Giornata di lotta con suicidio a Mineo
Migranti S'indaga sulla morte del 21enne Mulue, richiedente asilo in fuga dall’Eritrea, trovato impiccato all'interno del Centro richiedenti asilo. Il movimento antirazzista siciliano verso la giornata del 18. Contro Muos, basi militari e luoghi come questo, di segregazione
Migranti S'indaga sulla morte del 21enne Mulue, richiedente asilo in fuga dall’Eritrea, trovato impiccato all'interno del Centro richiedenti asilo. Il movimento antirazzista siciliano verso la giornata del 18. Contro Muos, basi militari e luoghi come questo, di segregazione
È in lutto la comunità eritrea all’interno del Centro richiedenti asilo (Cara) di Mineo. A poco più di quarantotto ore dal rinvenimento del corpo del loro connazionale morto suicida sabato non ci sono grandi novità sulla dinamica dei fatti né sulle reali motivazioni del gesto.
Il suo nome era Mulue, aveva ventun anni e fuggiva da Karen, Eritrea, perseguitato da uno dei regimi più duri della regione. Arrivato in Italia con lo sbarco del 5 maggio scorso, dopo aver attraversato il Sahara e la Libia, era in attesa da sette mesi del riconoscimento dello status di rifugiato politico.
Lo hanno ritrovato impiccato con una tenda nel cottage che divideva con altri connazionali. Sul caso, il primo suicidio avvenuto nella grande struttura di Mineo dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto, sta indagando la procura di Caltagirone che ha affidato ai Carabinieri la ricostruzione della dinamica dei fatti e del profilo psicologico della vittima. Nessuna notizia ufficiale trapela sulle motivazioni del gesto. Le voci che girano sul diniego della protezione umanitaria che il ragazzo avrebbe ricevuto sono prive di fondamento. «Era di ottimo umore» dice chi lo conosceva bene. Ma sono i tempi d’attesa dei responsi della commissione territoriale di Trapani ad essere troppo lunghi e le condizioni di vita all’interno del Cara possono aver fatto il resto.
«Si stava meglio in Libia», afferma senza tema di smentite un altro giovane eritreo, durante la conferenza stampa organizzata davanti all’immenso ex residence delle forze armate americane dal Movimento antirazzista isolano, per presentare le iniziative che si svolgeranno in Sicilia in occasione della prossima Giornata di azione globale per i diritti dei migranti, fissata per il 18 dicembre. Il ragazzo vive al Cara da più di un anno e con la sua tuta da ginnastica blu, le infradito nel mese di dicembre, sembra appena sceso da un barcone. «Dormiamo in cinque in una stanza e la sera non abbiamo nemmeno l’acqua da bere perché chiudono tutto», racconta. Dei più di cento richiedenti asilo che sono venuti ad ascoltare quasi nessuno ha vestiti nuovi e nemmeno scarpe. «In Libia ci rubavano i soldi, ma almeno ci hanno poi lasciato andare» ricorda. «Qui invece non riusciamo nemmeno a contattare le nostre famiglie e mangiamo solo pasta. Ogni giorno pasta». Una ragazza accanto a lui dichiara di assumere antidepressivi da circa un anno mentre i 2,50 euro che spetterebbero a ogni richiedente asilo «vengono dati in sigarette. A tutti. Donne, vecchi e persino bambini». Gli ospiti del Cara poi le rivendono e col ricavato si procurano come possono quelle poche cose non previste dal vitto passato dall’ente gestore.
Il Cara di Mineo è stato progettato per 400 posti letto ma ci sopravvivono stipate oltre 4000 persone. Nel corso degli anni non sono mancate denunce , rivolte anche drammatiche e altri suicidi. Naturale che i movimenti antirazzisti si diano appuntamento qui per lanciare le loro prossime campagne.
«Scenderemo in piazza nel nome di Mulue e di Nelson Mandela per far capire che nessun uomo al mondo è illegale». Così Alfonso di Stefano, della Rete antirazzista Catanese, ancora sconvolto per la tragica fine del ragazzo di Karen, riassume il senso delle iniziative che si svolgeranno in Sicilia mercoledì prossimo. «A Messina, Palermo, Niscemi e davanti al Cara si svolgeranno manifestazioni per ricordare le vittime dei troppi naufragi avvenuti nel Canale di Sicilia – l’ultimo lo scorso 3 ottobre a largo di Lampedusa, in cui 366 persone hanno perso la vita -, dire no alla legislazione securitaria e razzista in materia di migrazioni, chiedere la chiusura del Cara e di tutti i luoghi di reclusione etnica presenti sul territorio nazionale. la Sicilia – prosegue Di Stefano – deve essere un ponte di pace sul Mediterraneo. Per questo vogliamo unire le proteste dei richiedenti asilo contro ogni politica di segregazione con le battaglie contro il Muos e le basi militari».
«Le istituzioni del territorio, i comuni del calatino, hanno rinunciato a criticare il Cara», è l’opinione del sindaco Prc di Palagonia Valerio Marletta, anche lui presente alla conferenza stampa e accorso a Mineo dopo la tragedia: «Si barattano le vite dei migranti per qualche posto di lavoro nelle cooperative e negli enti gestori. Persino la Cgil locale parla di questa struttura come di un possibile modello di sviluppo per i nostri comuni», denuncia. «L’Ispettorato del lavoro dovrebbe invece controllare quello che succede dentro quella che a tutti gli effetti è una struttura di segregazione per i migranti ma anche per i lavoratori italiani».
Il comune di Palagonia è l’unico a non aver aderito al consorzio di gestione del mega Centro richiedenti asilo. «Molto meglio aderire al modello Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati) come ha fatto Caltagirone, il comune capofila dell’area», sottolinea il sindaco .
L’amministrazione guidata da Marletta ospita 15 senegalesi che si sono perfettamente integrati nella comunità cittadina. «Abbiamo compreso bene che un modello inclusivo come quello dello Sprar funziona bene quando i senegalesi e i ragazzi di qui hanno cominciato a giocare a pallone insieme spontaneamente, al di là delle classiche manifestazioni di solidarietà», osserva Marletta.
Tania Poguisch, del laboratorio Migralab, viene da Messina – la città del braccio di ferro fra il prefetto e il sindaco pacifista Renato Accorinti, che si oppone alla tendopoli di transito fortemente voluta dal ministro dell’interno Alfano. «Il movimento antirazzista deve chiedere alla Regione una nuova legge sull’immigrazione – sostiene -, ma i movimenti debbono impegnarsi a riscrivere dal basso un nuovo diritto che metta al primo posto le persone , la loro dignità e i loro desideri». Un diritto che nessuna istituzione oggi riesce a garantire pienamente. Ci si ritroverà dunque a Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014 per scrivere quella che già si chiama «la carta di Lampedusa». Intanto alla campagna per la chiusura del Cara si unisce Sinistra ecologia e libertà. Dopo «l’ennesimo dramma dovuto al colossale fallimento del nostro modello di cosiddetta accoglienza», come afferma in una nota il responsabile catanese del partito Francesco Alparone. Convinto anche lui che «il Cara di Mineo vada chiuso al più presto».
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