«Quando mi trovo a contato con gli elementi naturali non mi sento piccola e schiacciata ma, al contrario, è come se mi riconoscessi. Da qui prende le mosse lo spettacolo: il corpo che mettiamo in scena si identifica più in una montagna che in un essere umano». Così Giulia Odetto, giovane regista teatrale della compagnia Collettivo EFFE, parla di Il mio corpo è (come) un monte, lavoro che debutterà domani e dopodomani al Romaeuropa festival nell’ambito di Anni luce. La sezione, curata da Maura Teofili – animatrice dello spazio romano Carrozzerie n.o.t – individua ogni anno alcuni progetti su cui scommettere, con l’ambizione di cogliere le potenzialità di una scena futura e di supportare quelle realtà giovani che mostrano un percorso autoriale originale. «Nel 2020 ci siamo presentati alla Biennale College, poi il bando Powered by Ref – opportunità di sostegno e tutoraggio di Romaeuropa che la compagnia ha vinto lo scorso anno, nda – ci ha permesso di affrontare il processo produttivo in modo più professionale, nella legalità, il che non è sempre possibile perché spesso ai gruppi emergenti mancano le risorse per pagare i contributi».

NELLO SPETTACOLO di Odetto e del Collettivo EFFE gli estremi si toccano, c’è un elemento ancestrale di identificazione con la natura, uno slancio fusionale che si nutre però dell’utilizzo di possibilità tecniche dei nostri giorni – una telecamera riprende la performer Lidia Luciani, le immagini vengono proiettate in diretta sul fondale. «Mi piace pensare che la tecnologia sia un’evoluzione naturale del corpo umano, se la chiamassimo semplicemente tecnica saremmo forse più vicini ad un utilizzo manuale degli strumenti, che poi è quello che facciamo in scena. Il video dà la possibilità di isolare dei dettagli e di creare un altro contesto, a partire però da qualcosa di presente ovvero il corpo della performer. Il pubblico vedrà sempre in scena un essere umano con una telecamera che gli gira intorno, può scegliere però se abbandonarsi alla percezione di una montagna oppure no».

L’APPROCCIO alla regia di Odetto – anche assistente di Antonio Latella in Chi ha paura di Virginia Woolf? – implica il non nascondere alcun artificio, di rifiutare il principio di «illusione» del teatro, per portare in scena tutte le necessarie operazioni tecniche allo svolgimento dello spettacolo. Una direzione che, oltre ad essere in sintonia con la sensibilità contemporanea, aggiunge pregnanza alla dimensione poetica che si viene comunque a creare nel mettere in scena il desiderio impossibile di superare i propri limiti. La montagna, nella sua solenne maestosità, ispira lo spettacolo: «Abbiamo lavorato molto sulla percezione del tempo: la montagna si muove e cambia, monti come l’Everest continuano a crescere anche se per noi, che mutiamo su una scala temporale diversa, è difficile percepirlo. Per questo indaghiamo anche ciò che è molto piccolo e che l’occhio della telecamera ci permette di vedere. Con questo tipo di osservazione possiamo trovare delle similitudini tra la roccia e la pelle».
È in questo spazio tra fuoriuscita da sé e richiamo di una dimensione pre-personale che si snoda Il mio corpo è (come) un monte, mentre è ancorato ad una dimensione più marcatamente sociale OK Boomer – Anch’io sono uno stronzo, il testo di Nicolò Sordo vincitore del Premio Pier Vittorio Tondelli che andrà in scena anch’esso mercoledì e giovedì nell’ambito di Anni luce, con la regia di Babilonia Teatri. Sono le contraddizioni del capitalismo ad essere l’oggetto della scrittura, in una fotografia dello scontro generazionale che assomiglia ad uno scarico di responsabilità. Le scarpe firmate sono alla fine tutto ciò a cui si anela – e se l’identificazione con la montagna ci spinge verso orizzonti lontani, quella con le Nike ci riporta drammaticamente alla realtà alienante in cui viviamo quotidianamente.