Girotondo in dieci tempi
Intervista Un incontro con Sergio Rossi e Agnese Innocente intorno al graphic novel che s'ispira all’omonimo testo teatrale di Arthur Schnitzler e ha vinto l'Andersen 2021
Intervista Un incontro con Sergio Rossi e Agnese Innocente intorno al graphic novel che s'ispira all’omonimo testo teatrale di Arthur Schnitzler e ha vinto l'Andersen 2021
Miglior libro a fumetti al premio Andersen 2021, prestigioso riconoscimento italiano dell’editoria per ragazzi, Girotondo di Sergio Rossi e Agnese Innocente (Il Castoro, pp. 192, col, euro 16) è romanzo grafico in dieci episodi che racconta l’amore ai tempi di whatsapp. Ambientato a Bologna oggi, illustrato nitidamente nei suoi luoghi e angoli riconoscibili, è una concatenazione di dieci spaccati di vita che compongono un’unica narrazione collettiva. Da Stefano & Anna a Isa & Stefano: il cerchio si chiude, ma il girotondo riparte anche senza soluzione di continuità per vedere più in dettaglio ogni relazione amorosa o meno, includendo tutte le interconnessioni acquisite durante la lettura. La storia, ispirata all’omonimo testo teatrale di Arthur Schnitzler, scorre ariosa e tenue per la sceneggiatura essenziale di Rossi e i segni e colori leggiadri di Innocente, pur toccando temi sensibili di forte attualità.
Sergio Rossi (Perugia, 1970) da anni lavora nell’editoria come autore, traduttore, curatore di libri scolastici, saggista e critico di fumetti (Fumo di China, Art&Dossier).
C’è un’insostenibile leggerezza dell’essere della generazione Z nata e cresciuta con i social media?
Direi che non ne siamo mai usciti. Quando ero adolescente, i telefoni erano fissi, ma le dinamiche amorose erano le stesse. Il primo racconto nacque molti anni fa e i personaggi usavano il telefono fisso: passare ai messaggi di whatsapp, che hanno anche la forma delle nuvolette dei fumetti, è stato naturale e non ha cambiato nulla della storia. Perché, parafrasando Battiato, quando arriva il momento di dichiararsi, non ti serviranno i social, ci devi mettere la faccia e il corpo. Ieri come oggi.
Il tuo sguardo è più paterno o di sovrapposizione della tua gioventù a quella odierna?
Nelle mie intenzioni è di sovrapposizione. Rispetto a quando cominciai a pensare a queste storie, le differenze principali sono la presenza di ragazze e ragazzi nati e cresciuti in Italia le cui famiglie sono originarie da altri paesi, e la presenza di persone lgbtq+ che fanno coming out: ai miei tempi sarebbero state due eccezioni, oggi sono la norma.
L’amore ai tempi della comunicazione veloce sembra consumarsi e rigirarsi attorno a dei piccoli grandi vuoti. È così?
Ogni tempo ha avuto la sua «comunicazione veloce»: i miei genitori usavano le lettere, io il telefono, i nostri figli il cellulare. Quando non sai se l’altra/o ti corrisponda, non c’è pieno che possa colmare quel vuoto indipendentemente dal mezzo di comunicazione.
La struttura narrativa circolare del girotondo relazionale sembra avvilupparsi su se stessa. C’è una via d’uscita?
Sì, il girotondo finisce con lo stesso dialogo e la stessa scena viste nelle prime pagine, ma la situazione è completamente diversa, sia per i personaggi coinvolti, sia per tutti quelli intorno a loro. Lo schema sembra ripetersi ma in realtà è mutato, come le relazioni amorose in essere.
Oltre al racconto ad anello, in che altro modo ti sei ispirato a Schnitzler?
Un po’ per tutto: Schnitzler era un genio dell’introspezione psicologica che sapeva rendere con battute fulminanti. Spero di essere stato un buon allievo, ma il maestro è insuperabile.
Fra i dieci giovani s’inserisce anche una madre professoressa in conflitto con la figlia. È inevitabile lo scontro generazionale?
Lo è sempre stato, e lo è ancora di più specie adesso che la vita media si è allungata e i genitori passano il testimone ai figli sempre più tardi, se glielo passano. Lo vediamo bene negli scontri sul cambiamento climatico, sullo ius soli o sul riconoscimento delle persone lgbtq+.
Come è andata l’interazione con Agnese Innocente e in che modo ha segnato la narrazione?
Molto bene. Le mandavo la sceneggiatura e lei faceva un primo storyboard su cui facevamo l’editing finale insieme a Maria Chiara Bettazzi e Chiara Arienti. Agnese ha caratterizzato perfettamente i personaggi puntando su vestiti, accessori e capigliature. Ha una capacità straordinaria di centrare le inquadrature, costruire le scene, anche le più difficili come nella sequenza della partita a Risiko vista dall’alto, raccontare le emozioni dei personaggi usando le panoramiche di Bologna, e di far recitare i personaggi, grazie anche al suo segno così empatico.
Prossimi progetti?
Oltre al lavoro nella scolastica, sta per uscire la mia traduzione di un bel romanzo di fantascienza per Pelledoca, editore per il quale uscirà l’anno prossimo un mio testo. C’è poi la riedizione del giallo storico Un lampo nell’ombra per Feltrinelli, del quale spero di scrivere un secondo volume, mentre con Agnese ci piacerebbe ritrovarci in un nuovo graphic novel.
Agnese Innocente (Massa,1994), illustratrice e fumettista, dopo una formazione fiorentina, esordisce con il graphic novel Dieter è morto e poi ha riadattato ll Meraviglioso Mago di Oz (2019). Collabora con Disney Usa, Papercutz e Space Between Entertainment.
Colori tenui, tratti esili, i tuoi disegni danno un senso di leggerezza diffusa anche nei momenti più densi. Quale codice grafico ti sei dato per «Girotondo»?
«Girotondo» è composto da una serie di storie slice of life sui ragazzi che parlano, principalmente e direttamente, ai ragazzi. Un fumetto di questo tipo necessitava di uno stile immediato, comprensibile e credibile. Il tratto che ho scelto è sì leggero, fine, quasi stilizzato ma anche fresco e dinamico: trovo che la semplicità mette in risalto la naturalezza dei gesti, della quotidianità e delle emozioni dei personaggi. Le palette cromatiche, al contrario, virano verso colori sognanti e poco veritieri, soprattutto nelle scene ambientate fra le strade delle notti bolognesi. Penso che la contrapposizione fra questa scelta cromatica e la rappresentazione ambientale più realistica sia proprio la chiave per aprire e parlare al cuore dei lettori.
La storia è ambientata a Bologna, ma in strada c’è poca presenza umana. È una città vuota?
I protagonisti che si muovono fra le storie del nostro fumetto sono dieci. Il focus di ogni capitolo punta proprio su di loro, sulle situazioni di vita di tutti i giorni che si trovano ad affrontare. Per questo motivo la presenza umana in città esiste, ma non è ciò su cui il lettore ha bisogno di concentrarsi.
Quali fumetti ti ispirano?
Molti, ma per citarne alcuni sicuramente direi tutti quelli di Gipi, una delle mie fonti di ispirazione maggiori, in particolare con LMVDM e La Terra dei Figli. Ci sono poi Paco Roca con Rughe, Craig Thompnson con Blankets, Manuele Fior, Bastien Vives, Naoki Urasawa. Si capisce che il genere che sento più mio è proprio lo slice of life? Inoltre mi ispirano tantissimo anche molti illustratori ed illustratrici, primo fra tutti il mio grande maestro Quentin Blake.
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