L’esordio narrativo di Giorgio Todde, Lo stato delle anime (2001), ha per protagonista un medico, l’anatomo-patologo Efisio Marini. Personaggio realmente esistito (nato a Cagliari nel 1835, morto nella stessa città nel 1900), Marini è passato alla storia della medicina come Il pietrificatore. Ha infatti inventato un metodo per imbalsamare i cadaveri molto efficace. Grazie alle sue cure i corpi senza vita diventavano solidi come statue di pietra. Era un po’ come se con la morte, male assoluto, Marini giocasse. Todde, che un tumore s’è portato via nell’estate del 2020, credeva che con lo stesso gioco dovesse misurarsi la scrittura. E così Marini è diventato il personaggio principale, oltre che de Lo stato delle anime, di altri cinque libri: Paura e carne (2003), L’occhiata letale (2004), E quale amor non cambia (2005), L’estremo delle cose (2007), Il mantello del fuggitivo (2019). In tutti l’impianto narrativo è quello del giallo (Marini è un investigatore sui generis che risolve casi di omicidio), ma il genere è piegato a un’interrogazione sulla presenza del male nel mondo che ha premesse ed esiti metafisici. Particolarmente forte è questa torsione nei libri di Todde in cui Marini non c’è: La matta bestialità (2002), Al caffè del silenzio (2007), Ero quel che sei (2010), Lettera ultima (2013), Morire per una notte (2016).

UNO DI QUESTI ULTIMI TESTI, La matta bestialità (Il Maestrale, pp. 368, euro 20), ritorna ora in una nuova edizione, con due novità. La prima è una prefazione di Goffredo Fofi, da sempre estimatore di Todde; la seconda è un’appendice di ottanta pagine che contiene l’abbozzo di un sequel del testo del 2002 al quale Todde ha lavorato nel suo ultimo anno di vita. Titolo di queste pagine, provvisorie ma già all’altezza della scrittura migliore di Todde, è Temperalapis. Il tutto per la cura di Giancarlo Porcu, storico editor della casa editrice Il Maestrale, che ha pubblicato tutti i libri dell’autore cagliaritano. «Mai come oggi – scrive Fofi nella prefazione a La matta bestialità – si apprezza quello che affermò diversi anni fa uno scrittore molto minoritario, Julien Gracq, nell’aureo pamphlet La literature a l’estomac. La letteratura, ci ricordava Gracq, ha il dovere dell’ambizione, dell’affrontare il mistero dell’esistenza». L’autore de La matta bestialità (come Gracq minoritario) a questa altezza si muove. Il solco seguito dalla sua scrittura parte da Dante e arriva, nota Fofi, sino a Poe, a Dostojevskij e a Lovercraft. Todde, che ha un’acutissima sensibilità contemporanea, non cancella dal suo orizzonte creativo la tradizione. La matta bestialità è l’undicesimo canto dell’Inferno, Virgilio che chiede a Dante: «Non ti rimembra di quelle parole/ con le quai la tua Etica pertratta/ le tre disposizion che’l ciel non vuole,/ incontinenza, malizia e la matta/ bestialitade?». Dante e la Commedia hanno un ruolo centrale nel racconto di Todde: perno strutturale della narrazione e cornice di senso.

INCONTINENZA, malizia e matta bestialità portano l’inferno nella città (città senza nome, perché l’inferno non ha caratterizzazioni né storiche né geografiche) in cui vive Ugolino Stramini, il protagonista. Ugolino ha la vita stravolta da una violenza senza limiti e nello stesso tempo ordinaria, che cancella, nei modi più orrendi e insensati, ogni affetto, ogni umano legame, e fa del reale una terra desolata. Sino a quando il dolore è così grande che può placarsi soltanto fuori dal mondo terreno, in una dimensione, cosmica, inattingibile dal male, non contaminabile dalla matta bestialità che governa il pianeta intero. Di fronte all’orrore, la derealizzazione è l’unica via di scampo.
Meteorologo che studia le nuvole, uomo d’aria e di cieli, Ugolino è un idiota dostoevskijano, un «folle in Dio» testimone, impotente e puro, della devastazione che la follia degli uomini può produrre. Sino alla straordinaria pagina finale del sequel Temperalapis, dove un gigantesco cuore vivo, pulsante, getta un diluvio di sangue sulla città e la sommerge per sempre sotto una calda coltre viola. Un presagio? Una profezia? Scrittura, quella di Giorgio Todde, che ha il coraggio di guardare in faccia il male. Literature à l’estomac, letteratura tout court. Ancora è possibile farla.