolite, non ci sarà più neanche la violazione. Fatti così saranno la norma.

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