Giorgio Pasquali e la lirica intertestuale di Orazio
L'Orazio lirico di Giorgio Pasquali Scritto in gran parte prima della Grande Guerra, l’«Orazio lirico» di Giorgio Pasquali – caposcuola italiano della grande scuola tedesca – è una vasta ricostruzione della cultura letteraria del poeta augusteo: capace di tenere insieme, con effetti stranianti, la grecità arcaica e l’«attualità» ellenistica
L'Orazio lirico di Giorgio Pasquali Scritto in gran parte prima della Grande Guerra, l’«Orazio lirico» di Giorgio Pasquali – caposcuola italiano della grande scuola tedesca – è una vasta ricostruzione della cultura letteraria del poeta augusteo: capace di tenere insieme, con effetti stranianti, la grecità arcaica e l’«attualità» ellenistica
Grecista e latinista di pari tempra, Giorgio Pasquali (1885-1952) è stato grande caposcuola della filologia classica. Laurea a Roma. Perfezionamento a Gottinga e a Berlino. Dopo brevi docenze alle università di Roma e Messina, insegna per alcuni anni nella sua adorata Gottinga e ancora brevemente a Berlino. La guerra lo fa rientrare in Italia, dove sarà per decenni, a Firenze e in parallelo alla Normale, maestro rigoroso, affascinante, amatissimo. Fino alla morte in un incidente stradale. I suoi allievi, latinisti e grecisti, sono stati legione: alcuni di essi, veri maestri della filologia. Gli allievi di suoi allievi non si contano.
Di famiglia romana, fiorentino di adozione, vivacemente partecipe della vita culturale italiana, tenne sempre forti relazioni con colleghi tedeschi e con la cultura tedesca. Nei suoi studi e nel suo insegnamento lo si può considerare un insigne rappresentante, e interprete italiano, di quella filologia classica tedesca che stava conoscendo, nei decenni tra i due secoli, il culmine di una straordinaria grandezza. Erede del positivismo nella fedeltà rigorosa al documento, ma animata da un potente afflato di storicismo idealistico, questa filologia riteneva che ogni problema di critica e di esegesi testuale o di interpretazione letteraria trova vera soluzione solo se ricondotto entro il reticolo dei processi culturali che sono in atto nell’epoca che ha prodotto il testo in questione e che si riflettono nella personalità dell’autore. Processi che il filologo deve saper ricostruire, anche integrando, di fronte a un problema, metodologie e discipline diverse.
Queste posizioni non trovavano facile accoglienza in un’Italia che, prima e dopo la prima guerra, conosceva un filologismo di eredità positivistica spesso povero di idee e, di contro, un idealismo che, professando una critica intuizionistica, privilegiava il giudizio estetico, lo separava dai presupposti culturali del testo, e finiva col considerare irrilevante il dettaglio filologico, e persino il dato storico e le tradizioni letterarie sottostanti, ai fini della più autentica interpretazione. Tra Croce e Pasquali si ingaggiarono in proposito polemiche vivaci, benché anche Pasquali si collocasse sul terreno dello storicismo idealistico.
La trasmissione del testo
Nella sua produzione, ricchissima e multiforme, spiccano due grossi volumi. L’opera sua capitale è solitamente considerata quella di cui non parleremo qui: Storia della tradizione e critica del testo (1934,1952², molte ristampe). In essa lo storicismo di Pasquali si estende dallo studio del testo antico a quello della sua trasmissione: stabilire la forma genuina del testo non è operazione che si possa fare solo applicando dei pur indispensabili criteri razionali all’analisi delle varianti dei codici, per ricostruirne meccanicamente le filiazioni e risalire agli stadi più antichi. La trasmissione di un testo è condizionata dagli ambienti culturali che, con diversità di interessi, competenze (o incompetenze), ideologie, sensibilità, ne hanno curato la trascrizione e lo studio nel corso del tempo: è, appunto, un processo storico che il filologo deve indagare. Pasquali esamina ciò che si sa sulla tradizione di un’impressionante quantità di testi greci e latini, necessariamente fondandosi su ricerche altrui, e ne ricava, con ammirevole lucidità, deduzioni metodologiche di grande portata, che hanno esercitato profonda influenza, e ancora pesano, sul dibattito internazionale in materia.
Opera anticipatrice, quasi disconosciuta dal suo autore
L’altra sua più vasta opera, Orazio lirico (1920) era stata in gran parte scritta già prima della guerra. Un libro dunque quasi giovanile. Argomento: il rapporto di Orazio coi modelli greci. O meglio: lo studio dei presupposti culturali della sua lirica. Il tema induceva diffidenza in Italia, per le ragioni dette, e di fatto il volume suscitò varie reazioni limitative o anche duramente negative. Pasquali stesso se ne sentì infine insoddisfatto e non autorizzò l’editore a ripubblicarlo (una ristampa apparve postuma nel 1964, a cura del suo grande allievo Antonio La Penna). Eppure quest’opera, poco capita, quasi disconosciuta dal suo autore, ha avuto vitalità tenace per la finezza e densità delle analisi dei singoli carmi, che sono universalmente apprezzate e sempre citate. E, soprattutto, merita di essere valorizzata per la sua ispirazione generale e il metodo: singolarmente anticipatori, e invece a lungo fatti oggetto precipuo delle critiche proprio perché considerati arcaici e superati. Quali erano solo per dei risvolti, come diremo, non essenziali.
Spostiamo per un momento il punto di vista. Pasquali da alcuni decenni ha avuto un sorprendente rilancio di notorietà nella critica letteraria internazionale, non solo in ambito antichistico. Si è infatti conquistato il riconoscimento nientemeno che di pioniere, o addirittura di primus inventor, della critica intertestuale per un breve intervento, intitolato Arte allusiva, edito nel 1942 su una rivista divulgativa e poi nel 1951 in un volume di Pagine stravaganti. Pasquali vi tratta degli effetti artistici dell’allusione: l’autore introduce nel suo testo il riferimento ad altro testo con l’intenzione che il lettore lo riconosca e apprezzi la variazione. Il fenomeno era noto, ma Pasquali gli dà la dignità, e il nome, di un procedimento d’arte e ne detta le leggi essenziali. È, in effetti, arte ‘intertestuale’. Pasquali analizza in dettaglio solo pochi casi in cui Virgilio rielabora versi del suo amico Vario. E spesso l’arte allusiva pasqualiana, in base a questi casi, viene intesa riduttivamente come arte della variazione a fini di omaggio ad altro autore. Infatti è anche questo. Ma in apertura dell’articolo Pasquali dava al procedimento ben altra prospettiva, grandiosa e originale: in letteratura, in pittura, in musica, alludere a un altro ‘testo’ significa far incontrare, o scontrare, due mondi, due sensibilità, due epoche diverse, con effetti, per il lettore, potentemente suggestivi, di straniamento e di vertigine. Pasquali fa una rassegna rapida di esempi brillanti: ma così rapida, che l’attenzione si è di solito soffermata sui casi, ben meno significativi ma analiticamente trattati, di omaggio a un poeta contemporaneo.
Ebbene, le 780 (non fitte) pagine di Orazio lirico, precorrendo Arte allusiva di cui contengono già l’intero nucleo concettuale, rappresentano appunto un vasto e compiuto esempio di studio intertestuale in cui il gioco delle allusioni, il dialogo tra testi, è un incontro, suggestivo e problematico, tra epoche diverse del mondo antico – Roma augustea, ellenismo, grecità arcaica e classica – che convivono nella pagina di Orazio.
Un’enorme quantità di indizi: liturgici, simposiali, civili
In Germania, la svalutazione romantica della poesia latina, vista come scialba imitazione di quella greca, stava cedendo il posto a una rivalutazione, spesso ancora tiepida, che invitava a comprenderla sulla base di una sua propria volontà artistica. Da un lato vi si apprezzava la celebrazione dei valori statuali: è la strada che porterà alla retorica fascista sulla romanità. D’altro lato ci si accorgeva delle affinità con la poetica alessandrina. Dopo la ‘scoperta dell’Ellenismo’ di Droysen, la filologia tedesca, specialmente con Wilamowitz, aveva valorizzato la poesia ellenistica, prima svalutata per il fatto stesso di essere diversa da quella considerata ‘classica’ e ora compresa storicisticamente nelle sue specificità. E aveva sviluppato l’idea, viva in Pasquali, che l’età ellenistica fosse ‘l’età moderna dell’antichità’, in ragione del suo razionalismo ‘illuministico’, ma anche di nuove inquietudini religiose e di un senso più delicato dell’individualità personale. Che Orazio non imitasse solo i lirici arcaici ma, in quanto uomo del suo tempo, risentisse anche della poesia ellenistica era stato già mostrato da Reitzenstein: ma per lui l’originalità vera di Orazio stava nel suo porsi come educatore del popolo. Pasquali, che a Gottinga si era specializzato in letteratura ellenistica, la cerca invece appunto nella sua cultura, nei suoi gusti, nei procedimenti artistici. Quando Orazio si ricollega a un’ode di Alceo è perché il lettore riconosca il richiamo, e misuri la differenza di svolgimento dato al tema antico (è ‘arte allusiva’: manca solo la formula). L’originalità del poeta romano è in primo luogo nel suo essere moderno, cioè ellenistico. Perché Roma è, nella cultura e nel costume, città ellenistica.
Per mostrare l’originalità di Orazio, poeta latino che si richiama ai lirici arcaici in una Roma ‘ellenistica’, Pasquali si impegna in una vasta ricostruzione, che occupa gran parte del volume, della cultura ellenistica presupposta dalla lirica oraziana e cioè dell’intero quadro della tradizione letteraria ellenistica quale poteva presentarsi a Orazio. Non fa una rassegna degli autori ellenistici, ma compie una vera, esemplare operazione intertestuale. Ricostruisce, attraverso una stupefacente quantità di indizi diversi, i fili lungo i quali nella letteratura ellenistica si formano, si trasformano e si tramandano, nei diversi generi e nei diversi ambiti di destinazione (religioso-liturgico, civile, simposiale ecc.), temi poetici, atteggiamenti di pensiero di sensibilità e di gusto, procedimenti compositivi. È un quadro di grande ricchezza e spessore, credo insostituito, della produzione poetica ellenistica, inteso a delineare lo sfondo di tradizioni, convenzioni letterarie, tipologie contenutistiche e formali da cui emerge la specificità originale delle liriche di Orazio, nell’incontro con i recuperi della lirica greca arcaica, con le tradizioni romane, con le spinte della nuova attualità augustea.
Un punto debole metodico, su cui hanno infierito i critici, è nel fatto che spesso, per ricostruire questo quadro, Pasquali ricorre al testo stesso di Orazio, supponendo che si ispiri a modelli ellenistici perduti. Affinità di odi oraziane con epigrammi greci, anche molto più tardi, vengono spiegate postulando una ‘fonte comune’ in lirica ellenistica perduta, ricostruita a volte con procedimenti analoghi a quelli con cui un tempo si pensava di poter leggere Archiloco o Alceo dietro ai versi di un Orazio, presunto imitatore. Pasquali è stato perciò accusato di non riconoscere l’originalità di Orazio, mentre al contrario egli si sforzava di ricostruire, anche attraverso Orazio (il circolo vizioso sussiste, ma è in certa misura inevitabile) il terreno di tradizioni su cui egli operava, per esaltarne l’originalità. Che è nel complesso convivere, in lui, di mondi remoti e di attualità ellenistica e romana. Della lirica ellenistica, che Pasquali ritiene cruciale punto di riferimento per Orazio, resta poco. Ma essa è certo esistita. E, se è esistita, Orazio la conosceva. Le ricostruzioni di Pasquali sono spesso ipotetiche, ma sempre fondate su elementi di contesto molto consistenti.
L’altra accusa spesso lanciata, e che Pasquali stesso si muoveva, è di non aver curato l’elemento autobiografico, l’espressione soggettiva, la ricostruzione della personalità del poeta. Ma anche questo appare oggi un aspetto metodologicamente precorritore. La specificità della pagina di Orazio emerge da una comparazione raffinata e sapiente con le tradizioni testuali presupposte (in parte conservate, in parte ricostruite), non dalla costruzione, sempre opinabile, di un profilo psicologico-biografico sulla base della pagina stessa. D’altra parte questa sua operazione autenticamente intertestuale non comporta la ‘morte dell’autore’. L’inquieta e problematica sintesi tra mondi appare operata da un artista della parola che vediamo al lavoro, e da un uomo che vive nel suo tempo. Al proposito, merito e modernità di Pasquali è anche nel non lasciarsi sedurre dall’immagine dell’Orazio ‘augusteo’, maestro di moralità civica, che pure è parte della sua figura di poeta, e di cui studia magistralmente i rapporti con Pindaro, e di estendere invece a molte odi una lettura in chiave di leggerezza alessandrina, di grazia ironica, o di malinconia esistenziale. Felicemente contrapponendosi a tante letture edificanti e seriose, allora tradizionali.
*Mario Citroni è professore emerito di Letteratura Latina alla Scuola Normale di Pisa. È autore di un’edizione commentata del I libro di Marziale (La Nuova Italia 1975), di Poesia e lettori in Roma antica. Forme della comunicazione letteraria (Laterza 1995) e di numerosi studi su aspetti delle relazioni tra letteratura latina e società, sui canoni letterari antichi e sul concetto di classico.
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