Giorgio Ruffolo, un ministro che guardava avanti
C’era una volta un Paese che guardava avanti. E chi tra i politici aveva la vista più lunga era Giorgio Ruffolo, ministro dell’Ambiente nel quinquennio cruciale (1987/1992) in cui la comunità internazionale iniziò ad attivarsi per salvaguardare l’equilibrio termico del pianeta. Con il ministro Ruffolo sempre un passo avanti.
ERANO GLI ANNI in cui si dava esecuzione al Protocollo di Montreal (1987) a protezione dell’ozonosfera, senza il cui schermo i raggi UV farebbero strage fra noi terrestri. Erano gli anni in cui l’Italia, grazie a Ruffolo, si adoperava a smaltire i rifiuti esportati sulle «navi dei veleni» in Turchia, Libano, Romania, Nigeria. Erano gli anni in cui alcuni governi illuminati incaricavano un gruppo esimio di scienziati di rispondere a un quesito surreale: è mai possibile che le attività umane influenzino il clima fino a provocare un riscaldamento planetario? Sì, il rischio c’è, risposero gli scienziati nel 1990. Da allora Ruffolo non perse occasione di propugnare il «principio di precauzione»: assicuriamoci come farebbe un buon padre di famiglia.
Maggio ’90. Tra i fiordi norvegesi di Bergen si riuniscono per la prima volta i ministri dell’Ambiente di tutta Europa, Russia inclusa. Giorgio Ruffolo scuote lo scetticismo di tanti colleghi sui rischi climatici citando Seneca: ducunt volentem fata, nolentem trahunt. Ricordo lo smarrimento degli interpreti in cabina e lui che si affretta a tradurre: «Il fato accompagna chi l’accetta, ma trascina a forza chi recalcitra».
QUANDO L’ITALIA, nel 1990, assume la presidenza dell’Ue, due italiani – Ripa di Meana commissario a Bruxelles e Ruffolo a Roma – guidano l’Europa verso un obiettivo ambizioso: impegnare i Paesi membri a stabilizzare le emissioni di CO2 entro il 2000 ai livelli del 1990. Con loro due andiamo a stanare i governi meno convinti, finché la notte del 29 ottobre l’Ue trova l’accordo decisivo. Tuttora la base di calcolo per ridurre le emissioni nel mondo è quello deciso nel 1990: “base 90”. Poco dopo si apre a Ginevra la Conferenza mondiale sul Clima, presieduta da Flavio Cotti, presidente elvetico. Tra i 137 governi presenti sono parecchi i refrattari a qualsiasi impegno, guidati da potenze del calibro di Russia, Cina, Usa e Paesi petroliferi. Eppure il trio Cotti/Ruffolo/Ripa di Meana riesce a spuntarla. E alla conferenza stampa sono loro tre a salire sul podio, tanto che un giornalista americano mi chiede conto di quella «mafia tutta italiana» (ma era solo una battuta di spirito).
Nel 1991 l’Ocse dedica una riunione alla fiscalità ecologica, presieduta da Ruffolo. Il quale pone sul tavolo la spinosa questione della “carbon tax”, in vista del Vertice della Terra fissato per il ‘92 a Rio de Janeiro. Quello di Rio sarà un vero Vertice della Terra: Bush e Fidel Castro, Mitterrand e 40 capi africani, il re di Svezia e gli emiri del Golfo. Ruffolo propone di introdurre nei Paesi industrializzati una tassa energia/CO2 il cui gettito verrebbe ripartito in tre lotti: uno per ridurre altre tasse in patria, uno per investire nelle energie rinnovabili e un terzo lotto per trasferire tecnologie pulite ai Paesi in via di sviluppo. Ricordo i Grandi del mondo applaudire (non senza ipocrisia) quella proposta, che il Financial Times definì una delle rare idee concrete emerse a Rio. Se invece di limitarsi ad applaudirla i Grandi l’avessero applicata, oggi la Terra starebbe molto meglio.
DA ALLORA RUFFOLO non sarà più ministro, ma continuerà a firmare editoriali di smagliante lucidità (anche sul manifesto). Con sottile umorismo intitola un suo libro “Il capitalismo ha i secoli contati”. Si rende conto che l’impegno profuso non ha sortito i risultati sperati. E si chiede: dipende forse da una scarsa sensibilità dei governi? Non proprio – risponde: è la solita solfa. Nei periodi di bassa congiuntura il salto di qualità non si può fare perché «si deprime l’economia»; nei periodi di boom la formica diventa cicala e canta “scordàmmoce o passato”. L’ultima sua apparizione sarà una commovente intervista rilasciata a la Repubblica nel 2015: «Se guardo a cosa è diventata l’economia, penso che le nostre voci, inascoltate, hanno fallito. O meglio, sono state troppo deboli di fronte all’avanzata impetuosa del capitalismo». E a se stesso confessa, consapevole dell’incipiente infermità: «A un certo punto tutto diventa trascurabile. Forse per questo la memoria perde colpi. Il flusso dei ricordi va e viene, appare e scompare».
(Oggi sarà comunicata la data per l’ultimo saluto, che si terrà nella sala della Chiesa Valdese di Roma)
* Ambasciatore e consigliere diplomatico del ministro Ruffolo durante il suo mandato
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