Giovanni Pascoli, poeta sperimentale e «maledetto»
SCAFFALE Un saggio di Francesca Sensini per Il Nuovo Melangolo rispolvera l'autore e ne rivaluta la collocazione storico-critica
SCAFFALE Un saggio di Francesca Sensini per Il Nuovo Melangolo rispolvera l'autore e ne rivaluta la collocazione storico-critica
Chi era Giovanni Pascoli? Soprattutto chi è oggi, al netto di tutto ciò che abbiamo letto, che ci hanno raccontato a scuola, che abbiamo vagamente capito? Ma poi chi non è stato? Questa terza domanda è forse la più importante che emerge da Pascoli maledetto (Il nuovo melangolo, pp. 160, euro 12), il brillante saggio scritto da Francesca Sensini, studiosa di letteratura italiana di Otto e Novecento, dottoressa di ricerca alla Sorbonne.
CHI NON È STATO, ovvero chi è veramente Giovanni Pascoli, oltre tutte le cavalline storne del regno, dei fanciullini che ancora andiamo cercando dentro di noi, senza forse averlo letto per davvero. Sensini lo toglie dalle stanze in cui spesso è stato rinchiuso nel racconto, anche critico, da una parte, e dai bar e dai bordelli, dove, per comodità, è stato più facile da rappresentare. Giovanni Pascoli con il fanciullino in tasca e un bicchiere tra le mani. Sensini nel suo libro mette in scena un lavoro a tesi e un lavoro di parte, e mettendosi dalla parte di Pascoli ci si mette anche dalla parte del lettore, che può finalmente scoprire il poeta romagnolo in una chiave nuova, in una «prospettiva risolutamente europea», come afferma l’autrice.
Naturalmente ciò che di Pascoli abbiamo letto è vero e provato, ma c’è qualcosa di lui non studiato a fondo. Il nostro poeta maledetto è lui, molto più di D’Annunzio. Maledetto secondo la definizione di Verlaine circa i poeti liberi da restrizione, gli «Assoluti», francamente i più bravi di tutti, di quel tempo e di molti degli anni a venire. Se il potere dei poeti maledetti è ambiguo, Pascoli lo è più di molti, perché difficilmente collocabile, rintracciabile al di fuori delle antologie.
È INFATTI SPERIMENTALE, gioca con la lingua, con le immagini e, di conseguenza, con il lettore. Pascoli è sfuggente. Sfugge ai lutti, alla tristezza, alla maledetta polvere che ricopre i libri di letteratura delle superiori. Perfino chi non lo ha mai letto davvero sa che da qualche parte, qualcuno, in un tempo lontano, è stato il poeta del fanciullino, il poeta triste, attraversato dai lutti. Una fatica, immaginiamo la passione di una studiosa come Sensini nel voler scardinare la vita di un grande poeta dalle catene arrugginite cui è stata legata.
Pascoli vicino ai poeti antichi e fratello di Baudelaire. Pascoli giovane e rivoluzionario: «Costui d’un’altra vita ha la speranza: / che muoia disperato». Il poeta mostra un’attenzione alla giustizia sociale e si oppone deciso allo sfruttamento degli esseri umani. Siamo in pieno Ottocento, e questo è solo un esempio della modernità di Pascoli, della sua progettualità testuale. Pascoli e gli amici, Pascoli che scrive sui giornali, Pascoli mai facilmente inquadrabile, neppure per chi lo frequentava. Legato alla famiglia, certo, ma anche abile nell’affrancarsene, affrontando, in gioventù, e poi in seguito, la questione degli affetti con leggerezza, e a volte, con una sottile ironia. Leggendo Sensini, viene voglia di rivedere Pascoli, con maggior riguardo, con uno spirito diverso.
LO ABBIAMO LETTO con un occhio scolastico? Con i libri di testo ancora troppo vivi nella nostra memoria? È probabile che lo abbiamo affrontato con il distacco tipico di chi guarda le cose per sentito dire, di chi ancora oggi guarda a uno dei nostri maggiori poeti pensandolo noioso, triste, addirittura, banale.
Pascoli maledetto è interessante e divertente (da un certo punto di vista), un saggio appassionato che aiuta a respirare, letteralmente e poeticamente. È bello togliere uno strato di polvere dalle convinzioni. «Entrate dunque. Non rimanete sul limitare, dicendo male della tessitrice, e della sua tela, e del suo canto». Pascoli ce lo diceva e ce lo dice Francesca Sensini, raccomandando al lettore di non accontentarsi delle storie che ci hanno raccontato, lo fa indicandoci delle coordinate alternative, sentieri poco battuti. Non rinneghiamo la bellezza struggente di poesie come La cavallina storna ma leggiamole in un’ottica più ampia. Prima della comprensione, esiste, nella poesia di Pascoli (e in quella europea) la comunicabilità; il cui senso viene dal ritmo, dal fonema, dalla capacità evocativa. Leggiamo questo Giovanni Pascoli vestito di nuovo, leggiamolo con cura.
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