Cultura

Giovanni Battista Chiesa, il prete guaritore

Giovanni Battista Chiesa, il prete guaritoreUn'opera di Goya, 1788

Scaffale «L’eredità immateriale. Carriera di un esorcista nel Piemonte del Seicento» di Giovanni Levi, pubblicato per la prima volta nel 1985, torna in libreria con una nuova prefazione dell'autore per Il Saggiatore

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 6 novembre 2020

Quante cose rilevanti si possono veder succedere quando apparentemente non succede nulla? Molte. O almeno così ci suggerisce il libro di Giovanni Levi, L’eredità immateriale. Carriera di un esorcista nel Piemonte del Seicento, uscito per la prima volta nel 1985, ora ripubblicato con una nuova prefazione dell’autore (Il Saggiatore, pp. 256, euro 24). Storico dell’età moderna, docente universitario nelle sedi di Torino, Viterbo e Venezia Ca’ Foscari, Levi è stato uno dei pionieri della microstoria italiana, fra i padri fondatori della famosa rivista «Quaderni storici» e curatore, con Simona Cerutti e Carlo Ginzburg, della collana «Microstorie», edita da Einaudi fra il 1981 e il 1991.

UN PERFETTO SCONOSCIUTO è all’origine del volume: Giovanni Battista Chiesa, parroco vicario di Santena, nel Piemonte sabaudo, processato e poi condannato nel 1697 per esorcismi e guarigioni sospette. Un guaritore, esorcista e imbonitore, dunque, un personaggio molto rozzo e anche «un poco ignorante», ma a cui tutto il paese di Santena andava inspiegabilmente dietro.

LA VICENDA FUNGE però da grimaldello per un’indagine più profonda sul funzionamento delle dinamiche sociali e culturali del piccolo borgo rurale. L’obiettivo dell’autore era, infatti, rompere con i modelli costruiti da storici e antropologi fra anni Sessanta e Settanta (prima fra tutti l’economia morale del grande storico inglese E.P. Thompson) che spiegavano i comportamenti delle società contadine all’interno di un’unica legge, con comportamenti e culture condivise da gruppi omogenei, e che vedevano l’affermazione della razionalità economica solo con il capitalismo della prima industrializzazione.
Criticando sia i dogmi dell’impostazione strutturalista e funzionalista e sia l’economicismo massimizzante e utilitarista di matrice liberale, L’eredità immateriale mirava a mostrare come il consolidamento dello Stato moderno e il diffondersi dei rapporti di mercato nelle campagne del Seicento non fossero il risultato dell’azione unidirezionale delle classi dominanti nei confronti di un inerte e conservatore sistema contadino.

RICOSTRUENDO LE BIOGRAFIE del mondo sociale attorno al prete esorcista, Levi mostrava come le azioni dei singoli individui potessero condizionare e anche modificare le forme di dominazione del potere centrale, grazie a una razionalità selettiva dovuta all’ambiguità delle regole, alla limitata disponibilità di informazioni e alla presa di decisioni in un contesto di incertezza.
Un’indagine «al microscopio» dell’universo di relazioni intorno a Chiesa si dipana così nei successivi capitoli. Studiando la stratificazione famigliare, l’autore contesta l’idea di famiglia come unità di residenza e guarda invece alla formazione e al ruolo dei gruppi di non coresidenti, legati fra loro da vincoli di parentela, alleanze presenti e possibili relazioni future.

IL RAPPORTO CON LA TERRA è invece lo spunto per indagare il funzionamento del mercato: rigettando l’idea di un mercato anonimo e impersonale, ma criticando anche i modelli di antropologi quali Karl Polanyi e Marshall Sahlins, l’autore mostra il ruolo giocato dalle relazioni di parentela e dalle alleanze clientelari all’interno di una società alla continua ricerca di sicurezza e dove la solidità di gruppo in costante mutamento prevaleva sull’affermazione individuale.
Attraverso questa lente il tema della vita politica è oggetto dei successivi tre capitoli, che partono dalle vicende del padre del nostro protagonista, Giulio Cesare Chiesa. Notabile del villaggio, nell’arco di un quarantennio egli si creò una carriera e un patrimonio fatto di relazioni e posizioni instabili, di risorse concrete ma, appunto, immateriali.

QUESTA EREDITÀ fu raccolta da Giovanni Battista, nel 1694, in un periodo però più complicato del precedente e che lo vedrà impegnato nella ricerca di nuovo equilibrio fra Santena, la vicina città di Chieri e la capitale Torino, nel mezzo di lotte fra gruppi e fazioni che si scomponevano e ricomponevano per linee orizzontali (per strati sociali) e verticali (per clientele). Qui s’inserisce – e si spiega – la sua carriera di esorcista. Qui, però, conoscerà la sua fine. Il conflitto politico a dire il vero si sarebbe concluso molto dopo il suo arresto, con soluzioni che, per quanto rompessero il modo di pensare e agire del mondo contadino, non avrebbero tolto a quest’ultimo la possibilità di contribuire a determinare i caratteri dello Stato e a influenzare le scelte e i comportamenti delle classi dominanti.

COSA PUÒ ANCORA DIRE, a trentacinque anni di distanza, L’eredità immateriale? La nuova prefazione non lo nasconde: con molta fermezza, criticando le nuove correnti storiografiche proposte dalla «storia globale», Levi ribadisce la necessità di rimettere al centro del lavoro dello storico non tanto l’oggetto di studio quanto i metodi d’indagine e i problemi da affrontare al fine di comprendere il concreto e complesso funzionamento delle società. Una storia che sappia elaborare domande generali ma che fornisca particolari perché la realtà è troppo complessa per essere rinchiusa all’interno di un unico modello esplicativo.
Questo libro non è soltanto prezioso per gli storici. Può insegnare molto a intere generazioni che si sono formate nella convinzione che esista un unico modello, quello neoliberista incentrato sullo sviluppo incontrastato del modello capitalista, automaticamente foriero di progresso e ricchezza per tutti.

CONTRO L’IDEA di un’economia regolata da processi naturali e da forze anonime e impersonali, L’eredità immateriale mostra l’importanza di guardare più da vicino il contribuito svolto da individui e gruppi nel suo funzionamento. Lo stesso confronto fra Stato e società, così caldo nel momento in cui il libro fu scritto, ritrova oggi la sua drammatica attualità, di fronte alla supposta irrilevanza dello Stato, avanzato da molti teorici della globalizzazione, o di fronte alle ondate di populismi, nazionalismi e movimenti xenofobi.
Anziché postulare l’irrilevanza della società, questa ricerca ci insegna a non stancarci mai di interrogare come i gruppi si formano, si organizzano, interagiscono e lottano, allenando così le nostre menti a vedere che dietro a slogan semplici si cela una realtà tremendamente più complicata. Questa è l’eredità più preziosa del libro.

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