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Giovanni Cioni, costellazioni familiari

Giovanni Cioni, costellazioni familiari

Festival dei popoli A Firenze il regista presenta fuori concorso «Parole tremanti», frutto della collaborazione con i ragazzi della scuola media Galileo Chini di Scarperia

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 2 novembre 2024

Giovanni Cioni torna fuori concorso al Festival dei Popoli di Firenze con un nuovo lungometraggio. Parole tremanti è ilfrutto del lavoro con i ragazzi della scuola media Galileo Chini di Scarperia, borgo del Mugello fiorentino. Insieme a loro e ad alcuni vecchi testimoni del posto Cioni raccoglie le tracce di memoria lasciate nei luoghi della Linea Gotica dalla Seconda Guerra Mondiale facendone la materia di un laboratorio di ricerca, scrittura, interpretazione e messa in film che finisce per combinare re-enactement, archivi d’epoca (combat film statunitensi), documentario antropologico, documentario di creazione, lasciando il solito posto speciale ai cartelli muti con le parole che compaiono da sole, bianche sullo schermo nero. Nessuna grande narrazione, nessuna direzione perentoria e univoca per percorrere il film, nessuno schema cronologico esplicito e incontrovertibile.

Il lavoro inizia dalla ricerca sulla memoria che spinge i ragazzi a ritessere i fili delle relazioni familiari e dei ricordi tramandati. La prima guida cinematografica è il Paisà di Rossellini. Nelle classi in cui convivono e si mescolano italiani, albanesi, serbo-croati, rumeni, ucraini le vicende che tornano alla luce del ricordo svelano legami che passano i confini e attraversano i mari, mettendo immediatamente in comunicazione passato e presente.

In modo simile a quanto fatto nel precedente poemetto diaristico-speculativo Gli intrepidi, anch’esso realizzato insieme ai ragazzi (anche se lì il gioco era ritrovare Salgari oggi, mentre in Parole tremanti il gioco è assai più serio, delicato e rischioso), qui Giovanni Cioni intreccia le memorie recuperate con storie scritte, immaginate, inventate (Il mantello di Buzzati), le innesca e illumina con le parole dette e scritte (la prosa incerta pronunciata dai ragazzi che recitano e raccontano, la testimonianza frammentaria dei vecchi che ricordano, i versi di Ungaretti dai quali è preso il titolo del film), ne evoca le immagini e gli immaginari rifondendoli in voci e in corpi nuovi rimessi ad abitare gli stessi luoghi a distanza di molti decenni.

Un viaggio oltre lo spazio e il tempo che avviene quasi da fermi. Percorrendo le vie più elementari e più specifiche del cinema-cinema, affidandosi quasi solo al suono della voce e alla forza delle immagini. Lavorando sulla memoria, sulla testimonianza, la trasmissione orale, la storia familiare, l’immaginazione e il ricordo; e poi sul racconto cinematografico come esercizio di ricapitolazione, ripianificazione, rianimazione. Un lavoro che torna coerentemente a scegliere un punto di vista marginale – i più piccoli ai quali raramente si lascia la parola e la scena, e poi anche gli abitanti residuali dei borghi di montagna – e un tempo non lineare – nei film precedenti costellazioni di frammenti narrativi non univocamente allineati, qui il tentativo di una trasmissione transgenerazionale attraverso un movimento pendolare nel tempo storico, dal fatto al ricordo al racconto e ritorno – e che usa il film come macchina organica di narrazione e riflessione.

Come sempre nel cinema di Giovanni Cioni fondamentale è il dispositivo che mette in quadro e alimenta la produzione del senso: oltre le riprese con i ragazzi e la registrazione delle testimonianze, il regista dedica un tempo a parte alla cattura dei luoghi – i cieli, la terra, le piante sulle montagne del Mugello – come corpo complessivo che conserva ancora in sé le tracce fisiche di quel passato, e come cassa di risonanza dentro la quale tutti gli altri elementi del film accordano il proprio livello d’esistenza e riescono a suonare la propria musica. Una Natura non indifferente che non si limita ad esser teatro e scena ma finisce per diventare altro e ulteriore testimone muto e mette immediatamente in relazione e comunicazione i fatti del passato con le azioni del presente. È anche da qui che le istanze laconicamente pacifiste trovano un riverbero e un riflesso che le proiettano verso una dimensione compitamente universale.

Così Parole tremanti tenta infine una via alternativa e anarchica alla storiografia istituzionale, che sradica il punto di vista della Storia ufficiale rovesciandolo e ripiantandolo nei luoghi e in mezzo alle vite ai quali quella Storia appartiene. E come già in passato non è nella perfezione delle traiettorie o nella levigatura dei processi che va trovato il senso e il peso dell’iniziativa. Le incertezze dei ragazzi, qualche loro goffaggine, l’essenzialità spartana delle registrazioni delle testimonianze, l’aspetto opaco degli archivi non sono né errori né inciampi, ma i caratteri che definiscono una precisa cifra stilistica; sono il luogo in cui si manifesta l’intenzione del regista che seguita a costruire il suo cinema come verifica incerta, come frutto vivo e fecondo di un incontro e di un confronto con l’altro, lasciando che il film da questo incontro e da questo confronto tragga la sua forma.

Il laboratorio dal quale il film ha avuto origine nasce dalla collaborazione con Lanterne Magiche, il programma di didattica del cinema della Mediateca Regionale Toscana che si rivolge al mondo della scuola. In un momento in cui nel nostro Paese sembra lentamente, gradualmente e ancora solo parzialmente coagularsi e trovare finalmente corpo la lunga serie di sforzi e battaglie che da molti decenni hanno tentato di portare il cinema tra i banchi scolastici come materia di pari dignità e «utilità» rispetto alle altre, nel bel mezzo di una ridda di «interventi didattici» operati sopra le teste degli studenti, usandoli troppo spesso come mera platea da ammaestrare, il nuovo cimento di Giovanni Cioni – che al cinema come strumento paideutico e maieutico e come esperienza esistenziale oltre che espressiva e artistica si dedica da molti anni – testimonia dopo tutto il rigore e la coerenza di un autore che posizione il suo sguardo sempre alla stessa altezza di quanti diventano soggetti dei suoi film e che sempre interpella lo spettatore senza mai rassicurarlo nelle sue comode convinzioni.

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