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Giovanni Nuti e Grazia Di Michele: «Un omaggio senza tempo a Luigi Tenco e Dalida»

Giovanni Nuti e Grazia Di Michele: «Un omaggio senza tempo a Luigi Tenco e Dalida»Grazia Di Michele e Giovanni Nuti

Musica I due artisti si scambiano i ruoli per raccontare attraverso le canzoni, due personalità e due tormenti artistici nel disco "Una storia d'amore"

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 30 novembre 2023

Dalida, la diva della canzone francese, classe infinita, esuberanza ma un privato difficile, doloroso. Luigi Tenco è il talento della canzone, esce da una striscia di successi e ha già scritto pezzi – non sempre compresi dai contemporanei, destinati a diventare classici della musica italiana. Sembrano una coppia improbabile, in realtà è una passione tumultuosa che in quel febbraio 1967 con il brano Ciao, amore, ciao portato a Sanremo doveva dare la spinta definitiva al successo dell’artista genovese. E invece sappiamo tutti come è andata. Su quella vicenda tornano oggi Grazia Di Michele e Giovanni Nuti con un album – Una storia d’amore – appena pubblicato e con un tour e uno spettacolo che attraverso letture e canzoni, racconterà questa alchimia personale e artistica. Un pugno di classici e non solo tratti dal repertorio dei due artisti. Con un tocco di (geniale) follia hanno deciso di scambiarsi i ruoli: Nuti interpreta la star di origine egiziana e Di Michele il repertorio di Tenco.

«L’IDEA DEL PROGETTO – spiega la cantante romana – è nata dopo un pranzo dove abbiamo scoperto una reciproca affinità di intenti. Così Giovanni mi ha proposto l’idea di uno spettacolo su Dalida e Tenco. Io da anni insegno ai ragazzi e gli porto sempre come esempio proprio Luigi». La liaison e la tragedia sanremese ha sempre messo in ombra la figura di Tenco, spesso trascurando un repertorio che aveva già portato al pubblico decine di grandi canzoni: «Non ci siamo permessi di entrare nel merito di quello che è passato per la testa di Luigi, se ha realmente deciso in un momento di sconforto di fare un gesto estremo. Volevamo restituire piuttosto la cifra poetica del suo repertorio, con il suo modo di interpretare e di porgere le storie. L’incontro con Dalida non è stato in realtà così semplice all’inizio. Sono più propenso a pensare che quello che ha veramente funzionato fra di loro è una sorta di malinconia, un atteggiamento nei confronti del mondo e della vita. Dalida non si è più ripresa dopo la morte di Luigi, lo racconta anche in un suo pezzo Je suis malade: non l’ha scritto lei ma in quelle parole c’è tutto il suo malessere. E lei lo interpreta con disperazione, come una ferita che non si rimargina mai».

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Una malinconia che – seppur in due personalità ben distinte e complesse – li accomuna: «Una sorta di schema esiste: Tenco sin da ragazzo si definiva un ‘fanciullo infelice’ visto che era orfano di padre, mentre Dalida aveva avuto un padre molto violento. Dunque la malinconia è un tratto che si sono portati dietro sempre». Un repertorio sconfinato da cui scegliere una rosa di pezzi: «Siamo partiti con undici tracce poi alla fine siamo arrivati a 18, ma avremmo continuato».

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