«Dopo tanti anni di battaglie, finalmente è stata fotografata una realtà inimmaginabile dieci anni fa – sostiene Giovanna Velardi, danzatrice e coreografa, che ha partecipato alla presentazione della ricerca Slc Cgil «Vita d’artista» – L’attesa è stata amica e noi non ci siamo abbattuti. Oggi c’è un dato scientifico che fotografa la realtà del nostro lavoro. Io stessa avevo diffidato del sindacato. Ora ci sono persone in ascolto che se ne faranno carico. Per me questo è l’inizio di una nuova fase».

Quali sono le misure minime per tutelare il lavoro dell’artista?
Il welfare e gli ammortizzatori sociali per un lavoro che è intermittente. Misure capaci di sostenere un investimento che facciamo sulla nostra vita, fatto di grandi sacrifici e forti passioni. Tutelare queste professioni significa dare un valore alla produzione culturale in Italia. Noi siamo dei canali. Lo dico da danzatrice. Attraverso i nostri corpi produrremmo un messaggio diverso e cambierebbero tante cose nel modo di percepire le relazioni e il mondo.

Chi fa l’artista non viene percepito, né si percepisce, come lavoratore. Perché?
Perché passa l’idea che siamo solo per il mercato. Siamo circondati da una politica fatta di numeri, ci dicono sempre: sbrigati, non c’è tempo, produci. Siamo carne da macello. Devi entrare in una logica commerciale e dare riscontri economici. Sennò non sei considerato. Io ho bisogno di studiare, ma in genere non mi capiscono. Un investimento sociale ed economico su questo lavoro potrebbe invece portare una cultura diversa.

Degli artisti si dice anche che siano individualisti…
Ci sono persone che hanno l’Ego più sviluppato, altre no. È tutto il mondo ad essere stato impostato così. Essere artisti significa mettersi in mostra, ma lo fanno anche i politici. Ma questo non è un aspetto solo negativo. Può essere la spinta di una ricerca e comunicare qualcosa di forte e di vero.

Cosa rende la sua attività anche un lavoro?
Svolgo un’attività dove la passione è così forte che ne ho fatto un mestiere. Qualcuno va a lavorare in banca, io al mattino mi alleno, studio o insegno. Mi sento responsabile per chi paga un biglietto per venirmi a vedere, mi scontro con il mercato. È una messa in discussione continua. Per fare questo ho dovuto studiare e fare ricerca sempre. Certo se si viene pagati meno può venire meno la passione. Quando si tratta di pagare il mutuo la passione non basta.

Come dovrebbe organizzarsi chi fa il vostro lavoro?
Fare rete per conoscersi, affrontare un percorso dove anche se ci sono conflitti si possono trovare obiettivi comuni. Per me questa è la forza. Fare rete vuol dire ritrovarsi in una comunità che oggi abbiamo perso di vista.