Giù le mani da Dumbo!
Ai confini della realtà L’arrivo online di una porzione dell’archivio Disney è stato accompagnato da un articolo del «New York Times» con l’elenco di una serie di titoli «problematici» dello studio
Ai confini della realtà L’arrivo online di una porzione dell’archivio Disney è stato accompagnato da un articolo del «New York Times» con l’elenco di una serie di titoli «problematici» dello studio
«Questo programma è presentato nella sua versione originale. Potrebbe contenere rappresentazioni culturali datate». È il disclaimer (le avvertenze) che si trova davanti chi vuole vedere Dumbo (1941) sulla nuova piattaforma Disney Plus. L’idea di far precedere da due linee di scusa la visione di uno dei capolavori della storia del cinema sembra allucinante, solo se non si considera la opzione numero due che pare lo studio di Topolino stesse valutando rispetto alla diffusione del film: eliminare i corvi che fumano il sigaro e che potrebbero essere intesi come caricature razziste.
L’ARRIVO online di una porzione dell’archivio Disney è stato accompagnato da un articolo del «New York Times» con l’elenco di una serie di titoli «problematici» dello studio che, essendo meno globalmente noti di Dumbo, non hanno richiesto scelte amletiche: semplicemente non saranno visti. È il caso di Song of the South (1946) un ambizioso mix di animazione e ripresa dal vero, che vinse un Oscar per la canzone Zip-a-Dee-Doo-Dah, ma che è invisibile da trentatre anni perché ritenuto un ritratto troppo idilliaco della schiavitù’. Tra le curiosità nelle lunghe liste di film per ragazzi da qualche giorno disponibili su Disney Plus, anche gli esordi di Kurt Russell (come The Computer Wore Tennis Shoes, del 1966), ma non Commando Duck, un cartoon di propaganda della durata sette minuti, realizzato durante la seconda guerra mondiale, in cui Paperino va in missione in un Giappone dove tutti parlano con un accento ridicolo e sparano nella schiena ai nemici. Il lancio di Disney Plus e l’assenza di alcuni titoli importanti dell’archivio (il podcast cinefilo You Must Remember This ha dedicato sei puntate a Song of the South) sono solo l’ultima opportunità di segnalare une frenesia di (auto)censura che sta estendendosi a macchia d’olio.
DUE MESI FA, dopo una proiezione di Trading Places, un’amica artista mi ha detto di essere stata messa a disagio dalla «faccia nera» di Danny Aykroyd (nella buffissima sequenza finale del film, quella sul treno, in omaggio a Twentieth Century, di Howard Hawks, in cui Aykroyd è travestito da una specie di rasta); in un incontro pubblico tenuto la settimana scorsa, Julie Andrews si è sentita in dovere di garantire che, oggi, suo marito Blake Edwards sarebbe il primo a trovare inaccettabile la personaggio di Kato, il maggiordomo/istruttore di kung fu che attacca Clouseau ululando ogni volta che entra in casa.
IN EFFETTI, pantere rosa a parte, il povero Blake Edwards avrebbe da scusarsi di molto -a cominciare dal vicino giapponese interpretato da Mickey Rooney in Colazione da Tiffany, per finire con gli italiani della poco vista, irresistibile commedia bellica, What Did You Do in he War Daddy? Certo, come ha detto Julie Andrews, la parola chiave in tutto questo avvilente non dibattito culturale è «oggi». L’idea che la rappresentazione artistica del passato (che siano i vecchi film Disney o le statue confederate) vada redatta, riscritta e censurata, secondo i valori di oggi non è solo sbagliata e repressiva. È anche profondamente stupida. Perché cancella la Storia (non solo i suoi errori) e la possibilità che una società e quindi la sua rappresentazione, possano evolversi. Purtroppo è il segno dei tempi. Quindi, se proprio si deve, teniamoci il disclaimer della Disney . Ma giù le mani da Dumbo!
E poi, con lo stesso sistema, fateci vedere anche Song of the South e Paperino razzista.
giuliadagnolovallan@gmail.com
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