ExtraTerrestre

Giovani e montagna, il nuovo fascino della pastorizia

Natura Il pascolo, oltre a garantire la qualità delle materie prime, favorisce un modello produttivo che protegge l’ecosistema

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 19 settembre 2019

Per duemila anni, l’ambiente dell’Appennino si è modificato con la presenza degli animali, che concimavano il terreno e con il pascolo limitavano lo sviluppo di una vegetazione invasiva. Oggi cerchiamo di far capire che se non si riporta l’allevamento nei territori di montagna, è finita. Tutelando l’allevamento, tuteliamo anche la biodiversità. Negli ultimi quarant’anni abbiamo trasformato le comunità dell’Appennino in dormitori di persone anziane». Massimo Castelli, sindaco di Cerignale, in Val Trebbia, è il coordinatore nazionale dei Piccoli comuni dell’Anci. Amministra il Comune in cui è nato ed ha sempre vissuto. Ha visto la montagna spopolarsi. Le aziende agricole chiudere. Sta lavorando alla creazione di un «allevamento di comunità». Non sopporta più di vedere «grandi deserti verdi, che ad oggi non servono a nessuno».

GIULIANO GABRINI (CLASSE 1990) ed il fratello Giorgio (nato nel 1996) stanno occupando con i loro capi quelli di Villa Minozzo, sull’Appennino reggiano. Una volta quassù erano quasi tutti pastori, compreso il loro nonno, da cui hanno ereditato il mestiere: la transumanza era una necessità. Oggi oltre ai 7 ettari della loro azienda agricola, ne hanno a disposizione una quarantina in usufrutto verbale. «Potrebbero sostenere almeno due greggi come il nostro, che oggi abbiamo 160 pecore. Siamo gli unici a fare il pascolo» racconta Giuliano Gabrini, che in azienda si occupa della caseificazione, in un laboratorio ricavato a fianco della casa dei genitori. Il pastore è il fratello Giorgio: «Ha iniziato ad uscire al pascolo fin dai 14 anni, l’idea di aprire insieme un’impresa è nata insieme».

GIULIANO HA PARTECIPATO E VINTO nel 2015 il campus ReStartApp di Fondazione Garrone. L’Azienda Agricola Le Cornelle è nata subito dopo, ed è basata sull’allevamento delle pecore di razza Cornella Bianca, che è «autoctona, rustica e in via di estinzione» spiega Giuliano. Produce anche la metà del latte, ma garantisce un pecorino di gran qualità. Sono capre, invece, quelle che Gian Vittorio Porasso alleva a Castelnuovo di Ceva, uno degli ultimi avamposti piemontesi ai confini con la Liguria. Appartengono alla razza di Roccaverano, e trascorrono al pascolo la maggior parte della giornata. La loro alimentazione è varia, ricca, e la qualità dei formaggi, prodotti da febbraio a novembre, varia estremamente secondo quel che hanno mangiato. «Escono quasi sempre, tranne quando nevica. Allora, sono alimentate col fieno falciato intorno alla cascina, e l’alimentazione è integrata con sali minerali e trebbie di orzo. Non sono somministrati insilati e antibiotici» racconta Gian Vittorio Porasso. È cresciuto a Torino, dove i suoi genitori si sono trasferiti per lavoro dalla provincia di Cuneo. Lì si è laureato in architettura, esercitando la professione di architetto per 15 anni, finché il richiamo della terra, e del bestiame, non ha prevalso su tutto. Alcuni rudimenti sull’attività del pastore casaro li aveva già appresi da sua nonna, che produceva tome a Ormea, ma la maggior parte di quel che sa lo ha appreso da una cugina che gli ha raccontato tutto quel che sapeva su animali, pascoli, produzione. È

UN PASTORE DI RITORNO ANCHE Loreto Pacitti, proprietario insieme alla sorella e a tre cugini (supportati dai loro genitori), dell’azienda Casa Lawrance, sul versante laziale del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, a Picinisco, in provincia di Frosinone. Di ritorno perché dopo una fuga da quello che era stato il lavoro del nonno e del padre, ha passato due anni nell’esercito, per poi tornare all’erba, al bestiame, ai formaggi. Ha studiato, ha seguito corsi con l’obiettivo di diversificare la produzione, dando al latte aziendale un valore aggiunto. «Pecore e capre pascolano nei prati polifiti del basso Lazio, brucano 365 giorni all’anno, anche quando c’è neve, anche quando i pascoli sono aridi, traendone tutto quello che possono. Se la natura non concede abbastanza, l’alimentazione è integrata con fieno e cereali aziendali», racconta. Tra i pascoli di Picinisco alleva 800 pecore e 150 capre. «Le mungiture sono due al giorno e il latte, rigorosamente crudo, è utilizzato immediatamente per ricavarne formaggi unici, maturati in una cantina aerata naturalmente». Pacitti non usa fermenti selezionati, le famigerate bustine. Anche il caglio è autoprodotto.

A CHEESE VERRÀ PROIETTATO anche il documentario In questo mondo, vincitore del Torino film festival (l’ExtraTerrestre ne ha parlato a febbraio 2019, intervistando la regista Anna Kauber). Racconta la vita di diciotto donne tra i 18 e i 102 anni: «Parlando con Mariapia, Rossella, Assunta, Maria, Michela e le altre sono due gli elementi importanti – sottolinea Kauber – l’amore per la natura, e il desiderio di libertà, che non è intesa come l’avere del tempo libero, ma come un qualcosa d’altro, di più profondo. La libertà è la cura, il dedicarsi agli animali, la vicinanza al respiro naturale».

QUELLA CHE HANNO SCELTO anche Elisa Core e Sara Armellino, che a Saliceto (CN) hanno aperto l’azienda agricola Le Langhette. Allevano pecore e capre. «Il nostro obiettivo è valorizzare il territorio, attraverso la trasformazione di latte in formaggio, far vivere bene gli animali, e i nostri figli» racconta Sara Armellino. È nata nel 1986, e dopo una laurea in Scienze forestali ha scelto di tornare a casa, e di allevare la Pecora delle Langhe, a cui aveva dedicato la sua tesi di laurea. Lei ed Elisa, che ha dieci anni di più, si sono conosciute grazie ad amici comuni. L’azienda è nata anche grazie al passaggio per il campus ReStartAlp, di Fondazione Garrone e Fondazione Cariplo. Per i nuovi pastori la formazione è importante, tanto che rete Appia e Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) lavorano alla sperimentazione di Scuole itineranti della pastorizia. «Nelle aree interne del Paese abbiamo intercettato, tra gli attori rilevanti, giovani interessati ad avviare questo tipo di professione. Non esistono dati statistici, ma è una tendenza in essere» sottolinea Daniela Storti, ricercatrice CREA . Il fenomeno andrebbe studiato, e censito.

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