Giuliana De Sio Dark Queen
Lgbtqi Al Mix Milano premiata l'attrice diventata icona gay grazie alle serie televisive
Lgbtqi Al Mix Milano premiata l'attrice diventata icona gay grazie alle serie televisive
Bella, brava e indistruttibile, un curriculum invidiabile tra cinema televisione teatro, ma nonostante ciò Giuliana De Sio vorrebbe la carriera di Isabelle Huppert: «Come attrice ho bisogno di tinte forti, fossi nata in Francia sarei come lei». L’abbiamo incontrata a Milano in occasione dell’ultima edizione del Festival MIX – dedicato al cinema Lgbtqi – che le ha attribuito il premio Queen of Comedy 2019
Dopo Franca Valeri, Carmen Maura, Valentina Cortese, Anna Mazzamauro, Serra Yilmaz, Iaia Forte, quest’anno la Queen è lei.
Queen mi piace, anche se non mi sento una regina (ride). I premi sono delle gratificazioni, se ne può pensare solo bene. A volte non ti senti all’altezza di ricevere un riconoscimento, altre pensi di meritartelo. In questo caso, essendo un premio legato al mondo Lgbt, mi sento lusingata.
L’attuale slogan del MIX è Love Riot. Il premio ricevuto può, in qualche modo, sigillare l’esperienza nella comune hippie che fece in gioventù?
Per fortuna i miei anni li porto bene (ride). Ho vissuto anche il secolo scorso, con tutti i cliché della mia generazione. Alla fine degli anni Settanta lo slogan era “Peace & Love”, che poi, in verità, capitavano anche litigi e cose brutte. Insomma, non è che ci fosse tutto questo “Peace & Love”. Però sono passata anche attraverso questa esperienza per andare avanti per la mia strada, ma non vedo il nesso tra il mondo gay e il mio passato.
Allora qual è il legame?
Penso che il mondo gay si sia “svegliato” nei miei confronti con le fiction televisive, tra cui Il bello delle donne, uno dei primi prodotti di rottura, nel senso che il mio personaggio, Annalisa Bottelli, è indifendibile, una stronza. Ma simpatica.
Un po’ dark lady alla Bette Davis o alla Barbara Stanwyck, un po’ elettrica…
Certe sfumature le aggiungevo io per liberarmi dal peso di un ruolo negativo. Sulla carta, in realtà, non è che ci fosse così tanta ironia. Con l’astuzia maturata nei vari anni di carriera ho capito che non potevo mantenere le peculiarità pure del personaggio e l’ho plasmato a mio modo, facendolo buffo.
Ed è pure un po’ omofobo…
Decisamente, i gay li chiama “invertiti”. Ogni tanto, sul set, chiedevo se certe cose potevo dirle. È stato un attimo di grandissima libertà espressiva. Oggi, dire certe cose in televisione sarebbe impossibile. Il bello delle donne è stata la fiction più trasgressiva, in cui parlavo di sesso, di pompini…
Una frase di Annalisa è: «Non c’è niente da fare, il mondo è tutto in mano ai froci».
(ride). Quanto mi sono divertita a essere simpaticamente stronza e politicamente scorretta, tanto che il mio timore era quello di poter essere odiata dal mondo Lgbt. Invece è sortito l’effetto opposto, soprattutto tra i transessuali. Tempo fa sono andata a una serata a Roma e mi hanno portata in trionfo. Mi sono anche chiesta quale sia il collegamento tra le varie icone Lgbt, perché tra me e Raffaella Carrà non vedo affinità. Lei non è una dark lady, mentre io vorrei interpretare solo ruoli così, ma in Italia scarseggiano. Le donne al cinema fanno tutte le mamme, le zie, le figlie, le nonne oppure scopano. Da noi c’è poca follia dedicata alla ricerca dei personaggi.
A proposito di follia, recentemente ha dichiarato che dopo Cattiva di Carlo Lizzani, col quale ha vinto il secondo David di Donatello, non ha più ricevuto ruoli di primo piano al cinema. Perché?
Non sapevano più chi farmi interpretare. La ragazza del comico l’avevo già fatta con Francesco Nuti e Massimo Troisi, felice di aver fatto ciò, ma ero quel personaggio lì. Cattiva è il film della mia maturità artistica, dove dimostro di essere un’attrice da performance, ma dopo vari premi vinti è subentrato un periodo di stasi, che è una contraddizione enorme perché dovrebbero spalancarti più e più porte. Me ne sono accorta a mie spese, e per fortuna ho la forza del talento all’interno di un sistema dove sono sempre stata considerata “diversa”. Se poi di diversità si può ancora parlare. Anzi, mi hanno fatta sentire sempre diversa e a questo punto devo accettare una diversità che non avverto affatto. Forse, in realtà, i pazzi sono gli altri e io quella normale.
Sono passati 25 anni dalla scomparsa di Massimo Troisi, un suo pensiero?
È sempre un dolore e un ricordo fortissimo della mia vita. Massimo era un amico, ma a prescindere dal nostro rapporto, il mio è prima di tutto un lutto come spettatrice.
Una delle tracce della prima prova di maturità di quest’anno è stata dedicata a Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nel 1984 ha interpretato sua moglie, Emanuela Setti Carraro, in Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara.
È un personaggio angelico e non c’entravo nulla con quel ruolo. Ho preso parte al film perché era un periodo in cui chiamavano sempre me. Ma, seppur sia un prodotto con un’ottima sceneggiatura, mi sentivo fuori parte. Come attrice ho bisogno di tinte forti, avrei voluto la carriera di Isabelle Huppert.
Però col teatro ha avuto diverse rivincite.
Lì mi levo tutte le mie soddisfazioni. Sul palcoscenico mi diverto, mi emoziono, mi terrorizzo, mi confronto, cresco… Ho tutti gli shock che mi servono per vivere. E i personaggi da interpretare li scelgo io.
Come il suo ultimo spettacolo, Le signorine con Isa Danieli.
Ora siamo fermi, ma dalla prossima stagione riprendiamo e debutteremo al Teatro Franco Parenti di Milano. Isa Danieli e io siamo due belle macchine da guerra, facciamo riedere dalla prima all’ultima scena, nonostante la storia finisca malissimo. Il testo nasce da Gianni Clementi, drammaturgo dalla penna brillante, l’ho trasformato da comico a tragicomico dandogli una struttura narrativa articolata e il pubblico ha apprezzato. Non posso dire la stessa cosa per alcuni lavori fatti per il cinema o la televisione.
Tornando al cinema, con chi vorrebbe lavorare in questo momento?
Vorrei essere nata in un altro paese (ride), ma anche in Italia ci sono diversi talenti. Mi piace Matteo Garrone perché fa un cinema coraggioso, deviato, è un pittore che calibra tutto nei minimi particolari. Mi piace Paolo Virzì per quanto riguarda le commedie perché dirige benissimo gli attori ed è bravo nella scrittura. Mi piace Giuseppe Tornatore… Mi piacciono tantissimi registi, solo che non mi chiamano (ride). A proposito di Bette Davis, potrei fare come lei e mettere un annuncio di lavoro sul giornale: diva con 2 David di Donatello e 7 candidature all’attivo, 2 Grolle d’oro, 2 Nastri d’argento, 6 Telegatti, in cerca di lavoro presso cinema o televisione.
No perditempo.
Certo.
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